Stormy Daniels: ritratto della tempesta femminista che ha colpito Donald Trump
L'attrice e registra del mondo del porno che non è mai scesa a patti con il silenzio, oggi celebra Donald Trump colpevole.
In questi mesi si è spesso sentito parlare di Stormy Daniels, l’attrice del mondo del porno che è sorprendentemente riuscita dove altri prima di lei avevano fallito: Daniels, infatti, rappresenta la miccia che ha fatto esplodere il processo a Donald Trump, in ultimo ritenuto colpevole per tutti i 34 capi d’accusa a lui imputati.
Nome d’arte di Stephanie Clifford, la vita di Stormy Daniels si intreccia con quella di Trump per la prima volta nel 2006, quando i due avrebbero avuto un rapporto sessuale consensuale su cui Trump ha cercato di far calare il silenzio tramite pagamenti poi registrati in maniera erronea e che hanno portato oggi all’accusa di falso in bilancio.
In un accurato lavoro di ricostruzione storica degli ultimi 18 anni, il New York Times ha cercato di ripercorrere le diverse tappe del rapporto tra i due, solo apparentemente esauritosi a quella notte del 2006 trascorsa in un hotel in Nevada e alla promessa apparizione di Daniels – mai concretizzatasi – in The Apprentice, il reality show di Trump.
Tuttavia, i due continuano a incontrarsi in diverse occasioni – ma in maniera saltuaria e mai terminata con rapporti sessuali – fino al 2011, quando Daniels sembra considerare per la prima volta di rendere pubblico il rapporto avuto con il tycoon vendendo la storia al magazine Life & Style per quindici mila dollari. È a quel punto che interviene l’avvocato personale di Trump, Michael Cohen, convincendo Daniels a desistere senza passare per i pagamenti oggi contestati. Questi ultimi, infatti, risalgono al 2016, mesi dopo l’’ufficializzazione della nomina di Trump a candidato del Partito Repubblicano per la presidenza degli Stati Uniti.
Stephanie Clifford non è l’unica, in quei mesi, a interpretare la nomina di Trump come una occasione di rivalsa: diverse testate giornalistiche iniziano a scavare nel passato di Trump ed è il Washington Post a ritrovare una registrazione risalente al 2005 del candidato repubblicano effettuata sul set di “Days of Our Lives” dove commenta in modo osceno i suoi rapporti di potere con il mondo femminile.
È a quel punto che Daniels trova nuovo vigore per vendere la sua storia, ma David Pecker di The National Enquirersembra preferire Donald Trump, aiutandolo a coprire la storia e rifiutando l’accordo precedentemente negoziato tra l’agente di Daniels e Dylan Howard, l’editore del giornale.
Iniziate le trattative tra avvocati – Cohen per Trump e Keith Davidson per Stephanie Clifford – sempre nel 2016 e alle porte delle elezioni di novembre, Cohen effettua un bonifico a Daniels di centotrenta mila dollari provenienti da un ente di nuova costituzione, la Essential Consultants.
Sarà solo nel febbraio del 2017 che Cohen inizierà ad essere rimborsato per un totale di quattrocentoventi mila euro. La Trump Organization ha poi registrato questi pagamenti come “spese legali” citando un supposto accordo legale con Cohen, secondo i procuratori mai esistito e derivato da una evidente falsificazione di documenti aziendali.
Nel 2018 il Wall Street Journal racconta per la prima volta dello scambio di denaro avvenuto tra Daniels e Trump per coprire il loro rapporto sessuale e da quel momento s’innescherà un effetto domino che ha visto oggi un Trump colpevole incontrare di nuovo, dopo anni, Stormy Daniels, non più in una privata stanza d’hotel, ma in un’aula di tribunale a New York circondati da giornalisti.
Stormy Daniels viene spesso trattata passivamente nelle ricostruzioni fatte del processo Trump, come un agente di contorno senza particolare protagonismo e capacità di autodeterminazione – un profilo in spiccata contraddizione con il mondo del lavoro di Clifford.
Esiste, tuttavia, una voce che è stata capace di raccontare una Stormy Daniels autentica, ed è proprio quella della stessa Stephanie Clifford che nel 2019 si riappropria, finalmente, della narrazione degli eventi e di che valore attribuire al rapporto con Trump: pubblica, infatti, Full Disclosure, il libro attraverso il quale Daniels si ricostruisce come la donna che ha sfidato il Presidente. Dalla sua esperienza come attrice e registra del mondo del porno, Clifford ripercorre le tappe di una infanzia difficile in Louisiana fino alle sue interazioni con Trump e i tentativi di «ridurla al silenzio».
