Sandra Day O' Connor, la donna delle prime volte
La storia della giudice nominata da Ronald Reagan alla Corte Suprema, conservatrice atipica che salvò i diritti riproduttivi con la sentenza Casey v. Planned Parenthood del 1992
Essere la prima donna nella storia degli Stati Uniti a servire come giudice della Corte Suprema lascia certamente un'impronta epocale indelebile, specie se a elevarti a quel ruolo è Ronald Reagan a solo un anno dalla conquista repubblicana della Casa Bianca. Sandra Day O’Connor verrà, molto probabilmente, ricordata eternamente così: la sua figura e le sue prime volte non possono essere degnamente analizzate senza tenere conto della pressoché inscindibile unione con l’estremamente significativa presidenza che l’ha individuata e elevata a proprio lascito testamentario tanto politico quanto giuridico.
Tra le sole quattro donne - contro una classe di 150 studenti - ad animare il corso di legge alla Stanford University all’inizio degli anni Cinquanta, Sandra Day O’Connor fece presto il suo ingresso nel mondo della politica, insediandosi nel Senato statale dell’Arizona. Proprio lì ha vissuto una delle sue storiche “prime volte”, diventando la prima donna a ricoprire il ruolo di leader di maggioranza in un qualsiasi Senato statale statunitense.
Muovendo i primi passi nel mondo giuridico e politico degli Stati Uniti, la Senatrice e avvocata ha sperimentato a più riprese il peso delle discriminazioni legate al proprio genere - una parte cruciale della sua identità presto diventata vincente e determinante per un futuro in piena ascesa. Avviatasi alla carriera giudiziaria, già nel 1975 Day O’Connor riuscì ad assicurarsi l’elezione alla Corte Superiore di Maricopa County per poi, soli quattro anni dopo, venire nominata alla Supreme Court of Appeals dell’Arizona.
Fu nell’estate del 1981 che il neoeletto Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan fece ufficialmente ingresso nella vita della giudice, prospettandole l’opportunità di assumere sulle proprie spalle il peso di una delle più grandi “prime volte” possibili: O’Connor divenne presto, infatti, la prima donna elevata a Giudice della Corte Suprema in 192 anni di vita del terzo pilastro istituzionale statunitense. Una responsabilità pronta ad incastrarsi alla perfezione nella strategia che ha permesso tanto l’elezione di Reagan quanto la conquista della ribalta politica da parte dell’ampia coalizione di leader conservatori religiosi unitisi, a partire dagli anni Settanta, nella Religious Right, nella Moral Majority e nella New Right. O’Connor, infatti, è stata anche la prima grande conquista politica della Presidenza Reagan - un’eredità capace di sfidare against all odds la diffidente opinione pubblica conservatrice e un ancor più dubbioso establishment reazionario dimostratosi inizialmente poco persuadibile rispetto all’efficacia tattica della nomina.
A nemmeno due settimane dall’annuncio del Giudice Stewart della propria decisione di ritirarsi dalla Corte Suprema, Reagan aveva già provveduto ad organizzare un incontro privato alla Casa Bianca con Day O’Connor, durante il quale uno dei temi più urgenti da affrontare risultava essere la posizione giuridica e politica della giudice sulla questione dell’aborto. Le audizioni di conferma di O’Connor, infatti, sono ruotate tutte intorno al diritto riproduttivo in esame, alle tracce della posizione personale della Giudice disseminate durante i mandati da Senatrice in Arizona e alla possibilità di ottenere cieco sostegno per la nomina da parte della nuova base elettorale e ritrovato nerbo evangelico e conservatore della presidenza Reagan.
In un delicato lavoro di check and balances condotto dall’amministrazione Reagan per convincere il cruciale elettorato religioso della validità della nomina di Day O’Connor, il magistrato e avvocato Ken Starr compose un memorandum apposito per lodare i meriti conservatori della giudice, tentando di glissare sulle pubblicamente conosciute scelte di voto dell’ex Senatrice dell’Arizona contro emendamenti legislativi antiabortisti o risoluzioni volte a sponsorizzare l’approvazione da parte del Congresso dello Human Life Amendment, che avrebbe costituzionalmente protetto la personalità giuridica del feto (oltre che rinomata promessa elettorale Reaganiana).
Nei giorni immediatamente successivi alla nomina, Reagan effettuò una serie di chiamate “personali riservate giustificate” al fine di persuadere e allinearsi con i principali leader reazionari responsabili di avergli consegnato le chiavi della Casa Bianca: la fervente anticomunista, antifemminista e conservatrice Phyllis Schlafly, il pastore e televangelista Jerry Falwell, il conservatore e pioniere del direct mailing a fini politici Richard Viguerie e non ultimo, il padre della Destra Religiosa Paul Weyrich.
