Lo spettro del cattivo: Javier Milei è il Trump argentino?
C’è una grande differenza nel modo in cui gli spettri finiscono sul giornale: il populismo estremista non infesta i quotidiani italiani come fa Trump sulla stampa americana
C’è una parte consistente della copertura mediatica statunitense che sente ancora i capelli rizzarsi in testa al pensiero di Donald Trump. Lo usa come termine di paragone, lo allucina. Ne ha visto i padri, ne ha ipotizzato i figli. È successo quando è diventato chiaro che Giorgia Meloni sarebbe stata premier, quando i suoi contorni hanno iniziato a tremolare fino a perdere i propri connotati e a rassomigliare a lui. Quando la stampa americana ha scritto il necrologio di Silvio Berlusconi. Sembravano Trump, avevano preso spunto da lui, lo avevano ispirato. Ora sta accadendo in Argentina. Javier Milei, che ha vinto le elezioni con il 55,7% dei voti – è la percentuale più alta ottenuta da un leader argentino dal 1983 – è un “mini Trump”, un ammiratore di Trump, una versione locale di Trump, dei suoi slogan. Drain the swamp, que se vayan todos, è lo stesso.
Anche la stampa italiana di recente è stata spesso infestata dagli spettri. La destra che governa oggi ha agitato sui giornali il timore del ritorno al fascismo, Giorgia Meloni che entra a Palazzo Chigi come Mussolini che marcia su Roma. Non sempre questi accostamenti si sono rivelati azzeccati, ma non di rado hanno evidenziato caratteristiche comuni, storie che si ripetono. Come negli Stati Uniti, c'è sempre il timore per una tenuta del sistema democratico, e come potrebbe non esserci quando lo stato della stampa rispecchia il livello dei diritti umani all'interno di un Paese?
C’è però una grande differenza nel modo in cui gli spettri finiscono in prima pagina. Non è solo che la stampa italiana non sa dire “estremista” quando ne vede uno. È che la stampa italiana non sa dire al lupo senza avvolgerlo in un po’ di glamour, pur non volendo, senza farne la descrizione di un personaggio strambo, ma pittoresco che ha lo stesso carisma di un villain, ancora più suscettibile di farsi prendere in simpatia proprio perché anti-eroe. È successo con Berlusconi, con Salvini, con Meloni. Al contrario, per la stampa americana Trump è il germe di una malattia che si diffonde in tutto il mondo, si diffonde in Italia, in Argentina, è un virus altamente contagioso e va tenuto d’occhio prima dell’affiorare del primo sintomo. Niente glamour.
Infatti, quando lo paragona a Trump, il Washington Post dice di Milei che è un populista con un fare da sfacciato che si approfitta della frustrazione delle persone. “I cambiamenti di cui ha bisogno l’Argentina sono drastici” – sono le parole del Presidente riportate dal quotidiano – “non c’è spazio per procedere per gradi, non c’è spazio per misure tiepide”, e gli elettori lo hanno votato proprio per questa sua assenza di cautela.
La campagna di Milei si è proprio concentrata sul creare un’alternativa alla “casta”, “la versione argentina del drain the swamp di Trump”, commenta il Washington Post – l’idea che Trump, o in questo caso Milei, sia portatore di una politica nuova che prosciughi la palude di Washington, che demolisca la casta argentina e riporti le Americhe alla purezza e allo splendore originari. Quindi gli argentini avrebbero votato dovendo scegliere da quali di queste due grandi emozioni farsi sopraffare: la paura che Milei facesse tutto in pezzi con la sua motosierra, o la rabbia che tutto restasse così com’è consegnando il Paese al suo sfidante, Sergio Massa, attuale Ministro dell’Economia, detto panqueue, pancake, per la volubilità delle sue ideologie. “La rabbia ha vinto sulla paura”, commenta il quotidiano.
Poco importa che mettersi nelle mani di Javier Milei significhi “dare la propria macchina in mano a uno che non sa guidare”. Purché tutto cambi. “Quando non ci sono alternative, non ci sono problemi” – scrive il Wall Street Journal, pur nutrendo dei dubbi sul fatto che lo “sfacciato outsider” abbia le capacità per governare il Paese.
Sui giornali italiani si fa prima a romanticizzare. Milei viene chiamato El Loco. “La parola che lo perseguita da tutta la sua vita”, racconta Repubblica, “Il nomignolo con cui lo isolano alla scuola elementare. L’insulto di suo padre quando prova a giustificare le botte. Il soprannome che gli danno alla squadra del Chacarita in seconda divisione dove giocava come portiere”: cinquantatre anni “e occhi di ghiaccio”, il nuovo Presidente argentino è già un personaggio.
Le storie fanno bene al giornalismo, rendono la pagina più accattivante, e deve essere stato questo a spingere la Repubblica a dedicare un intero pezzo al cagnolino morto di Milei, Conan, la cui morte ha portato il neo Presidente a parlare con una medium per mettersi in contatto con lui – l’inizio di un percorso mistico che col tempo lo avrebbe portato a comunicare con personalità morte e in ultima istanza con Dio, che ha finito per assegnargli una missione: guidare l’Argentina. Un altro pezzo ancora è dedicato alla sorella, Karina Milei, esperta di astrologia e l’unica capace di calmarlo nei momenti di rabbia.
Questi dettagli ci fanno capire meglio chi è Milei, che vita ha fatto, chi sono i suoi affetti; ma tutti questi riferimenti al carattere violento, ma fragile del Presidente non fanno che aumentare il rischio di provare pena o addirittura di simpatizzare per l’”ultraliberista picchiato in casa e bullo a scuola”. La stampa italiana, d'altronde, non è nuova a quest’appetito per le storie strappalacrime e alla tendenza a frugare nei sentimenti del lettore.
Così Javier Milei entra di diritto nella categoria dei personaggi strampalati che popolano i giornali italiani, e il clima della narrazione si fa tragicomico al pari di una rivista satirica, i politici più che incompetenti e pericolosi sono “stravaganti” (il Fatto), ma va bene lo stesso, “meglio pazzi che ladri” (Il Giornale). Il che può anche essere comprensibile quando si è abituati a vivere in un contesto politico in cui il caos rappresenta l’instrumentum regni.
Dopotutto è già qualcosa che in questo caso ci sia almeno la dignità di chiamare le cose col proprio nome. Il Corriere della Sera non teme, come con Meloni, di dire che Milei fa parte della corrente di estrema destra; ma questo non basta a preoccuparsi. Lo spettro del populismo estremista non infesta i quotidiani italiani come fa quello di Trump sulla stampa americana.
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Secondo la mia modesta opinione, il neo presidente argentino, Milei, è più vicino, come idee, al Libertarian Party che non al Republican Party. Le ricette di Milei sono le stesse ricette proposte, negli USA, dal Liberatian Party.