Trump Tower vs. City Hall: l’ombra della Casa Bianca sulle elezioni
Fare previsioni è ancora difficile, ma un fatto è certo: Trump è il centro gravitazionale delle prossime elezioni nella Grande Mela, che nel novembre 2025 sceglierà il suo nuovo sindaco
Solitamente, le narrative proposte da Fox News – il canale notiziario statunitense notoriamente vicino all’estrema destra americana – risultano poco convincenti, se non del tutto inaffidabili. Tuttavia, l’apertura di un articolo pubblicato il 24 giugno sorprende per la (parziale) correttezza dell’analisi, che coglie un dato di fatto centrale nelle elezioni comunali newyorkesi del prossimo novembre: il presidente Trump, lontano dall’essere un candidato alla carica di sindaco, continua a rivestire un ruolo centrale nel processo elettorale della città più popolosa d’America.
Fox News individua un’unica ragione per questa centralità: la rappresentazione che i Democratici offrono del presidente, ovvero come incarnazione di tutto ciò contro cui vale la pena combattere. In questa lettura, Trump è il nemico pubblico numero uno, la minaccia per eccellenza alla democrazia, alle libertà e alla diversità negli Stati Uniti, la cui ombra si proietta ora anche su una città tradizionalmente multietnica e liberale come New York.
Questa interpretazione del ruolo di Trump nelle prossime elezioni non è priva di fondamento, ma Fox News la propone in maniera eccessivamente semplicistica, ignorandone le sfumature più complesse. Inoltre, non è l’unica chiave di lettura possibile per comprendere l’impatto che una seconda presidenza Trump potrebbe avere sugli elettori newyorkesi, né l’influenza che, di fatto, il presidente esercita già sull’attuale campagna elettorale.
In questo articolo proveremo a delineare le dinamiche articolate che legano l’amministrazione Trump a New York City: dall’opposizione dei Democratici alle politiche presidenziali, al tentativo dei Repubblicani di demonizzare i loro avversari; dallo spostamento a destra registrato nella città nel novembre 2024, fino al rapporto tra Trump e l’attuale sindaco Eric Adams – candidato alle comunali come indipendente. Infine, cercheremo di riflettere su cosa tutto questo possa suggerirci in vista dei risultati di novembre.
Caccia al presidente: i Dem coalizzati contro Trump
I candidati democratici in corsa per la carica di sindaco erano sette: Zohran Mamdani, Andrew Cuomo, Adrienne Adams, Brad Lander, Zellnor Myrie, Jessica Ramos e Scott Stringer. È corretto dire “erano” e non “sono” perché, con le primarie ormai prossime alla conclusione, appare sempre più evidente che Mamdani – attualmente in testa con il 43,5 per cento delle prime preferenze nel ranked-choice voting – diventerà ufficialmente il candidato democratico che a novembre sfiderà il repubblicano Curtis Sliwa e l’indipendente Eric Adams per il ruolo di sindaco.
Già prima delle primarie, quando i candidati democratici erano ancora impegnati in una competizione interna per conquistare il primo posto, un punto era chiaro: nonostante le differenze politiche, tutti concordavano nel considerare Trump il nemico da combattere. Riuniti a Somos, in Porto Rico, i candidati si erano espressi con toni critici nei confronti di Cuomo – assente all’evento e ancora sotto accusa per molestie – e di Adams, da poco assolto in un processo per corruzione.

Tutti sostenevano che il prossimo sindaco avrebbe dovuto adottare una linea dura contro Trump, ma anche impegnarsi per rispondere concretamente ai bisogni reali dei cittadini newyorkesi, sempre più schiacciati dal peso economico di una città dove tutto costa troppo e dove, per molti, mettere il pane in tavola è sempre più difficile.
