Risolvere la crisi abitativa: una promessa di Gavin Newsom
Dalla boutade del "piano Marshall" per l'accessibilità abitativa alle recenti riforme storiche per costruire (davvero) di più in California.
“Il diritto alla casa è un diritto umano fondamentale”: lo scriveva il governatore della California – all’epoca vicegovernatore – Gavin Newsom in un suo lungo articolo su Medium risalente al 2017.
“Si tratta di una madre single che fa del suo meglio per assicurare il cibo in tavola e rimboccare le coperte ai propri figli la sera, garantendo loro un tetto sopra la testa; di uno studente che cerca di mantenere amicizie e buoni voti mentre viene costretto a cambiare continuamente scuola a ogni trasloco. L’instabilità abitativa può causare veri e propri disagi mentali, oltre che fisici, e portare a decisioni insopportabili: nessuno dovrebbe essere costretto a scegliere tra pagare lìaffitto o comprare da mangiare. Sapere che troppi californiani affrontano questo tipo di ansia mi spezza il cuore”.
Le riflessioni di Newsom venivano già all’epoca condite da una chiara, seppur ardita, promessa: sviluppare fino a 3,5 milioni di unità abitative entro il 2025. Facendo un rapido fast forward al 2025, Newsom avrebbe recentemente ottenuto la modifica di una storica legge ambientale rendendo, dunque, un po’ più facile costruire case in California – senza però raggiungere l’obiettivo dei 3.5 milioni di alloggi.
Molti non hanno perso tempo, gridando in ogni caso alla risoluzione definitiva della crisi abitativa californiana: è davvero così?
Già nel 2019 le promesse di Newsom andavano incontro a un bagno di realtà per opera della UCLA, secondo cui, in realtà, la proposta elettorale dell’allora neoeletto governatore della California di realizzare milioni di unità abitative era semplicemente infattibile. Secondo un report realizzato dal Lewis Center for Regional Policy Studies dell’UCLA, alle porte del 2020, la California avrebbe avuto la possibilità di costruire fino a 2,8 milioni di nuove unità abitative, ben lontano dai 3,5 milioni prospettati. Inoltre, seguendo l’analisi dell’autore del report, il professore associato di pianificazione urbana Paavo Monkkonen, il progetto avrebbe incluso costruzioni in aree rurali e poco richieste, mentre sarebbe stato impossibile realizzare nuove abitazioni in zone ad alto interesse, dove interventi abitativi si presentavano come effettivamente necessari per accomodare le esigenze derivanti dalla crescita demografica.
Secondo l’UCLA, con i modelli di costruzione in quel periodo vigenti in California che prevedevano una media di 80mila nuove unità abitative all'anno, “il piano del Governatore avrebbe richiesto un aumento di sette volte della costruzione di alloggi”.
E infatti, nel corso del primo anno da governatore, tutti i piani di Newsom per accelerare la realizzazione di alloggi in California, rafforzare l’autorità e libertà decisionale dello Stato, oltre che aumentare i finanziamenti privati per gli alloggi a prezzi accessibili, risultavano o falliti o in fase di stallo. Pochi, infatti, sono stati i successi che Newsom ha potuto vantare nel primo anno di governatorato, ben lontani dall’essere sulla strada dei 3,5 milioni di alloggi.
Da quello che avrebbe dovuto essere – come dichiarato dallo stesso Newsom – un “piano Marshall per gli alloggi”, un anno dopo il governatore tornava sui propri passi, definendo la crisi abitativa californiana una “questione ostinata” per la quale non era possibile “schioccare le dita e avere costruite nel corso della notte centinaia di migliaia o milioni di unità abitative”. Nel mentre, questioni interconnesse alla crisi abitativa come, d’altronde, appare il fenomeno dei senzatetto, diventavano un problema ancora più urgente man mano che il governatorato del democratico procedeva nella sua legislatura.
I primi – veri – risultati hanno iniziato a vedersi nel 2021, quando Newsom ha posto fine a una disposizione vigente da cento anni in California volta a vietare la costruzione su alcuni lotti di terreno di unità abitative che non fossero abitazioni unifamiliari. Superando la norma, si è dunque aperto alla legalità di complessi bifamiliari. Quella che poteva sembrare una misura da poco – e che ha potuto vedere la luce solo dopo che il governatore si era trovato ad affrontare una recall election nel settembre del 2021 – ha messo, invece, un freno alla crescente frustrazione dei californiani, alle prese con il continuo aumento del valore medio di una casa nello Stato dominante la costa del Pacifico – pari a 708.936 dollari, più del doppio del valore medio di una casa nel resto degli Stati Uniti.
