Trump incandidabile in Colorado: perché questa decisione?
La storica sentenza di una corte statale porterà a un ricorso presso la Corte Suprema federale: ecco i possibili scenari
È di questa notte la decisione della Corte Suprema del Colorado di escludere (disqualify) l’ex Presidente Donald Trump dalle elezioni presidenziali 2024 nel territorio dello stato. Quella della Corte del Centennial State, lo stato del centenario - chiamato così perché ammesso come trentottesimo stato dal presidente Ulysess Grant nel 1876, esattamente cent’anni dopo la Dichiarazione d’Indipendenza – è senza precedenti, con la tirata in ballo di una clausola di un emendamento della Costituzione Americana, il quattordicesimo, che risale addirittura alla fine della Guerra Civile, utilizzato per la prima volta contro un candidato alle primarie presidenziali. La norma fu introdotta per bloccare il rientro nelle cariche elettive federali di qualche figura politica compromessa con la Confederazione sudista, che potesse destabilizzare il fragile ordine costituito sulle ceneri del conflitto, magari per tentare nuovamente colpi di mano secessionisti. L’esclusione di Trump, contenuta nella sentenza della Corte Suprema del Colorado, infatti, è data dal suo riconoscimento quale leader effettivo e in pieno supporto dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, riconosciuto come atto d’insurrezione.
A pochissimi giorni dall’inizio della tornata di elezioni primarie, che porteranno alla scelta dei candidati che si fronteggeranno per la disputa presidenziale di novembre 2024, questo colpo di scena sicuramente lascia aperta la porta a dibattiti, considerazioni e previsioni. Per vederci più chiaro, abbiamo chiesto ad Alessandro Tapparini, giurista, esperto di Stati Uniti e penna affezionata di Jefferson, di darci la sua opinione in merito e capire meglio questa situazione straordinaria.
«La Corte Suprema dello Stato del Colorado ha delegittimato Donald Trump a comparire sulla scheda elettorale delle elezioni generali, cioè ad essere candidato alla Presidenza degli Stati Uniti», afferma Tapparini. «Di conseguenza essa ha stabilito anche che Trump non può partecipare alle primarie Repubblicane».
Vale la pena ricordare che le primarie non sono elezioni che coinvolgono solo il Partito di riferimento esclusivamente dal punto di vista interno. «A differenza del nostro Paese, negli Stati Uniti le primarie hanno un risvolto pubblico, sono regolate dalla legge e non sono affidate totalmente all’autonomia dei partiti. Hanno quindi rilevanza pubblica anche sul piano giuridico normativo», spiega Tapparini.
Il GOP, quindi, non può ignorare questa storica decisione della Corte del Colorado, che potrebbe essere ribaltata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti se Trump decidesse di fare appello. «La Corte Suprema del Colorado ha stabilito che fino al 4 gennaio la sua decisione non sarà esecutiva: lo diventerà dal 5 se Trump non avrà fatto appello», prosegue.
Qual è però la situazione attuale della Corte Suprema federale? Composta di nove giudici eletti da diversi Presidenti nel corso degli ultimi decenni, ben sei di questi sono di area Repubblicana, come ci ricorda Tapparini. Di questi sei giudici, tre sono stati eletti proprio da Donald Trump (Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett). L’ufficio stampa di Donald Trump ha fatto sapere immediatamente dopo la decisione della Corte Suprema del Colorado di avvalersi dell’appello. «Trump, quando si rivolge alla Corte Suprema degli Stati Uniti, parte dal presupposto di giocare in casa. Questo però non gli dà assolutamente garanzia di sentirsi dare ragione ogni volta, anzi in passato è accaduto anche il contrario. Tuttavia, ci sono i presupposti per provarci», afferma.
Le domande a questo punto sono molteplici: l’appello di Trump alla Corte Suprema riuscirà a ribaltare veramente la situazione? Quanto questa decisione storica rimarrà puramente simbolica o sarà effettiva a livello giuridico?
Secondo Tapparini non ci sono dubbi, con un’alta probabilità che la Corte Suprema degli Stati Uniti ribalti la sentenza e che questa storia rimanga simbolica. «Non dimentichiamoci che la decisione della Corte del Colorado è stata presa a maggioranza di un solo voto contro tre (4 - 3), che è abbastanza borderline. La maggior parte degli analisti ritiene probabile che la Corte Suprema degli Stati Uniti la cassi», spiega.
Quello che rimarrà dunque, è «la sensazione che ha provocato, più che un effetto giuridico che potrebbe non arrivare mai a prodursi concretamente», come puntualizza Alessandro Tapparini. Non meno importante il fatto che il Colorado è da un bel po’ di anni un blue state, dove i Repubblicani vengono dati per perdenti e che non impatterà moltissimo sulla candidatura alla Casa Bianca. Tutto, dunque, si esaurirebbe sul piano dell’immagine e della reputazione.
Trump, d’altra parte, non è neanche uno che demorde facilmente per vie legali e la sua campagna elettorale potrebbe essere costellata di procedimenti giudiziari nei suoi confronti. Quanto sarà cruciale quindi alle urne elettorali? Come reagiranno i Trumpiani? «Noi italiani sappiamo per esperienza che questo tipo di situazioni non fanno che ringalluzzire lo zoccolo duro dei simpatizzanti del politico sotto procedimenti giudiziari, perché viene visto come un tentativo di fargli lo sgambetto usando una via alternativa al processo democratico del voto, falsando quindi la campagna elettorale», spiega Tapparini. «Ciò renderebbe gli elettori fedeli a Donald Trump più motivati a farlo».
Dall’altra parte coloro che non volevano in partenza votare Trump saranno ancora meno propensi a farlo, mossi dal danno alla reputazione che darà loro ulteriori conferme. «Resta da capire sullo sfondo se ai suoi avversari Democratici, come Joe Biden, se conviene avere Trump candidato oppure no», riflette Tapparini. «Si potrebbe pensare che a Biden giovi avere come avversario Trump: lo stesso Presidente ha recentemente dichiarato pubblicamente che lui non si sarebbe ricandidato per un secondo mandato se Trump non fosse lo sfidante principale».
La questione riflette esclusivamente quindi sulla reputazione con cui Trump affronterà la lunga marcia verso le presidenziali del 2024. «Il tema non sta tanto sull’esclusione di Trump dalle elezioni, come stabilito dalla sentenza, ma che ci partecipi con tanto piombo nelle ali, con un ruolo di persona con molti guai giudiziari, non pulita, non affidabile e non corretta», spiega Tapparini.
Per Tapparini, inoltre, è curiosa anche la scelta di impugnare la norma facente parte del Quattordicesimo Emendamento. «La norma utilizzata è riconducibile a un contesto estremamente particolare. Ripescarla per Trump nel 2023 implica una forzatura, in un certo senso», conclude.