Del resto, l’accusa di idealismo e di incapacità nel dare voce alle necessità esistenziali dei cittadini americani è stata spesso mossa al Partito Democratico, soprattutto dopo la sconfitta alle presidenziali di novembre. In questo senso, c’è chi – come Anne McDonough di City and State – ha suggerito che, fin dai giorni immediatamente successivi alla vittoria di Trump, le elezioni comunali di New York sarebbero diventate uno scenario cruciale per osservare la reazione dei Democratici allo spostamento a destra di una città storicamente blu. Molto dipenderà dalla capacità dei Democratici – in particolare di Mamdani – di parlare alle “pance” dei newyorkesi, più che ai loro valori morali.
Chiazze rosse in un mare blu: cosa possono dirci i risultati del novembre 2024
Nel novembre scorso New York ha stupito per uno spostamento a destra del suo elettorato. Se nel 2020 Joe Biden aveva vinto la città con un margine di 57 punti su Donald Trump e nel 2016 Hillary Clinton con uno di 63, nel 2024 Kamala Harris si è fermata a un più modesto 37.
Quando si parla di uno spostamento a destra dell’elettorato di NYC, tuttavia, è necessario essere cauti. Il fenomeno non è riconducibile unicamente a una crescita del voto repubblicano, passato dal 23 per cento del 2020 al 30 per cento nel 2024, ma anche a un calo significativo dell’affluenza elettorale da parte dei Dem, che hanno perso circa 418.415 voti rispetto alle elezioni precedenti.
A fare la differenza sono stati in particolare gli elettori cinesi ed ebrei ortodossi di Brooklyn, cinesi e sud-asiatici del Queens e ispanici del Bronx e del Queens. Secondo i dati, la principale ragione alla base del voto repubblicano è stata un’insoddisfazione diffusa per le condizioni economiche durante la presidenza Biden, come dichiarato dal 33 per cento degli elettori.
In vista delle prossime elezioni comunali, questi numeri offrono spunti importanti di riflessione sul ruolo che Trump potrebbe avere nel determinare gli equilibri elettorali. Da un lato, lo slittamento di una città storicamente democratica verso il Partito Repubblicano suggerisce che una vittoria blu nel novembre 2025 non è affatto scontata. Come osservato sopra, molto dipenderà dalla capacità dei Democratici di presentare un programma credibile, capace di rispondere concretamente alle preoccupazioni economiche dei newyorkesi.
Dall’altro lato, proprio perché l’elettorato che ha voltato le spalle ai Democratici nel 2025 ha votato rosso più per frustrazione verso lo status quo che per convinzione ideologica, promesse come quelle avanzate da Zohran Mamdani in campagna elettorale potrebbero davvero fare breccia. L’ostacolo, in questo caso, sta negli sforzi ingenti che Donald Trump e il movimento MAGA stanno investendo per affondare i Democratici nella Grande Mela.
No ai “comunisti lunatici”: la battaglia MAGA contro i Dem
Alla notizia della più che probabile vittoria di Mamdani alle primarie democratiche, Donald Trump non ha usato mezzi termini. Sul suo social Truth ha scritto che “il Partito Democratico ha superato ogni limite”, definendo Mamdani un “comunista lunatico” e un “radicale di sinistra”, dall’aspetto terribile (in lettere maiuscole), voce gracchiante e intelligenza limitata.
Non è un segreto che Mamdani si collochi su posizioni più a sinistra rispetto a Cuomo e agli altri candidati, definendosi apertamente socialista. Com’era prevedibile, Trump e il movimento MAGA hanno cavalcato le sue dichiarazioni – e ora la sua quasi certa vittoria alle primarie – per lanciare una campagna di demonizzazione contro i Dem, in particolare nella sua incarnazione newyorkese.
Per i MAGA, New York rappresenta un santuario liberale da abbattere: lo dimostra il malcontento del movimento per la scarsa cooperazione tra le autorità dell’immigrazione locale e quelle federali nella campagna di espulsione degli immigrati “illegali” in corso fin dall’inizio della seconda presidenza Trump, dovuta soprattutto alle sanctuary laws vigenti in città – politiche e pratiche attuate dalle amministrazioni locali americane per limitare la loro cooperazione con l’applicazione della legge federale sull’immigrazione in città; lo dimostra, ancora, l’attacco del presidente alle istituzioni liberali della città, come la Columbia University.
