Speciale Flash: il rematch Biden – Trump II riparte dal Michigan
Nelle primarie statali quasi tutto va come deve andare per i leader dei rispettivi partiti, sempre più vicini a un nuovo capitolo del loro scontro a novembre.
(Fonte: Wikimedia Commons)
A una settimana dal Super Tuesday, la giornata in cui andranno al voto la maggior parte degli Stati, si sono svolte le primarie in Michigan, Stato chiave delle ultime tornate elettorali americane; nel 2016 qui Trump costruì la sua vittoria da outsider contro Hillary Clinton, prevalendo di circa 11.000 voti, e da qui Biden rivitalizzò la working class democratica nel 2020, sconfiggendo Trump di 154.000 voti. Dato per certo il rematch tra i due, la vittoria passerà anche da qui.
Come sono andate le sfide per i due partiti? Partiamo dalla situazione più semplice, quella del Partito Repubblicano. Trump ha prevalso nuovamente sulla sua sfidante Nikki Haley con quasi il 70% dei voti, portando la sua striscia consecutiva di vittorie a sei e lasciando la sua principale sfidante ancora a bocca asciutta. Per Haley il GOP ha davanti un enorme campanello d’allarme: nonostante le vittorie di Trump, continua ad esserci una minoranza piuttosto forte – attestata oggi in Michigan a 1/3 dell’elettorato – che continua a votarla nonostante non ci siano più speranze di una vittoria. Nel 2016 Bernie Sanders vinse nello stato e non si ritirò mai dalla corsa alla presidenza, continuando ad ottenere sempre discrete percentuali in molti Stati; col senno di poi, è facile intravedere che la candidatura Clinton non era solidissima. Le incognite di Trump sono le stesse: i suoi processi, che potrebbero renderlo incandidabile prima di novembre, e un elettorato moderato non disposto a votarlo. Per questo Haley rimane in corsa: qualsiasi rovescio inatteso sulla posizione giudiziaria del tycoon avvantaggerebbe l’unica rivale, e, dopo una possibile sconfitta a novembre, può dire di essere stata l'unica profetessa che aveva predetto il disastro verso cui il Partito stava andandosi a schiantare.
La situazione del Partito Democratico è invece più complessa: Biden ha affrontato un nuovo attacco contro la sua candidatura. Questa volta ad attaccare frontalmente il presidente è stata la comunità arabo-americana, da sempre molto presente nello Stato: i leader della comunità – tra cui anche la deputata di origine palestinese Rashida Tlaib – richiedono all’esecutivo un impegno maggiore per il cessate il fuoco a Gaza e critiche più decise al governo israeliano. Per esprimere il loro dissenso hanno deciso di non votare Biden alle primarie e, non essendoci altri candidati di peso, di segnare il loro dissenso barrando l’alternativa “Uncommitted” (un voto simile alla nostra scheda bianca ndr). A livello sia di voti effettivi che di percentuali il dissenso esiste: circa il 13% del totale dei voti, per quasi 100.000 persone. Questo dissenso, poi, è più forte in paesi come Dearborn, città operaia in cui ha sede amministrativa la Ford, in cui la comunità arabo-americana è molto forte e dove i voti “Uncommitted” risultano la maggioranza, con circa il 56%. Nel sobborgo cittadino con più membri della comunità Biden aveva vinto alle elezioni con l’88% dei voti, anche per via delle continue critiche di Trump alla comunità musulmana, che lo avevano anche portato a considerare un Travel Ban da vari Paesi mediorientali. Il dissenso si esprime fortemente anche ad Ann Harbor, dove ha sede l’Università del Michigan; i giovani, da sempre più a sinistra degli anziani, sono infatti molto più schierati a favore del cessate il fuoco e delle ragioni del popolo palestinese. Il totale di questi voti deve spaventare il Presidente? Non del tutto, soprattutto perché, in un’elezione vista come pura formalità, Biden ha ricevuto più di 600.000 voti; quelli per Trump, in un’elezione con un'avversaria in carne ed ossa, sono quasi 800.000, non moltii di più. Importante è considerare che, l’ultima volta che i democratici affrontarono le primarie in Michigan con un presidente in carica e nessun reale sfidante, nel 2012, Obama ricevette meno di 200.000 voti. È il segno che le persone riconoscono l’importanza della posta in gioco e vanno a votare per il presidente anche se non ha avversari, e questa è una buonissima notizia per Biden in vista di novembre.