Trump: da corpo estraneo a leader autoritario
Se nel 2016 il tycoon era bloccato da un Congresso che non riusciva a controllare e da un apparato burocratico a lui ostile, oggi questo sistema di pesi e contrappesi è saltato
Un commentatore di Fox News, una politica ex democratica che ha rapporti diretti col dittatore siriano Bashar Assad, un anti-vaccinista che crede a tutte le principali teorie del complotto, una persona indagata per traffico sessuale e sotto accusa da parte del comitato etico della Camera per condotte scorrette, tra cui la partecipazione a festini con presenza di minorenni. Queste sono alcune delle nomine di Trump per il suo secondo governo, che hanno mandato nel panico Washington.
Quando il tycoon vinse nel 2016, all’iniziale scoramento e paura di molti prevalse la certezza che il sistema democratico americano fosse molto solido e che un singolo individuo, per quanto importante potesse essere, si sarebbe scontrato con un nucleo di ufficiali e burocrati, da anni impiegati del governo federale, che avrebbero impedito di portare a termine i suoi disegni marcatamente anti-costituzionali. In parte, il primo mandato di Trump fu proprio così. Da un lato, doveva scendere a più miti consigli con un Partito Repubblicano che aveva devastato nella sua campagna alle elezioni primarie, distruggendo verbalmente tutti i principali possibili leader del futuro; dall’altro, quando riteneva di poter agire indisturbato per salvare amici e sostenitori da possibili cause giudiziarie si ritrovava spesso impossibilitato a farlo.
I primi mesi della presidenza Trump, a partire dalle nomine, furono emblematici in tal senso: alla Difesa il nome fu quello di Jim Mattis, un ufficiale molto stimato dal Pentagono, e alla giustizia il senatore dell’Alabama Jeff Sessions. Nomi sicuramente conservatori, ma lontani dalle idee autoritarie che il Presidente già dimostrava di avere: mentre il procuratore speciale Robert Mueller indagava sui rapporti tra la campagna Trump e la Russia, il tycoon cercava in ogni modo di stoppare l’investigazione e incoraggiava Sessions a portare il dipartimento di giustizia a più miti consigli. Trump non comprendeva come fosse possibile che il potere giudiziario non rispondesse al Presidente in carica; Sessions non aveva nessuna intenzione di scavalcare le prerogative costituzionali dei giudici per favorire Trump, e venne rimosso dall’incarico nel 2018.
Allo stesso modo, i Repubblicani al Congresso erano ancora lontani dall’adesione incondizionata al trumpismo. Donald Trump aveva ridotto in cenere il Partito e avrebbe ricominciato a costruirlo a sua immagine e somiglianza due anni più tardi, nel 2018, iniziando l’operazione di candidare persone senza particolare esperienza politica, ma di sicura lealtà al presidente, contro i deputati repubblicani più moderati. In questo periodo di mezzo, però, Trump non è riuscito a ottenere grandi vittorie identitarie, al netto del taglio radicale delle tasse, ascrivibile però a idee economiche di un partito repubblicano reaganiano, più che condizionato dal movimento MAGA. Rimane emblematico il voto contrario del Senatore dell’Arizona John McCain alla distruzione del provvedimento di estensione delle coperture sanitarie attuato sotto la presidenza Obama, il cosiddetto Obamacare, che Trump voleva far saltare senza nessun piano alternativo.
