Berlusconi visto dai giornali americani
Mentre la stampa italiana ha scelto di essere più delicata, in America non c’è dubbio: Berlusconi è stato uno showman, un seduttore e soprattutto un corrotto
È passata più di una settimana dalla morte di Silvio Berlusconi, e in Italia stiamo già facendo i conti con la sua eredità economica, politica e culturale. Che abbia ribaltato il Paese è chiaro. Ma per capire che cosa ha fatto di noi – di tutti noi: cittadini, elettori, sportivi, o semplice gente che guarda la televisione – può essere d’aiuto vedere da fuori cosa dicono di lui, e quindi cosa dicono almeno un po’ di tutti noi.
Il santo
La stampa italiana sportiva ha detto addio ad un re (TuttoSport), all’uomo delle stelle (La Gazzetta dello Sport). I quotidiani di destra gli hanno riconosciuto, seppur nella morte, una vittoria (“Ha vinto lui”, La Verità), un posto nella storia (“L’ultimo Cavaliere”, Il Giornale) e persino chi non lo sosteneva caldamente fa fatica ad immaginare un mondo dal quale l’ex leader di Forza Italia è assente (“L’Italia senza Berlusconi”, Il Corriere; “Ciao, Cavaliere”, La Stampa). Se non fosse per chi l’ha chiamato il Banana (Il Fatto) o il primo populista (La Repubblica), diremmo che il Berlusconi post mortem è stato salutato dalla stampa italiana con molta più delicatezza di quanta ne abbia ricevuta in vita. Questo processo di beatificazione del morto, sulla stampa estera, e in particolare su quella americana che in lui spesso ha visto il germe del suo Trump, non c’è stato.
Il corrotto
Nelle prime righe di tutti i coccodrilli americani, non c’è dubbio: Berlusconi è stato un corrotto. «Segnato dallo scandalo», per il Washingon Post. «Un presuntuoso miliardario magnate dei media che è stato il premier italiano più longevo nonostante gli scandali per le sue feste alimentate dal sesso e le accuse di corruzione».
Il New York Times lo immagina come un demiurgo, il creatore di un mondo tutto suo, il «mondo di Berlusconi», dominato dall’interesse personale e dalla trasgressione delle regole, in cui «chiunque fosse offeso dalla sua sfacciataggine, o dalle sue battute sessiste, o dai suoi conflitti di interesse, o dalla sua avversione al pagamento delle tasse (…) veniva relegato nella noiosa e ipocrita ala di sinistra o tra i comunisti che odiano il divertimento e la libertà».
Berlusconi è stato tante cose, scrive il quotidiano statunitense Politico. Non un re, non un Cavaliere, ma «un promotore immobiliare il cui braccio destro è stato condannato a sette anni di carcere per i suoi legami con la mafia», scrive. «Un rivoluzionario dei media che ha introdotto la televisione commerciale in Italia, stabilendo una stretta mortale sull'ecosistema dell'informazione del Paese. Un magnate degli affari condannato per frode fiscale. Un politico caduto in disgrazia abbattuto dalle notizie sulle orge "bunga bunga" e sesso con una minorenne».
È in corso negli Stati Uniti un processo opposto rispetto a quello italiano, ossia di demonizzazione del personaggio? Non proprio. La stampa americana non ha interesse ad immischiarsi nelle logiche della politica italiana al punto da omettere i guai giudiziari di Berlusconi e dipingerlo come un santo, tantomeno l'accento sui numerosi scandali che lo hanno visto protagonista ha qualcosa a che fare con la partigianeria. Questi articoli non vogliono solo dimostrare che Berlusconi non sia stato un uomo per bene. Vogliono piuttosto chiedersi perché quest’uomo, questo politico, fatto così, sia stato votato e rivotato per due decenni. Cosa ha affascinato tanto gli italiani, e di una fascinazione per un uomo simile sono talvolta state vittime anche gli elettori di tutta l'Europa occidentale e in America? Esattamente come quando il New York Times ha titolato che il futuro aveva il nome di Giorgia Meloni, e numerose versioni di quel tipo di politica sarebbero germogliate in tutto l’Occidente, anche qui la stampa americana si sta chiedendo se Berlusconi non sia stato il sintomo di un fenomeno politico globale.
Il padre di Trump
Difatti un altro punto che viene più volte viene ribadito sulle pagine americane degli ultimi dieci giorni è che il modello offerto da Berlusconi, come dice ancora il New York Times citando lo scrittore Alexander Stille, ha avuto eco in Donald Trump. «Entrambi hanno sfruttato la loro ricchezza personale come qualifica per governare, ed entrambi hanno approfittato dell’aver dominato i giornali con comportamenti spesso stravaganti». Questo modello, continua, rappresenta un tipo di politica priva di contenuto. «È una politica in cui propone se stesso, più che un programma politico particolare, come risposta ai problemi del Paese» e che smette di funzionare appena scema il carisma del leader. Infatti «ciò che ha davvero destituito Berlusconi dal potere non è stato un improvviso risveglio etico in Italia o un'ondata di intolleranza verso le sue abitudini extracurriculari, ma l’irreversibile crisi del debito pubblico in Europa e il fatto che leader e creditori europei non credessero che potesse guidare il paese fuori di esso».
A tal proposito Politico conviene che Berlusconi sia stato più di ogni altra cosa un seduttore. «Ha sedotto un intero paese» con «il suo travolgente desiderio di essere amato»: ha rotto gli schemi della scena politica usando un linguaggio volgare, schernendo gli avversari e adottando slogan semplici e accattivanti – proprio come ha fatto più tardi Trump. Sono stati trasgressivi, «intrattenimento costante – sia comico che tragico. Entrambi hanno fatto della politica uno spettacolo.
L’uomo della televisione
Ed è proprio per essere stato un uomo di spettacolo che Berlusconi viene maggiormente ricordato oltreoceano. Il Washington Post sottolinea che «ha dominato e diviso il suo Paese per decenni con una combinazione di fascino da showman e scherno sopra le righe», oltre ad «un uso senza limiti del potere finanziario e politico». Anche per il NYT è uno «sfacciato showman», e gli si deve riconoscere di «avere rivoluzionato la televisione italiana utilizzando canali di proprietà privata per diventare il presidente del Consiglio più polarizzante e perseguitato del paese».
Ciò sottolinea quanto sia stato influente il ruolo della televisione nella sua ascesa. «Era come se avesse trasformato un'immagine in bianco e nero in un televisore a colori fatto di infinite ore di programmazione di reality show», scrive ancora il New York Times. Berlusconi ha usato i suoi mezzi di comunicazione per manipolare la politica. Ha saputo intuire il bisogno degli italiani di evadere dalla noia e dall’impegno politico. Ripulita l’aria da tante fumosità ideologiche, «ha introdotto il sesso e il glamour nella TV italiana e poi ha portato la stessa formula in politica, dominando il paese e la sua cultura per più di 20 anni».