Space Jam 2: benvenuti a Marchettopoli
Il sequel di un film generazionale che non mira ad essere un nuovo film generazionale, ma soltanto una matrioska di pubblicità autopromozionale.
L’attesa degli amanti del basket per Space Jam: A New Legacy, il sequel del più conosciuto Space Jam (1996) con protagonista Michael Jordan, era alle stelle. Il crossover tra NBA e Looney Tunes ha segnato, nel bene o nel male, tutti gli appassionati degli anni Novanta e la ricerca del successore di Jordan è stata estenuante, salvo poi diventare ovvia una volta confermato l’interesse a partecipare al progetto del pluricampione NBA, LeBron James.
Non basta dire se un film è bello è brutto. Certo è che se qualcuno di voi sta pensando di guardare Space Jam: A New Legacy, allora consiglio di smettere di leggere istantaneamente questo articolo. Non per evitare di rovinarvi la visione con spoiler a valanga, per carità, ma perché nessuno meriterebbe una tale tortura, per giunta in piena estate. Figurarsi se a farne le spese è anche la vostra memoria con l’annientamento totale di un caro ricordo della vostra infanzia.
Dunque, da dove iniziare? Il film è prodotto da Warner Bros. Questo è un aspetto fondamentale, perché è ricorrente. In che modo? Immaginatevi un’enorme matrioska, solo che invece di nuove bambole per ogni strato c’è un personaggio cinematografico della Warner Bros.
Ma questo film ce l’ha anche, una trama? Ve lo starete chiedendo in tanti e la risposta è affermativa. In realtà, non so quanto questo influisca positivamente sulla fruizione del prodotto. La sinossi è alquanto banale, il che non è necessariamente un malus, del resto si tratterebbe di un film per bambini, sulla carta. Neppure il primo capitolo con Michael Jordan era un capolavoro, anzi, le recensioni dell’epoca lo stroncarono in pieno.
Nonostante questo, il racconto di un complicato rapporto tra padre e figlio meritava senz’altro uno sforzo di sceneggiatura ulteriore da parte di chi si è occupato della scrittura del film (vi dico soltanto che tra i produttori figura Ryan Coogler, il regista di Black Panther). Il conflitto tra LeBron e il figlio Malik non viene mai approfondito. È come se ogni volta venisse rimandato. Quel che sappiamo è che il giovane ragazzo è un grande esperto di videogiochi e vorrebbe partecipare a un’esposizione, soltanto che il padre non asseconda questa passione e preferirebbe vederlo h24 sul campetto da basket.
Quando Al-G Rhythm, il cattivo del film interpretato da un Don Cheadle affetto da disturbo da deficit di attenzione/iperattività, li risucchia nel server-verse quest’ultimo cerca di convincere Malik a metterlo contro suo padre e lo recluta nel suo super-team composto da altre star NBA del calibro di Damian Lillard, Anthony Davis, Klay Thompson e le dive della WNBA Diana Taurasi e Nneka Ogwumike.
L’esito del match è scontatissimo, com’è giusto che sia, ma sfido chiunque ad accorgersi che a vincere sono i Looney Tunes, che così scongiurano la rimozione dal tanto decantato Server-Verse. Il tentativo di imitare la famosa scena del 1996 dove Michael Jordan allunga elasticamente il proprio braccio per schiacciare a canestro mentre è braccato dai Monstars è goffo, inaccettabile da tutti i punti di vista e fa emergere un interrogativo importante: era davvero necessario questo film?
Mi piacerebbe poter dire che ho apprezzato Space Jam: A New Legacy, ma non sarei onesto con me stesso. Mi piacerebbe anche potervi dare un solo motivo per aspettare i tempi della distribuzione in Italia e andare al cinema a settembre a gustarvelo in sala, ma non ci riesco. Forse, ecco, una cosa c’è: il doppiaggio italiano di Fedez. Non il migliore degli incentivi, ma se siete veramente curiosi…