In seguito alla imprevista necessità di lottare per una riconferma del proprio mandato, l’impegno del governatore Newsom per affrontare la crisi abitativa è sicuramente aumentato: nel 2023, infatti, il Dipartimento per lo Sviluppo Abitativo e di Comunità notificava la realizzazione di 112mila unità abitative, rispetto alle sole 70mila completate nel 2018 – un importante passo avanti, trattandosi, tuttavia, di un ritmo di costruzione ad ancora solo un quinto della velocità che sarebbe stata necessaria per raggiungere l'obiettivo originario di 3,5 milioni di unità abitative entro il 2025.
Nel 2024 è arrivato poi un pacchetto di 30 norme per affrontare di petto la crisi abitativa, così da promuovere l’edilizia residenziale e aumentare il numero di alloggi economicamente accessibili per i senzatetto. Un simile impulso normativo è stato accompagnato dall’inaugurazione del programma Homekey+, diretto a veterani, individui affetti da disturbi mentali o dipendenti dal consumo di sostanze stupefacenti per assicurare loro una residenza.
Per quanto si tratti di progressi non indifferenti, non tutti hanno accolto positivamente le misure: i detrattori del governatore, infatti, non hanno perso tempo nel puntualizzare come l’incremento numerico nella costruzione di unità abitative non sia la soluzione al problema, se “il peccato originale di questo Stato è l’inaccessibilità economica degli alloggi”. Per molti californiani e volontari impegnati sul fronte della crisi abitativa, ciò che frena l’edilizia residenziale è proprio il costo delle costruzioni – problema al quale non Newsom non sembra aver posto soluzione. Fino ad ora.
Arrivati alla deadline del 2025 individuata audacemente dallo stesso Newsom – che ha saggiamente provveduto a spostarla cinque anni più avanti, nel 2030 –, i commentatori si dividono nel valutare l’operato del governatore: da chi elogia programmi come Homekey+ e l’istituzione della Housing Accountability Unit, che ha permesso di impegnare ufficialmente governi locali nella costruzione, altrimenti ostacolata, di altre 7.800 unità abitative, a chi, invece, interpreta il mancato raggiungimento di un obiettivo auto-imposto come sinonimo di incapacità e mancanza di volontà. In altre parole, pura propaganda.
E se tra questi ultimi ci si aspetta di trovare – perlomeno prevalentemente – repubblicani, si è in errore: proprio nel 2025, a fronte della decisione di avviare corposi interventi contro la crisi abitativa attraverso il bilancio dello Stato, il governatore è stato bersagliato dai democratici, che hanno comparato i suoi progetti “alle leggi Jim Crow e alla schiavitù”.
Come riporta POLITICO in una precisa ricostruzione dei dibattiti risalenti allo scorso giugno, “le ore di accese discussioni sul bilancio dello Stato, tenutesi mercoledì, hanno rivelato profonde divisioni all'interno della maggioranza democratica”, nel corso delle quali attivisti oppositori del governatore, intenzionati a supportare l’affossamento di una delle proposte sugli standard salariali per i lavoratori edili, hanno occupato l’aula del Campidoglio statale mentre i legislatori esaminavano i dettagli del piano di Newsom per affrontare la crisi di accessibilità economica dello Stato e colmare un deficit di bilancio di 12 miliardi di dollari.
Sembrerebbe che, con l’avvicinarsi del 2028 e l’aumento delle possibilità di vedere Newsom come candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti, i suoi stessi compagni di partito stiano cercando di fare terra bruciata attorno a lui. Eppure, nonostante l’obiettivo dei 3,5 milioni di alloggi non raggiunto, il 2025 sembrerebbe essere proprio, per Newsom, l’anno delle rivoluzioni contro la crisi abitativa californiana: il governatore, infatti, a luglio, proprio tenendo in pugno il bilancio statale è riuscito a ottenere la revisione del California Environmental Quality Act (CEQA), una legge degli anni Settanta che richiedeva un esame rigoroso di qualsiasi nuovo sviluppo abitativo per valutarne l’impatto sull’ambiente.
Secondo il governatore, il CEQA ha creato ostacoli burocratici che hanno reso sempre più difficile costruire alloggi nello Stato da 39 milioni di abitanti. Nonostante l’opposizione di diversi gruppi ambientalisti, la manovra voluta da Newsom è passata dopo che già all’inizio dell’anno alcune norme contenute nell’atto erano state bypassate per riuscire ad assistere le vittime degli incendi boschivi nella California meridionale.
Ciò che importa – davvero – è che il CEQA è stato effettivamente responsabile del lungamente criticato aumento dei costi di costruzione: con questa manovra i 18 mesi di governatorato che restano al democratico non hanno più il sapore della sconfitta ma di un braccio teso alle famiglie di classe media e al loro diritto all’abitare, e potrebbero effettivamente rappresentare l’eredità politica di Gavin Newsom.