In più, il profilo di Mamdani contribuisce ad alimentare le accuse: immigrato e musulmano, la sua ascesa ha scatenato una valanga di commenti islamofobici, alcuni dei quali spingono fino a sostenere che la sua elezione a sindaco aprirebbe le porte della città ai terroristi.
Per Trump e i suoi, dunque, le elezioni comunali del novembre 2025 rappresentano un’occasione d’oro per costruire una campagna anti-Dem fondata su un ritratto del Partito come nemico dell’ordine pubblico e del popolo americano: una forza politica allo sbando, scollegata dalla realtà e irrimediabilmente radicalizzata. Resterà da capire fino a che punto questi tentativi incideranno sulle scelte dell’elettorato alle urne.
Eric Adams e il rapporto con Donald Trump: dalla caduta delle accuse alla campagna elettorale
Un ultimo aspetto rilevante da considerare è il rapporto sempre più stretto tra l’attuale sindaco di New York, Eric Adams, e il presidente Trump. Sebbene Adams appartenga al Partito Democratico, le sue posizioni in materia di criminalità e immigrazione illegale lo hanno avvicinato nel tempo al presidente. In particolare, il sindaco ha esortato le forze di polizia newyorkesi a collaborare con le autorità federali dell’immigrazione nelle operazioni contro gli “illegali” presenti in città, presumibilmente in contrasto con le sanctuary laws attualmente in vigore.
Il legame tra Adams e Trump si sarebbe rafforzato in seguito alle accuse di corruzione rivolte al sindaco, poi assolto dopo che il Dipartimento di Giustizia ha ordinato alla città di New York di far cadere i capi d’imputazione. Gli incontri avvenuti tra Adams e Trump prima dell’inaugurazione presidenziale e, successivamente, lo scorso febbraio a Washington D.C., alimentano l’ipotesi secondo cui l’archiviazione delle accuse contro il sindaco sia stata voluta dal presidente in cambio di un atteggiamento più collaborativo nei confronti della sua politica anti-migratoria, e di una riduzione dell’attrito con le attività dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) nella città.

Di recente, Adams si è inserito nella corsa elettorale come candidato indipendente. Una scelta che appare strategica: le accuse di corruzione gli hanno fatto perdere gran parte della base democratica, rendendo di fatto impraticabile una candidatura all’interno del Partito. La narrativa della sua campagna ha assunto toni ancora più moderati – Adams si era comunque sempre posizionato al centro nello spettro Dem – e ora cerca di costruire un’immagine di sé come figura impegnata a servire l’intera cittadinanza newyorkese, al di là degli interessi di parte.
Resta difficile stabilire quanto il presidente Trump si spenderà attivamente per sostenere Adams contro il Partito Democratico, al fine di mantenere nella città un potenziale alleato che possa, presumibilmente, contribuire a smantellare il “santuario” newyorkese dall’interno. Tuttavia, un appoggio esplicito da parte del presidente rimane un’ipotesi del tutto plausibile.
In un modo o nell’altro, lo spettro della presidenza Trump aleggia tra i grattacieli della Grande Mela – la città che, tra l’altro, gli ha dato i natali. È ancora troppo presto per pronunciarsi con certezza su quanto gli sforzi del presidente e della sua amministrazione per affondare il Partito Democratico e sostenere i propri alleati riusciranno ad avere la meglio sulla battaglia anti-MAGA condotta da Zohran Mamdani e dai Democratici newyorkesi. Molto dipenderà dalla capacità di questi ultimi di conquistare la fiducia dei cittadini e di mantenere salde le mura blu che contraddistinguono la città più popolosa e più diversificata d’America.