Sanità per tutti? La sfida di due modelli contrapposti
La sanità è un tema cruciale per le presidenziali. Le idee di Trump e Harris sull’ACA, sui costi dei farmaci e sull’aborto sono contrastanti e il loro impatto sull’elettorato ha sfumature complesse
L’accessibilità economica della sanità è una delle principali preoccupazioni per gli americani in vista delle elezioni presidenziali del 2024. Secondo un sondaggio del Pew Research Center condotto a maggio, il 57 per cento degli intervistati colloca la sanità al terzo posto tra i problemi più urgenti per il Paese, preceduta solo dall’inflazione e dall’incapacità dei partiti di collaborare per il bene comune.
Non sorprende quindi che tanto il ticket repubblicano quanto quello democratico stiano affrontando con vigore questo tema in vista di novembre. Al centro del dibattito ci sono il futuro dell’Affordable Care Act, il costo dei farmaci su prescrizione e la questione dell’aborto. Ma quali sono le posizioni di Trump e Harris su questi temi, e che impatto hanno sull’elettorato?
Iniziamo dall’Affordable Care Act (ACA), riguardo al quale le posizioni di Trump e Harris sono diametralmente opposte. La legge, anche nota come Obamacare ed entrata in vigore il 23 marzo 2010, ha avuto come obiettivi rendere l’assicurazione sanitaria accessibile a più persone attraverso sussidi che riducono i costi per le famiglie con redditi bassi; espandere Medicaid a più categorie di cittadini; infine, promuovere metodi innovativi volti a ridurre i costi delle cure sanitarie. Durante la sua presidenza, Trump ha cercato più volte, senza successo, di abrogare e sostituire l’ACA, proponendo piani che avrebbero portato il numero di americani non assicurati a 51 milioni. Trump ha anche ridotto l’ammenda per il mancato rispetto del mandato individuale a zero. In parole più semplici, l'amministrazione Trump non ha applicato con forza la norma, il “mandato individuale”, che penalizza le persone che non hanno un’assicurazione. L’ACA aveva introdotto questa regola con l’idea di incoraggiare il maggior numero possibile di persone, soprattutto quelle in buona salute, a sottoscrivere un’assicurazione, il che contribuisce a ridurre i costi complessivi e a garantire fondi sufficienti per coprire tutti, comprese le persone con esigenze mediche costose. Come se non bastasse, Trump ha anche tagliato i fondi per le campagne di sensibilizzazione – cosa che, secondo KFF, avrebbe contributo all’abbassamento dei numeri della sottoscrizione ad una polizza – e ampliato piani non conformi all’ACA, che limitano la copertura per condizioni preesistenti. Come candidato, Trump ha ribadito che, secondo lui, «l’Obamacare fa schifo» e che ci sarebbe bisogno di qualcosa di meglio, senza però specificare di cosa si potrebbe trattare.
Al contrario, Kamala Harris, insieme all'amministrazione Biden, ha ampliato i sussidi dell’Affordable Care Act grazie all'American Rescue Plan Act (ARPA) – la legge federale approvata da Biden nel marzo 2021 con l’obiettivo di rispondere alla crisi dell’economia e della sanità causata dal Covid-19 – e li ha ulteriormente estesi fino al 2025. L’amministrazione Biden e Harris ha anche risolto il family glitch, permettendo a più famiglie di accedere ai sussidi ACA, e ha ripristinato i fondi per l’assistenza all’iscrizione a un piano assicurativo. Queste misure hanno portato a un record di iscrizioni ai piani del Marketplace ACA. Durante la campagna elettorale, Harris ha proposto di rafforzare ulteriormente questi sussidi come parte di un’agenda più comprensiva che ha lo scopo di abbassare i costi della vita per le famiglie americane.
Anche in merito ai costi delle medicine su prescrizione, le posizioni di Trump e Harris differiscono notevolmente. Da presidente, Trump ha introdotto un modello volontario che permetteva ai piani Medicare Part D – la sezione di Medicare che fornisce la copertura per i farmaci su prescrizione per le persone che beneficiano del programma – di limitare i costi mensili dell'insulina a 35 dollari. Trump ha fatto in modo che il dipartimento della sanità statunitense approvasse un percorso legale per consentire agli Stati di importare farmaci da prescrizione dal Canada. Ha inoltre proposto di eliminare i rimborsi sui farmaci in Medicare Part D, il che avrebbe abbassato i costi a carico dei pazienti aumentando però i premi assicurativi. Trump ha anche cercato di stabilire un sistema di prezzi di riferimento internazionale per alcuni farmaci coperti da Medicare, basato sui prezzi in altri Paesi, ma il progetto è stato bloccato dai tribunali.
Al contrario, Kamala Harris, come vicepresidente, ha avuto un ruolo chiave nell’approvazione dell’Inflation Reduction Act, la legge federale approvata nell’agosto 2022 che permette al governo di negoziare i prezzi di alcuni farmaci coperti da Medicare, fissa un tetto massimo di duemila dollari annui per le spese su farmaci per gli anziani iscritti a Medicare Part D e impone alle aziende farmaceutiche di pagare rimborsi se i prezzi aumentano più rapidamente dell’inflazione. La legge prolunga anche le agevolazioni introdotte dall’ARPA, rendendo le coperture sanitarie dell’Affordable Care Act più accessibili fino al 2025. In campagna elettorale, Harris ha proposto di estendere queste misure anche a chi non è coperto da Medicare, di intensificare la concorrenza e favorire la trasparenza nel settore farmaceutico, contrastando le pratiche abusive delle aziende.
