La sanità pubblica negli Stati Uniti non è più così impopolare
Come i Dem americani stanno cambiando la loro visione nei confronti della single-payer healthcare.
Era da poco finita la Seconda Guerra Mondiale e il Democratico Harry S. Truman era Presidente da solo sette mesi. In un coraggioso discorso al Congresso, Truman sottolineò come milioni di americani non avessero la possibilità di godere di una buona salute, protezione e sicurezza sugli effetti economici delle malattie e dichiarò fosse il tempo di un programma universale di copertura sanitaria.
La proposta rivoluzionaria di Truman si basava su cinque obiettivi: rispondere alla mancanza di personale medico-sanitario, soprattutto nelle comunità povere e rurali; intensificare i servizi sanitari; incentivare la ricerca clinica e la formazione; abbassare il costo per le cure mediche individuali; avere attenzione alla perdita di reddito nei casi di malattia grave. Il programma si sarebbe finanziato con il prelievo mensile di una quota dagli stipendi degli americani per coprire le spese mediche in caso di malattia: a tutti gli effetti, la previdenza sociale come la conosciamo.
Una rivoluzione, quella proposta da Truman quasi ottant’anni fa, che, in un sistema sanitario così diverso dal nostro, fece non poco rumore. Ovviamente la proposta fu ferocemente opposta in prima istanza dall’AMA, l’American Medical Association, con tanto di accusa rivolta al Presidente di “seguire la linea di Mosca” e di proporre “medicina socializzata”, facendo leva sull’anticomunismo che, all’alba della Guerra Fredda, era sentimento comune.
Inutile dire che la proposta del Presidente Truman non passò, ma il dibattito, molto acceso, infiamma ancora oggi la vita politica americana: la sanità universale e pubblica può sussistere negli Stati Uniti? Soprattutto, può essere una battaglia del Partito Democratico americano?
Camminare sui cocci di vetro
Il dibattito sulla sanità universale, o single-payer healthcare, è sempre stato negli Stati Uniti un processo difficile ed estremamente polarizzante, con alle spalle una storia ricca di inciampi, bocciature, proteste, tentativi a vuoto e mezze vittorie. In questa storia, il passo di Truman era forse più lungo della gamba, ma estremamente importante per tutto ciò che seguì dopo.
Tutti noi sappiamo che il sistema sanitario americano non è come quelli a cui siamo abituati: la spesa sanitaria è a carico principalmente del privato cittadino. Questo è possibile se il singolo ha effettivamente i soldi per pagare le spese mediche e/o se ha una copertura sanitaria stipulata precedentemente con una compagnia assicurativa. Va da sé che una parte dei cittadini americani, circa 27,2 milioni nel 2021, non gode di nessuna copertura in caso di malattia o infortunio.
Sono due le tipologie di assicurazioni sanitarie: quelle private, dalle percentuali di stipule più alte (il 66% dagli ultimi dati), e i programmi di copertura pubblici, tra cui le più famose Medicaid e Medicare. Tali programmi di copertura sanitaria pubblica riguardano precise categorie di persone, differendo moltissimo da quell’idea di sanità universale che accompagna le nostre menti europee abituate al concetto di welfare.
Ad esempio, Medicare, nata nel 1965 sotto la Presidenza Johnson, riguarda esclusivamente gli anziani sopra i 65 anni, le persone con disabilità o con malattie renali agli stadi terminali. Pure quest’ultima all’epoca incontrò la feroce opposizione di AMA; bollata come una riforma di “medicina socializzata” (di nuovo) e “non Americana” prima di essere integrata nel Social Security Act del ‘35 ai tempi della Presidenza Roosevelt.
I decenni successivi furono un continuo camminare sui cocci di vetro per i sostenitori della sanità pubblica, o anche solo di un rafforzamento di Medicare. Nonostante sia da sempre associata a posizioni più a sinistra dei Democratici, la strada per il modello di sanità universale non è un’esclusiva unicamente partigiana. Spicca ad esempio la figura del Senatore Repubblicano Jacob Javits, appassionato sostenitore del modello single-payer healthcare, fautore di della proposta di legge successivamente battezzata dalla stampa “Medicare for All”, termine utilizzato oggi come slogan dai sostenitori della sanità pubblica.
Lo stallo
Le tappe successive a Medicare furono segnate sì da continue proposte e fallimenti, ma anche dalla nascita di gruppi di attivisti, medici e operatori sanitari, schierati dalla parte della sanità pubblica, ispirati da un modello estremamente vicino geograficamente agli Stati Uniti e dall’omonimia curiosa: Medicare in Canada.
È abbastanza mirata anche da parte delle stesse associazioni a favore della sanità pubblica la preferenza del termine single-payer healthcare per una sanità pagata dal singolo governo e non dalla galassia di assicurazioni sanitarie, prendendo invece semanticamente le distanze dal termine di public healthcare, associato dagli statunitensi a politiche di orientamento socialista.
