Surfin’ USA a Tahiti: Giochi olimpici d’oltremare
L’isola della Polinesia francese è stata scelta come succursale per la disciplina del surf nonostante i diecimila chilometri che la separano dalla capitale olimpica
Alcuni parlano del surf non solo come di uno sport, ma come di una filosofia di vita.
Negli anni Sessanta c’erano le infinite spiagge oceaniche della California, gli spot ancora incontaminati delle Hawaii e i rudimentali longboard di legno. Negli anni Settanta il surf ha acquisito uno stile più riconoscibile, influenzato dalla cultura hippie, da movimenti più fluidi e da un’innovazione tecnica nel design delle tavole. Gli anni Ottanta e Novanta hanno segnato invece una svolta per il mondo del surf, diventato ormai caratteristico della cultura americana tanto quanto il football. In questi anni sono stati introdotti gli shortboard: tavole più corte, veloci e maneggevoli, che hanno permesso l’evoluzione verso un surf più “acrobatico”. È in quel momento che questo sport si trasforma da sottocultura giovanile a prodotto commerciale: iniziano gare e campionati a livello mondiale, con conseguenti sponsor, che creano un circolo economico intorno al mondo del surf.
I surfisti che scalano le classifiche mondiali, cavalcando onde leggendarie, diventano dei veri e propri atleti. Contestualmente, i brand non sono più solo etichette che producono abbigliamento tecnico, ma delineano e incarnano lo stile del surf, dentro e fuori dall’acqua. La filosofia di vita diventa un prodotto, che viene venduto a chi è affascinato da questo mondo ma ne ignora la storia, l’evoluzione o i principi.
Tante sono state le critiche da parte della comunità del surf verso la sua evoluzione: oltre alla commercializzazione, si parla anche di impatto ambientale e cambiamenti culturali. L’aumento del turismo legato al surf e la costruzione di piscine con onde artificiali hanno sollevato preoccupazioni sull’impronta ambientale dello sport. I luoghi per cavalcare le onde sovraffollati possono portare all’erosione e al danneggiamento degli ecosistemi locali, e la produzione di tavole da surf e altri equipaggiamenti spesso coinvolge materiali e processi dannosi per l’ambiente[1].
Queste critiche evidenziano la tensione tra la preservazione degli aspetti tradizionali e autentici del surf e l’accettazione della sua evoluzione in uno sport professionale globale. Man mano che il surf continua a crescere e a evolversi, trovare un equilibrio tra questi elementi rimane una sfida.
Molto dibattuta è stata anche l’introduzione di competizioni di surf e la creazione di organizzazioni come la World Surf League (Wsl), che lo hanno trasformato in uno sport per spettatori di massa. Sebbene ciò abbia ne aumentato il profilo, alcuni surfisti sostengono che questo processo abbia colpito le radici controculturali del surf, trasformandolo in un’attività guidata dal business, focalizzata principalmente sulle sponsorizzazioni e sulla copertura mediatica.
Polemiche che si sono riaccese con l’avvicinamento dei Giochi olimpici, nei quali, tra le varie discipline è stato inserito proprio il surf. Il surf ha debuttato per la prima volta alla tornata olimpica di Tokyo 2020 (edizione rimandata poi al 2021 a causa del Covid-19) ed è tornato quest’anno per Parigi 2024. Con una differenza sostanziale: nei Giochi olimpici di tre anni fa, infatti, gli spot in cui si disputavano le gare erano spiagge giapponesi non lontane dalla capitale. Quest’anno invece, per ovvi motivi logistici, la scelta della location per gli atleti del surf è ricaduta su Tahiti. Nonostante in Francia non manchino spiagge con ottime onde – dalla costa basca fino alla Bretagna – amate dai surfisti di tutto il mondo, gli organizzatori hanno preferito optare direttamente per una colonia d’oltremare e andare sul sicuro.
Teahupo’o, a Tahiti, è stata infatti scelta per la qualità e consistenza delle onde, garantite durante il periodo di luglio e agosto, al contrario degli spot francesi, che presentano condizioni meno affidabili durante questo periodo[2]. Le onde di Teahupo’o sono inoltre famose per i loro grandi tubi pesanti, che offrono uno spettacolo cruciale per mantenere l’appeal del surf e attirare una significativa quota di attenzione[3].
Apparentemente la scelta sembra appropriata, con un intento di mantenere lo spirito tradizionale del surf, riportandolo alle sue origini nella Polinesia francese. Allo stesso tempo, le perplessità hanno riguardato la lontananza di Tahiti dalla venue parigina. La coerenza dell’evento olimpico è stata infatti criticata, poiché tutti gli altri sport si terranno entro o vicino alla città ospitante, mentre il surf si svolgerà su un’isola del Pacifico. Alcuni sostengono che questa separazione geografica possa minare l’esperienza olimpica, creando un precedente problematico per futuri Giochi, in cui gli eventi potrebbero essere dislocati in modo simile[4].
Un’altra discussione ha invece riguardato l’impatto ambientale della costruzione di una torre destinata a ospitare giudici e telecamere nello spot, che potrebbe danneggiare le barriere coralline locali. La vecchia torretta in legno, costruita oltre vent’anni fa, è stata sostituita infatti con una struttura in alluminio a tre piani, suscitando preoccupazioni per l’impatto ambientale e danneggiando i coralli, che impiegano anni per riprendersi. Nonostante le proteste e una petizione con oltre 257.500 firme, gli organizzatori hanno proceduto con la costruzione, scegliendo un’area con meno corallo. Tuttavia, sono stati comunque causati danni durante i lavori, lasciando aperta una situazione controversa[5].
Al netto delle varie considerazioni che hanno riguardato questa nuova disciplina olimpica, molti sono gli occhi puntati sul team Usa. In gara ci sono alcune delle nuove promesse del surf mondiale. Portabandiera del team maschile è John John Florence, due volte campione del mondo e al suo secondo impegno olimpico dopo aver partecipato a Tokyo 2020. Nonostante un infortunio al ginocchio, nelle ultime performance ha vinto la sua batteria. Insieme a lui Griffin Colapinto, alla sua prima edizione dei Giochi dopo un anno eccezionale che l’ha visto classificarsi terzo nel tour della Wsl 2023. Anche lui sta conquistando ottimi risultati. Per il team femminile, ci sono i nomi di Carissa Moore, cinque volte campionessa mondiale e oro olimpico di Tokyo 2020, Caroline Marks, altra stella del surf americano, e Caitlin Simmers, giovane promessa di diciotto anni che farà il suo debutto olimpico a Parigi[6].
Nel tropicale spot di Teahupo’o, tra le varie polemiche e le grandi aspettative, i surfisti americani possono comunque ritenersi più fortunati di performare nelle limpide acque tahitiane rispetto ai loro colleghi che gareggeranno nella Senna.
[1] The historical journey of surfing: from ancient roots to modern culture, Totalsurfcamp
[2] Passing The Torch: Why Teahupoo, Not Hossegor?, Surfline
[3] Top Facts about the Olympic Surfing Venue at Teahupo’o, Tahiti, Olympics.com
[4] Why Olympic surfing events are in Tahiti, thousands of miles from Paris, Northern Public Radio
[5] Olimpiadi di Parigi 2024: qual è l’impatto ambientale delle gare di surf a Tahiti?, National Geographic
[6] Surfing 101: U.S. Olympic roster and athlete news, Nbc Olympics