Forse, però, il tema più caldo del momento è quello dell’aborto. Come è ben noto, Trump si prende fieramente il merito di aver “ucciso” la sentenza Roe v. Wade, grazie alla nomina di tre giudici conservatori alla Corte Suprema. Ha considerato l’idea di un divieto nazionale di aborto dopo 15 o 16 settimane, ma poco tempo fa ha affermato di sostenere la gestione delle politiche sull’aborto a livello statale, permettendo così ai singoli Stati di mantenere i divieti totali. Durante la sua presidenza, Trump ha anche sostenuto il blocco dei finanziamenti federali per le cliniche che fornivano informazioni sull’aborto.
Tuttavia, recenti dichiarazioni di Trump hanno suggerito un cambiamento di posizione in merito al tema. Durante un’intervista per NBC news il 29 agosto scorso, il candidato ha annunciato che, se eletto, la sua amministrazione «non solo proteggerebbe l’accesso alla fecondazione in vitro, ma farebbe anche in modo che il governo o le compagnie assicurative coprano il costo di questo costoso servizio per le donne americane che ne hanno bisogno».
La nuova direzione di Trump sta generando malcontento tra i sostenitori pro-life, frustrati dalla sua apparente mancanza di impegno verso politiche anti-abortiste più rigide. Questo cambiamento sembra riflettere una mossa strategica per attirare nuovi elettori, dimostrando che Trump è consapevole del cambiamento di opinione pubblica riguardo alle leggi più restrittive sull’aborto. Infatti, sempre NBC News aveva osservato nell’agosto 2024 che il rumore fatto da Trump intorno alle sue posizioni sull’aborto avrebbe potuto avvantaggiarlo nelle primarie repubblicane, ma giocargli contro nelle elezioni per via del contraccolpo della maggioranza degli americani che sostengono i diritti all’aborto. Ora, però, la faccenda si è ribaltata e resta da vedere come Trump risponderà alle critiche dei pro-life.
Kamala Harris, al contrario, è una ferma sostenitrice dei diritti riproduttivi e ha criticato duramente gli effetti negativi della sentenza Dobbs, che ha ribaltato Roe v. Wade. Harris, infatti, sostiene una legge federale per ripristinare gli standard di Roe v. Wade, mentre la sua amministrazione ha allentato le restrizioni sui farmaci abortivi come il mifepristone. Harris ha anche lavorato per rafforzare le protezioni per la privacy dei dati e i diritti di viaggio per cercare cure abortive, e ha revocato le restrizioni imposte da Trump sui fondi globali per la salute legati all’aborto, soprattutto quelle legate a Mexico City Policy – la politica del governo statunitense che ha richiesto alle ONG straniere di certificare che non praticheranno o promuoveranno questa pratica.
Secondo Politico, tuttavia, le dichiarazioni di Harris sul ripristino di Roe v. Wade non hanno pienamente soddisfatto alcuni gruppi pro-choice di sinistra, come Raven Lab for Reproductive Liberation e Abortion Justice Now, che si aspettavano una posizione più netta. Questi gruppi chiedono a Harris di affrontare questioni critiche legate a Roe v. Wade, come le protezioni che consentono agli Stati di vietare l’aborto nelle fasi avanzate della gravidanza e di imporre restrizioni come i periodi di attesa obbligatori e la regolamentazione delle cliniche.
Rimane ancora incerto se Harris intenda ripristinare la sentenza così com’era o se abbia in mente una riforma più ampia della legge. Finora, la candidata non si è espressa chiaramente su questo punto, probabilmente per evitare di assumere posizioni divisive e cercare così di parlare a un elettorato democratico più ampio. Nello stesso articolo, Politico suggerisce, però, che le sue dichiarazioni siano parte di un generale spostamento verso posizioni più moderate in materia di sanità. Se questo cambiamento non è ancora del tutto evidente nel dibattito su Roe v. Wade, lo è di più sulla questione di Medicare for All. Durante la sua campagna del 2020, Harris aveva sostenuto con forza il programma di Bernie Sanders; tuttavia, nell’attuale campagna non c'è traccia di tale proposta. Anche in questo caso, è difficile dire se il silenzio indichi un cambio di posizione o se sia una strategia per rivolgersi a una platea più ampia e variegata.
Che si tratti di moderazione o di una mossa politica, l’evoluzione della retorica di Harris si è sviluppata nell’arco di quattro anni, prima come senatrice, poi come vicepresidente e ora come candidata alla presidenza. Questa traiettoria contrasta nettamente con il comportamento di Trump, il cui approccio rimane erratico e spesso contraddittorio. Tra Harris e Trump c’è un abisso: i prossimi dibattiti offriranno un’occasione per far emergere chiaramente le debolezze del candidato repubblicano e la fermezza della sua avversaria.