Tuttavia, nonostante la continua lotta, gli anni ‘90 furono caratterizzati da un silenzio assordante. Un vuoto protratto addirittura per tutta l’Amministrazione Clinton, caratterizzato da un approccio più moderato con un rafforzamento delle coperture pubbliche già esistenti, senza toccare in alcun modo quelle private. Una mossa dettata probabilmente da una volontà di mantenere lo status quo ed evitare così feroci opposizioni. Si deve dunque arrivare al 2003, durante l’Amministrazione Bush, con la proposta al Congresso del United States National Health Care Act, presentata per la prima volta dal Deputato Democratico John Conyers con una significativa ripresa del nome “Medicare for All”. Lo stesso nome venne riutilizzato anche nel 2019 dalla Democratica Pramila Jayapal e dalla proposta simile e parallela avanzata dal grande sostenitore della sanità pubblica, Bernie Sanders.
Il passo più noto però, anche a noi oltreoceano è stato l’elezione a Presidente di Barack Obama che, nella sua campagna elettorale, aveva promesso di fare qualcosa a riguardo. Il risultato è stato l’Affordable Care Act (ACA) del 2010, meglio conosciuto come Obamacare, la più grande riforma federale dal 1965 in materia di coperture sanitarie pubbliche. Nemmeno Obama però vira davvero verso una sorta di copertura universale pubblica: in poche parole l’ACA estendeva le coperture pubbliche a più cittadini americani, senza però toccare il sistema privato.
L’opposizione fu molto dura, con addirittura un tentativo fallito da parte del successore di Obama, il Repubblicano Donald Trump, di abrogare - e modificarle la legge. A sinistra invece, ACA fu criticata soprattutto perché non era ancora abbastanza coraggiosa. Nel 2020 Joe Biden affermò che Bernie Sanders criticò all’epoca l’ACA in quanto «non gli piaceva il fatto che non avessimo spinto verso l’opzione single-payer», nonostante il Senatore del Vermont avesse alla fine votato a favore della proposta di legge.
Dalla sua posizione di Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden non ha mai nascosto il suo impegno verso un’estensione dell’ACA a più utenti, a partire dal cruciale e spinoso nodo dell’abbassamento dei prezzi dei farmaci, alla necessità di affrontare le sfide future al sistema sanitario. Opponendosi tuttavia all’opzione single-payer.
Più a sinistra i sostenitori non hanno smesso di lottare, soprattutto a livello locale e/o di stati più liberal, come la California o il Massachusetts, ma anche in territori più conservatori, come Iowa e Ohio. Gli esperimenti locali infatti sembrano essere guardati con molto interesse nella loro applicazione, soprattutto da chi vuole vedere implementata una soluzione a livello federale.
Sempre più supporto
Al di là del percorso meramente legislativo, gli anni Duemila hanno segnato un vero revival nella richiesta per una sanità pubblica. Le cause di ciò sono da ricercarsi probabilmente in una sempre maggiore consapevolezza delle difficoltà economiche di una fetta della popolazione americana nel sostegno dei costi medici, che diventano la prima causa di indebitamento. Non solo; lo spostamento di idee degli americani è influenzato probabilmente dalle istanze, sempre più chiamate a gran voce, delle minoranze e dalla piaga del COVID-19, che ha messo in ginocchio la sanità statunitense per due anni.
In un recente sondaggio di Pew Research, infatti, è emerso che sempre più persone (circa il 36%), soprattutto tra le file dei Dem, pensano che una buona soluzione sia una copertura per tutti i cittadini e prevista da un solo ente e un solo programma nazionale.
Nonostante le divisioni all’interno dei Dem continuino a farsi sentire quando si parla di miglior modo di provvedere alla copertura sanitaria, ci sono importanti considerazioni demografiche ed ideologiche da fare, sostiene Pew Research. I più accaniti sostenitori si trovano nell’area liberal (circa il 15% degli iscritti Dem nel 2019) e si tratta spesso di giovani, in opposizione ai Democratici più “anziani”. Inoltre, sono cresciuti di dieci punti percentuali i sostenitori Dem di un programma nazionale di copertura sanitaria tra bianchi, ispanici e di colore, i quali si aggiungono a quelli già in campo delle altre minoranze.
Se mai ci sarà una svolta, la strada da percorrere sarà ancora molto lunga. Tuttavia, i fatti confermano che la percezione sta cambiando all’interno dei Democratici, e l’idea di una copertura sanitaria nazionale non è così impopolare come poteva esserlo vent’anni fa. In poche parole, non è più una bandiera esclusiva di personaggi come il già citato Bernie Sanders o di una Alexandria Ocasio-Cortez. Gli ultimi due anni hanno fatto vedere agli Stati Uniti il disastro di una pandemia; una situazione emergenziale che potrebbe aver spinto sempre più al desiderio di una soluzione alternativa ad un sistema poco equo e incapace di reggere le sfide, in particolare quando si parla di cure mediche di prima necessità.
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