Alla vicepresidenza, poi, era stato nominato Mike Pence, un conservatore cristiano radicale, vicino al mondo evangelico, con opinioni ben più estreme di Trump sui diritti civili e soprattutto sull’aborto, per cui ancora oggi sostiene un divieto nazionale. Nel 2016 Trump era molto lontano dal mondo cristiano: un ricco imprenditore sposatosi tre volte e di cui uscivano leak di audio in cui diceva di «poter prendere le donne per la figa». Aveva bisogno di una figura che convincesse gli evangelici a votare per lui. Dopo il 6 gennaio, quando anche Pence si rifiutò di andare contro ai suoi doveri costituzionali e ratificò l’elezione di Biden, venendo attaccato sia da Trump che dai suoi sostenitori che minacciarono di impiccarlo, l’ex vicepresidente ha cercato di ritagliarsi una posizione radicalmente conservatrice ma alternativa al trumpismo all’interno del Partito Repubblicano, senza riuscire nell’intento. Candidato alle primarie del 2024, si è ritirato prima che le primarie stesse iniziassero ufficialmente e si è trincerato nel silenzio, dicendo soltanto che non avrebbe votato nessuno dei due principali candidati.
Non c’è spazio per Pence nel nuovo Partito Repubblicano, e questo perché è sempre più evidente l’adesione totale del Partito alla retorica trumpiana. Sempre più deputati e senatori sono vicini al presidente eletto perché vittoriosi grazie a lui. Questo genera un sentimento di lealtà e fiducia che rischia di minare il ruolo del Congresso, che dovrebbe limitare la presidenza. Dopo il fallito golpe del 6 gennaio, i Repubblicani hanno avuto la possibilità di votare un impeachment a Trump per i fatti occorsi e far sì che non potesse più candidarsi ai pubblici uffici. Impauriti da come i votanti vicini a Trump avrebbero preso questa mossa, i senatori hanno preferito salvare il tycoon, nonostante l’evidente gravità dei fatti che avevano messo in pericolo loro stessi, per paura di ritorsioni elettorali. Nei giorni scorsi si è parlato della vittoria della vecchia guardia del Senato con l’elezione a leader della maggioranza repubblicana di John Thune, senatore del North Dakota voluto in quel ruolo da Mitch McConnell, che ha sconfitto Rick Scott, sostenuto invece dal mondo MAGA. Una vittoria che cambierà poco negli equilibri di un Senato che sta ventilando l’idea – nelle parole di Trump, ma anche di alcuni senatori – di abdicare alla funzione di garanti dell’ordine costituzionale con il processo di audizione di ogni candidato al Governo. Trump ha chiesto che i suoi candidati possano passare senza il voto del Senato, e i senatori repubblicani stanno riflettendo se fare l’ennesimo passo indietro.
I politici che invece hanno fatto carriera direttamente grazie a Trump sono quelli che salgono di livello ed entrano nell’amministrazione: il deputato della Florida Matt Gaetz potrà, se confermato dal Senato oppure se il Senato deciderà di andare in pausa senza confermare le nomine, avere a disposizione l’intero dipartimento di Giustizia. Dopo aver generato una gravissima crisi interna al Partito alla Camera, quando si è posto a capo di una fronda per sfiduciare lo Speaker Kevin McCarthy, ritenuto troppo lontano dall’ortodossia trumpiana, può cercare di portare a termine il piano di Trump: licenziare i burocrati federali che non rispondono al Presidente e porre il dipartimento di giustizia alle dirette dipendenze di Trump, che potrebbe utilizzarlo per fabbricare accuse contro i suoi avversari politici.
In un governo che avrà come collante principale la lealtà a un singolo uomo, Trump potrà portare a termine quello di cui parla ininterrottamente da due anni: costruire un sistema burocratico che si basi sulla lealtà diretta al presidente, attraverso nomine per servire nella pubblica amministrazione, e portare a termine i suoi piani senza intralci del Congresso, del potere giudiziario o di qualsiasi altro organo costituzionale. Se nel 2016 Trump era un corpo estraneo al Partito Repubblicano, e non riusciva ad attuare molti dei suoi piani perché stoppato dalla leadership del partito o dagli amministratori di professione, il presidente eletto avrà un secondo mandato in cui la sempre più ampia lealtà nei suoi confronti rischia di far saltare l’intero sistema di pesi e contrappesi che tiene in equilibrio la democrazia americana.