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Stoccaggio CO2: il fallimento che ci aspettavamo
Il Dipartimento dell’energia USA ha speso un miliardo di dollari in progetti di cattura di CO2 mai decollati.
Che lo stoccaggio di CO2 sia altamente dannoso per l’ambiente e per l’uomo non sono un paio di attivisti a dirlo, ma buona parte della comunità scientifica. Ed è ormai noto all’opinione pubblica che si tratti di una strada difficilmente praticabile, soprattutto se basata su progetti eccessivamente rapidi e con una scarsa probabilità di riuscita. Eppure, dal 2009, il Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti (DOE), ha investito circa 1,1 miliardi in otto progetti di cattura della CO2, che si sono dimostrati completamente fallimentari, con un’unica eccezione.
A riferirlo è un report rilasciato alla fine dello scorso anno dall’U.S. Government Accountability Office (GAO), il cosiddetto “Congressional watchdog”, una delle sezioni investigative del Congresso degli Stati Uniti e letteralmente un ibrido tra un’autorità di controllo e un organo di consulenza. Il rapporto, denominato “Carbon capture and storage. Actions Nedeed to Improve DOE Management and Demonstration Projects”, ha rilevato che il DOE avrebbe utilizzato un criterio di selezione dei progetti estremamente rischioso, sia sul fronte delle tempistiche che dei controlli.
Secondo il rapporto, i negoziati sui progetti che avrebbero dovuto essere avviati sul territorio statunitense per far fronte al crescente aumento delle emissioni di CO2 provenienti da centrali elettriche e a carbone, sarebbero avvenuti in un arco di circa tre mesi. Normalmente, queste tipologie di progetti – riferisce il GAO – richiedono analisi della durata di un anno, data la pericolosità della tecnologia.
In totale i progetti finanziati dal pacchetto federale avrebbero dovuto essere otto ma l’unico progetto effettivamente realizzato ha riguardato l’impianto di Petra Nova, centrale a carbone a Thompsons, nel Texas, che, nell’arco di tre anni, ha completato un progetto di stoccaggio delle proprie emissioni di CO2. Ironia della sorte, la tecnologia sulla quale si basava necessitava di talmente tanta energia da aver richiesto la costruzione di una nuova centrale elettrica a gas naturale del tutto separata, le cui emissioni, chiaramente, non sono state compensante.
Lo stesso progetto non prevedeva neppure di compensare la totalità delle emissioni prodotte da Petra Nova ma ha riguardato solamente gli impianti a carbone più obsoleti costruiti negli anni Ottanta. E mentre la centrale continuava a sbuffare, l’anidride carbonica recuperata veniva trasportata, tramite un gasdotto, in un giacimento petrolifero esterno, iniettata in serbatoi e infine sfruttata per l’estrazione del greggio. Che per quanto paradossale possa sembrare, è uno dei (pochi) modi efficienti di utilizzare la CO2 una volta immagazzinata nel sottosuolo.
Il progetto che avrebbe dovuto essere un modello per la cattura di CO2 per il Paese e per il resto del mondo, ha finito per alimentare il ciclo infinito dell’inquinamento globale e a dar ragione a chi, già in tempi non sospetti, dubitava delle virtù dello stoccaggio. Dopo il crollo dei prezzi del petrolio e la pandemia, Petra Nova è stata costretta a chiudere i battenti lo scorso 26 giugno.
Dei restanti progetti, tre sono stati ritirati prima di essere portati a termine mentre gli altri quattro sono culminati in accordi di cooperazione terminati prima ancora di iniziare le operazioni. Il DOE pare non voler rinunciare al sogno della cattura della CO2 e ha recentemente sostenuto di volerle provare tutte. L’obiettivo? Rimuovere la CO2 direttamente dall’aria per poi sequestrarla, sempre sottoterra, a un costo inferiore a 100 dollari a tonnellata.
Inutile il monito degli scienziati e delle agenzie internazionali come l’Agenzia Internazionale per le energie rinnovabili (Irena), che a più riprese ha sottolineato i costi proibitivi di aprire nuove centrali a carbone e tenere aperte quelle già attive. Il passaggio alle rinnovabili, secondo l’agenzia, farebbe risparmiare agli Stati Uniti circa 32 miliardi di dollari all’anno.
In quello che sembra più un remake di Don’t Look Up – e chi scrive si sente quasi come Jennifer Lawrence dopo l’intervista al Daily Rip – c’è tutta l’incapacità delle istituzioni governative statunitensi di comprendere l’urgenza della lotta al cambiamento climatico. Nonostante l’evidente fallimento, altri miliardi sono stati stanziati per progetti di cattura di CO2 dimostrativi inseriti nell’Infrastructure Bill firmato lo scorso anno dal Presidente Biden, dopo mesi di negoziati nel Congresso.
È lo zucchero che serve a repubblicani e democratici per far andar giù l’amara verità: tagliare le emissioni di carbonio resta l’unica vera soluzione per rimediare a decenni di inquinamento. Il resto serve solo a temporeggiare.