Henry Kissinger e Rosalynn Carter nella nostra memoria selettiva
La morte di questi due imponenti personaggi della storia ha innescato in America e non solo sentimenti opposti sulla croce della memoria al momento del lutto
Il bisogno di Henry Kissinger di influenzare gli affari mondiali subì una brusca battuta d'arresto nel 1977, quando fu costretto a dimettersi dalla carica di Consigliere della Casa Bianca in seguito all'elezione di Jimmy Carter. L'ex Segretario di Stato è morto mercoledì 29 novembre, all'età di 100 anni. Nel frattempo, a Plains, in Georgia, Tony Lowden, pastore della chiesa battista di Maranatha, ha reso omaggio a quella che ha definito la “più grande First Lady”, Eleanor Rosalynn Smith, coniugata Carter, moglie del trentanovesimo Presidente americano, venuta a mancare proprio dieci giorni prima di Kissinger.
Dopo la morte, ci viene consigliato di ricordare solo il bene. Tuttavia, le celebrazioni pubbliche di questi due imponenti personaggi della storia hanno innescato in America e non solo sentimenti opposti sulla croce della memoria al momento del lutto.
L’eredità lasciata da Rosalynn Carter è pulita da qualunque contaminazione critica. Indipendentemente dall’appartenenza politica o dalle scelte di vita, non è difficile provare un certo affetto per la First Lady che ora è sepolta vicino alla casa che lei e suo marito, nel 1961, hanno costruito a Plains. Non solo perché la sua storia d’amore con l’ex Presidente ha “ispirato e commosso gli americani”, come ricorda la Repubblica, ma anche e soprattutto perché “ha avuto un ruolo concreto nel suo mandato impegnandosi nelle leggi a favore della salute mentale, l’assistenza per gli anziani, la parità dei diritti”. Per il Sole 24 ore non è eccessivo dire che fu “co-presidente”.
Rosalynn Carter ha infatti proposto un modello di First Lady “moderna”: come riflette il New York Times, non si è fatta risucchiare dal suo ruolo di “non eletta, non pagata e, spesso, non apprezzata” moglie del Presidente, ma ha saputo “navigare nelle correnti della grande politica americana e affrontare dittatori stranieri”, e questo senza “mai dimenticare le sue radici” perché “voleva essere ricordata come colei che si prendeva cura dei più vulnerabili del mondo”.
Sui giornali non c’è dubbio sul fatto che la vita di Rosalynn Carter sia stata messa al servizio degli altri, sia costruendo case, cercando di portare acqua pulita o medicine a chi ne aveva bisogno, o nella sua lotta per dare attenzione alla salute mentale. Se non altro, il suo impegno verso la cura dell’altro poteva farci sperare in un mondo migliore.
Verso la fine degli anni Settanta il mondo pareva invece proprio sul punto di crollare. Anche Henry Kissinger, a suo modo, ha dedicato la sua vita a rifare il globo, ma in modo molto diverso dalla signora Carter – ed è in questo che fare i conti con il suo ricordo è più complesso. Chi era quest’uomo? Cos’ha fatto per essere ricordato con tanta grandezza e cosa invece lo ha reso un mostro?
"La missione della vita di Kissinger”, ha affermato Martin S. Indyk, ex inviato di pace per il Medio Oriente del Presidente Barack Obama, tra le righe del New York Times, “era quella di contribuire a creare e mantenere l'ordine in un sistema internazionale che minacciava costantemente di andare fuori controllo". Il Washington Post ha osservato in un editoriale che Kissinger “poteva stipulare grandi accordi che sembrano irraggiungibili ai leader statunitensi di oggi” e che “la sua diplomazia ha posto le basi per alcuni degli sviluppi più importanti della fine del XX secolo: il crollo dell’Unione Sovietica, la trasformazione della Cina in una potenza globale, il profondo coinvolgimento degli Stati Uniti nel Medio Oriente” – insomma il mondo nel quale stiamo vivendo è il suo, è la sua eredità.
L’ammirazione per “questo grande vecchio”, scrive bonariamente, con un pizzico di timore reverenziale, il Corriere, nemmeno nei suoi momenti di maggiore fragilità si è allentata: “ha continuato ad apparire in pubblico fino a pochi giorni fa”, sottolinea il quotidiano, “anche se sordo, cieco da un occhio, costretto quasi sempre su una sedia a rotelle, ha lavorato fino all’ultimo”.
La soggezione, forse il fascino, dell’uomo che si fa Dio, che vuole decidere chi può vivere e chi deve morire, può farci dimenticare i suoi errori? Nel suo ruolo di architetto del mondo, a ogni enorme risultato si è affiancata una storia di interventi militari, sostegno a dittatori, ordini di bombardamenti a tappeto nel sud-est asiatico e soluzioni da realpolitik “basate sull’idea cinica e spietata secondo cui gli Stati possono perseguire i propri interessi in qualsiasi modo”, si legge su Internazionale.
In una lettera inviata al New York Times da Michael J. Gorman, il quale ha prestato servizio nel 1967-68, il veterano del Vietnam incolpa Kissinger e il Presidente Nixon per l’aumento della morte dei soldati americani dal 1969 fino alla fine del conflitto. Anche se nel 1972 gli fu conferito il Premio Nobel per la pace per aver posto fine alla guerra del Vietnam, fu soprattutto Kissinger a prolungare il conflitto. “Non penso che sia ingiusto”, scrive Gorman, “definire Henry Kissinger un burattinaio machiavellico e senza scrupoli che dava più valore al potere e alla celebrità che alla vita umana”.
Oltre ad avere avuto un ruolo decisivo nel numero finale di vittime militari nella guerra del Vietnam, Kissinger lanciò una campagna di bombardamenti a tappeto in Cambogia, appoggiò il disastroso colpo di stato militare in Cile e un governo repressivo in Argentina, il suo impegno a porre fine alla guerra in Medio Oriente nel 1973 creò le condizioni che vediamo ancora riflesse oggi nel conflitto tra Israele e Hamas, e recentemente aveva suggerito che l’Ucraina dovesse cedere parte del suo territorio alla Russia per estirpare la guerra dal continente europeo. Tuttavia, è Kissinger una figura degna di perdono, si chiede Simon Tisdall sul Guardian, perché ci ricorda i bei tempi dell’egemonia globale americana ora che si sta sgretolando?
Cosa celebriamo con la grandezza dei memoriali di Kissinger? Gli stessi valori per i quali ci commuoviamo pensando all’impegno umanitario di Rosalynn Carter? Dal portico anteriore della sua casa in Georgia, Jimmy Carter può vedere il luogo dove è sepolta sua moglie, e chissà se mentre pensa a lei e alla sua vita esemplare anche la sua memoria, come la nostra, si fa selettiva e decide di ricordare solo il bello e sorvolare, invece, sui ricordi più oscuri.