Nonostante il chiaro intento celato dietro ciascuna di queste telefonate fosse quello di annunciare formalmente la nomina e chiarire la natura pressoché inamovibile della decisione del Presidente, la volontà di Reagan di perseverare nell’operazione persuasiva del proprio elettorato è facilmente interpretabile come una conferma del potere della pressione conservatrice sull’inquilino della Casa Bianca. Se da un lato, infatti, Reagan rimarcò di essere profondamente soddisfatto del conservatorismo di Day O’Connor e della sua posizione sull’aborto, dal canto suo Jerry Falwell non mancò di minacciare il ritiro del proprio sostegno al disegno presidenziale qualora la nomina non avesse dato prova di essere adeguatamente soddisfacente.
Durante l'udienza di nomina al Senato, nonostante la dichiarazione di Sandra Day O'Connor di trovare “personalmente ripugnante l'aborto”, la candidata Giudice della Corte Suprema si rifiutò di rispondere a qualsiasi domanda su come avrebbe potuto decidere in merito alla questione. Un responso comunque destinato a non tardare: già nel 1983 la Corte si trovò a discutere il caso Akron v. Akron Center of Reproductive Health in occasione del quale O’Connor dissentì, inserendo per la prima volta il criterio dell’ “undue burden” - ovvero dell’onere eccessivo - tra le carte giuridiche a disposizione dei conservatori al fine di minare le basi di Roe v. Wade.
La prima giudice, dunque, a rimarcare un chiaro destino di overuling già insito nel DNA della storica sentenza della Corte Suprema che ha costituzionalmente fondato il diritto all’aborto. Con Akron, mentre la maggioranza della Corte etichettava come incostituzionale la legislazione entrata in vigore nella città dell’Ohio in quanto contraria al diritto della donna di ottenere un’interruzione di gravidanza senza ostacoli, la giudice texana si guadagnava il titolo di “miglior uomo della Corte” attribuitole da Lifeletter, la newsletter mensile della Ad Hoc Committee in Defense of Life, in virtù della sua forte opinione dissenziente.
Sandra Day O’Connor fu, infatti, la prima a sedere nella Corte Suprema a criticare il ricorso dell’Istituzione al criterio del primo trimestre per legalizzare l’aborto, oltre che a rifiutarsi di identificare l’obbligo di ospedalizzazione come un onere eccessivo che potesse ostacolare il diritto riproduttivo.
Quelle che la Giudice porterà avanti a ogni scontro con casi relativi al diritto all’aborto non si profileranno mai come argomentazioni “pro-life”, ma in puro stile Reaganiano e Repubblicano si legheranno piuttosto all’eterno conflitto tra governo centralizzato e interesse dei singoli stati: già in Akron e, tre anni dopo in Thornburgh v. American College of Obstetricians and Gynecologists, sarà O’Connor ad avanzare la convinzione per cui le Corti - di qualsiasi livello esse siano - dovrebbero astenersi dall’intromettersi nei processi decisionali democratici atti a sigillare in legge gli interessi supremi degli stati della federazione. Un’argomentazione sopravvissuta per più di quarant’anni e arrivata nel 2022 sino in Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization.
Con l’elezione di Sandra Day O’Connor, Reagan non ha vinto solo l’immagine dell’uomo dalla parte delle donne di talento, ma ha autografato e siglato per gli anni a venire la vittoria di una strategia conservatrice, di cui la designazione di O’Connor fu una delle tappe cruciali: la Giudice passò rapidamente da “disastro pro-life”, a baluardo della lotta giudiziaria contro Roe v. Wade, senza mai adottare argomentazioni religiose o anti-scelta, ma squisitamente repubblicane; accontentando in ogni caso l’importante elettorato evangelico che garantì due mandati al Presidente californiano. Uno scacchiere politico in cui tutti vincono, a scapito dei diritti riproduttivi.
Prova definitiva del peso storico di Sandra Day O’Connor e delle sue “prime volte”, arriverà nel 1992 con Planned Parenthood of Southeastern Pennsylvania v. Casey - la più controversa sentenza della Corte Suprema sul diritto all’aborto, celebrata tanto dai leader conservatori quanto dai movimenti progressisti. Con Casey, il criterio dell’onere eccessivo veniva adottato dalla Corte intera che si spingeva a legittimare regolamentazioni statali dell’accesso all’aborto. Sandra Day O’Connor così, diventando baluardo pro-choice - per il solo fatto di non aver votato per l’aperto overruling di Roe - vedeva la propria interpretazione giuridica istituzionalizzarsi tramite la maggioranza della Corte, provava l’irrilevanza in sede giuridica di argomentazioni puramente pro-life a fronte delle più forti argomentazioni storicamente conservatrici e vinceva un posto nella storia tanto democratica, quanto repubblicana: la prima dunque, e forse unica, grande vittoria di Ronald Reagan.
Bibliografia:
https://wams.nyhistory.org/end-of-the-twentieth-century/a-conservative-turn/sandra-day-oconnor/
https://www.jstor.org/stable/26416694