Tedesco o sovversivo? Una storia dalla Grande Guerra
Prima del Red Scare, durante la Prima guerra Mondiale un’ondata di paura ingiustificata si scatenò contro gli americani di origine tedesca, generando la sommersione di una cultura.
Il 4 aprile 1918, a Collinsville, Indiana, un minatore di origine tedesca, Robert Prager, venne linciato. Si trattava di un socialista, una persona politicamente impegnata, accusata però da una folla violenta di essere una spia della Germania Imperiale. Venne denudato, portato in giro per il Paese come un trofeo, costretto a cantare canzoni patriottiche, a baciare la bandiera degli Stati Uniti, e, infine, impiccato a un albero. I giornali del luogo, nei giorni successivi, scrissero della convinzione che fosse un uomo sleale, di come alla comunità non mancasse per nulla e che la sua morte aveva dato una lezione agli altri come lui.
La storia di Prager fu estremamente violenta, ma racconta molto di come i cittadini americani vissero il sentimento bellico, e se oggi negli Stati Uniti non troviamo quasi nulla di ostentatamente tedesco il motivo va ricercato proprio in questi anni, quando una comunità, per sopravvivere, dovette disfarsi per intero della propria identità.
Durante gli anni Cinquanta del XIX secolo in America arrivarono un milione di persone da Germania e Paesi limitrofi, arrivando, nel 1910, ad essere il 9% della popolazione censita. Tutte le più grandi città, come New York, Philadelphia, Chicago ma soprattutto Milwaukee, St. Louis e Cincinnati, definite il German Triangle, avevano un gran numero di abitanti germanofoni.
Erano una comunità fortemente attiva dal punto di vista sociale, avevano fondato diversi club, società di mutuo soccorso, giornali in lingua, e apparivano molto legati alla loro cultura d’origine, tanto da cercare di preservarla in ogni modo: non è quindi un caso che il tedesco fosse la lingua straniera più studiata negli Stati Uniti prima del 1915 (nel 25% delle scuole, contro un misero 1% successivo).
Quando nel 1917 gli USA entrarono in guerra, il rapporto con questa popolazione, e soprattutto con la loro ostentata cultura differente, era già in crisi: l’anno precedente erano infatti nate società patriottiche, come la National Security League o la American Defense Society, che volevano unire il Paese sotto un sentimento di fedeltà nazionalistica. Le persone di origine tedesca, che non avevano abbandonato il retroterra culturale dei nemici, dovevano costantemente provare di essere americani.
In questo periodo si formò l’idea che il linguaggio era organico all’anima: parlare tedesco implicava pensare come tale e quindi essere politicamente assimilabile ai nemici. Non c’era fuga da una situazione difficile: se ti dichiaravi contro la guerra, venivi processato per tradimento, se ti mostravi ultrapatriottico venivi percepito come ipocrita, e quindi da controllare a fondo. Nell’anno dell’ingresso in guerra era sentire comune affermare che l’immigrato più pericoloso era quello che portava nel petto la bandiera americana e nel cuore il giuramento di fedeltà al Kaiser.
La battaglia che i patrioti combattevano era pensata per distruggere questo legame stretto: non si doveva più utilizzare il tedesco come lingua di comunicazione e non si poteva nemmeno più insegnarlo, le associazioni culturali e i giornali dovettero chiudere i battenti. A soffrire furono tanti e in modo diverso: le comunità religiose, soprattutto mennoniti, amish e anabattisti, che oltre a provenire da quel brodo culturale erano pacifiste per convinzione religiosa, vennero identificate come simpatizzanti del nemico, anche per via del fatto che non si erano mai integrate col resto della popolazione, vivendo nella loro comunità chiusa, piuttosto incomprensibilmente all’occhio di molti. Le loro chiese vennero bruciate, il loro bestiame venduto per finanziare bond di guerra, le bandiere degli Stati Uniti issate sulle loro chiese: molti di questi dovettero fuggire in Canada a causa del clima eccessivamente pesante che si era creato.
Un altro elemento culturale da abbattere era la musica, vista come pericolosa perché insegnava, con il suo ritmo, la filosofia di conquista, tempesta e devastazione propria del mondo germanico. I cantanti d’opera e i direttori d’orchestra tedeschi erano molti, e la Metropolitan Opera House di New York suonava spartiti tedeschi per il 29% del tempo. Karl Muck, direttore d’orchestra che aprì la stagione dell’Opera newyorchese nel 1917 suonando Star Spangled Banner, venne aspramente criticato semplicemente per la sua nazione d’origine, tanto che l’ex governatore del Maryland Warfield lo definì “uno da piazzare in internamento, che canti o meno l’inno”. Muck non era un tedesco bellicista, riteneva l’arte un concetto slegato dalla politica, assolutamente non responsabile dei tempi: nonostante ciò fu internato nel campo di Fort Oglethorpe, in Georgia, dove rimase per più di un anno.
Con l’opera che diventava un fatto politico, generando una reazione contro i maestri tedeschi, fu la scuola italiana a prendere il sopravvento: è proprio in questi anni che dobbiamo ricercare il motivo per cui la Metropolitan Opera House ancora oggi è un luogo cardine dell’espansione culturale dell’opera italiana nel mondo.
Non fecero eccezioni i libri: sia sillabari e libri di testo di insegnamento della lingua tedesca, sia opere più compiute della letteratura vennero censurati, nascosti in reconditi angoli e magazzini delle biblioteche, se non addirittura bruciati su pubblica piazza. La stessa società che due decenni dopo guardò con sdegno i falò nazisti che colpivano l’arte – a loro dire – degenerata vedeva nel rogo un atto patriottico contro i tiranni che avevano precipitato il Paese in una guerra sanguinosa.
Oggi è difficile vedere i segni della comunità tedesca negli Stati Uniti, ma in qualche modo esiste ancora: a New Orleans, quella che oggi chiamiamo Pershing Street, generale dell’American Expeditionary Force, era l’antica Berlin Street, molti uomini anglicizzarono i loro cognomi, per esempio da Schmidt a Smith e in generale ci fu la volontà di nascondere un’intera storia culturale nel tentativo di non avere problemi con il resto dei cittadini. L’hamburger, nome di derivazione tedesca richiamante la città di Amburgo, per un periodo venne definito Liberty Sandwich, ma questo non durò a lungo: probabilmente il segno più grande della Germania negli Stati Uniti odierni sta nel nome del piatto che più hanno esportato e reso celebre in tutto il mondo.
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