In una scelta vicina alle pratiche femministe che demandano la riappropriazione dei propri vissuti e che chiedono a ciascuna persona di tenere saldo il megafono con cui dare la giusta eco alla propria identità, Daniels scrive di sé, del rapporto con una madre «assente, depressa e narcisista», dei successi al liceo e della scelta di lavorare in strip club dall’età di 17 anni per mantenersi.
Una self-made woman, che ha vissuto sulla propria pelle la fatica dietro quel “from rags to riches” con cui si cerca di liberarsi dal fardello della povertà in un mondo che premia dinamiche capitalistiche – per cui Daniels non nasconde fascinazione. È per questo che si identifica come Repubblicana nella sua stessa autobiografia, nonostante il supporto per i diritti delle donne, il diritto all’aborto, l’educazione sessuale e il matrimonio egualitario.
Tuttavia, è ancora prima dell’uscita del libro che negli ambienti giornalistici americani si inizia a parlare di Stephanie Clifford come esempio di femminismo: il primo editoriale sul tema lo vanta il New York Times nel 2018, con la firma apposta da Jill Filipovic su quel dirompente “Stormy Daniels: eroina femminista”.
«Il suo non è un archetipo femminile che storicamente ha stimolato molto rispetto, fiducia o simpatia. Eppure eccola qui, una donna imperfetta e completamente padrona di sé che racconta la sua storia con chiarezza e senza vergogna. E noi siamo qui, ad ascoltarla» scrive Filipovic. Daniels non si è mai fatta frenare dal suo lavoro, dal suo rapporto con Trump o dall’aver accetato i soldi nel suo appello al sistema giuridico americano, «si rifiuta di svignarsela, nonostante sia stata pagata per fare esattamente questo, secondo uno schema che abbiamo visto troppe volte da parte di uomini influenti che cercano di mantenere il loro dominio e di evitare le responsabilità».
A distanza di anni, Lauren Leader – CEO di una importante no-profit impegnata per i diritti delle donne – scrive per POLITICO riagganciandosi a Filipovic con il suo editoriale dall’approccio più interrogativo che assertivo, “Stormy Daniels: eroina femminista?”. Leader raccoglie l’analisi di Filipovic e l’abbraccia, elogiando Stephanie Clifford per la lunga lotta contro il silenzio imposto dal mondo di Trump. Solo un dubbio a dividere le autrici, ovvero che una donna proveniente da un universo lavorativo dove lo sfruttamento femminile è all’ordine del giorno possa definirsi femminista. Tuttavia, anche per Lader è proprio il background di Stormy Daniels a fare la differenza: perché Daniels rompe il ciclo di silenzio che ha frenato le donne per diverso tempo? «innanzitutto, scegliendo una carriera nel mondo del porno, aveva già rifiutato le norme sociali e i costumi sessuali, abbracciando una vita di massima esposizione. Questo le ha permesso di sfidare una convenzione sociale sessista in modi che altre donne che preferivano non esporre la propria vita sessuale non potevano fare».
Daniels parla, si racconta e – nonostante tutto – continua a farlo: l’ultima occasione è rappresentata da “Stormy”, documentario in streaming su Peacock in cui la star e regista ripercorre nuovamente la sua vita mettendoci la faccia.
La prima del documentario, andata in onda al 3 Dollar Bill, nightclub di Brooklyn, ha coinciso con il giorno in cui il giudice del tribunale statale ha valutato corretto ammettere la testimonianza di Cohen nonostante le obiezioni di Trump.
Anche nella casualità e nelle fortuite coincidenze, Stormy Daniels si riconferma, dunque, la tempesta perfetta nelle vite degli americani, soprattutto in quella di Trump: donna che si è fatta da sé, che ha scalato e sormontato ogni difficoltà della vita puntando alla ricchezza, Stephanie Clifford si libera della vecchia pelle inadatta al suo spirito e diventa Stormy Daniels, autodeterminandosi in ogni passo che compie; lo fa scegliendo il proprio corpo come arma - vivendo, quindi, l’eterno conflitto tra femminismi statunitensi pro o contro l’industria del porno - e non accettando mai il silenzio. Un profilo che fa discutere, spariglia le carte in tavola, impone riflessioni profonde rispetto alle proprie convinzioni ideologiche o valoriali, ma che soprattutto, con la sua voce, vince.