Il GOP si tinge di verde
Dal negazionismo al primo Caucus repubblicano ambientalista.
C'è un rinnovato interesse per il clima e questa volta non proviene dall'area democratica della politica statunitense. Sembra incredibile eppure dopo anni di negazionismo trumpiano sul cambiamento climatico, finalmente qualcosa si muove anche sul fronte repubblicano.
La svolta sembra arrivare da alcune personalità del GOP e dell'universo dei conservatori che già da diverso tempo si battono per affermare una cultura ambientalista all'interno dei circoli repubblicani del Paese, a livello locale e nazionale.
Verrebbe quasi da pensare che questa inversione di marcia possa porre le basi per una possibile collaborazione con l'amministrazione Biden e, più in generale, con i democratici. E forse pensare, immaginare e ipotizzare, al momento è l'unica possibilità offerta ai cittadini statunitensi.
Basti pensare che su quello che molti considerano il vero punto strategico del piano per l'energia di Biden, cioè l'istituzione di un mandato che consentirebbe un aumento strutturale a livello federale della quota di elettricità prodotta da fonti rinnovabili nel Paese, i due mondi sono agli antipodi nonostante alcuni tentativi di mediazione da entrambe le parti.
Tuttavia, più di un mese fa si è tenuto nel cuore di Miami il primo vero raduno di conservatori sul cambiamento climatico organizzato da Benji Backer, presidente dell'American Conservation Coalition. L'American Conservative Climate Rally (così è stato chiamato l'incontro), ha riunito i giovani conservatori e la loro guida Backer, un ex-negazionista convertito, per discutere apertamente del ruolo che il partito repubblicano dovrà giocare nella lotta al cambiamento climatico.
I relatori che si sono alternati sul palco del Bayfront Park erano concordi su due punti di merito: l'esistenza di una crisi climatica che riguarda noi tutti (anche i repubblicani, nonostante molti di questi non ne siano convinti) e il fatto che il socialismo sia ancora il più grande male che aleggia sugli Stati Uniti. E per combattere questo mostro l'unica soluzione eternamente valida è la difesa delle logiche di mercato e il sostegno alla deregolamentazione, nella speranza, piuttosto utopistica, che (tanto per dirne una) i provider energetici che si affidano solamente a fonti rinnovabili possano competere da un giorno all'altro con chi offre le stesse prestazioni a metà prezzo sfruttando i combustibili fossili.
L'obiettivo dei giovanissimi e non repubblicani riunitisi a Miami è insomma quello di smobilitare l'elettorato repubblicano su temi che storicamente appartengono al mondo progressista; una storia già sentita. La musica in fin dei conti – ce lo ha insegnato bene Lakoff – è sempre la stessa: seppur con le più pure intenzioni, è l'ennesimo evidente caso di reframing di un tema che - perlomeno fino a questo momento - da un lato è sempre stato appannaggio dei Democratici e dall'altro ha rappresentato negli ultimi anni uno dei punti deboli dell'agenda politica repubblicana.
Certo è che il nuovo fronte ambientalista (o presunto tale) potrebbe dover affrontare molte grane, a partire dallo scontro con altri gruppi ambientalisti, fautori di un attivismo più radicale che si fa portatore e difensore di politiche a medio e lungo respiro che poco hanno a che vedere con l'anima liberista del GOP.
Basti pensare che la stessa associazione guidata da Backer ha pubblicamente sostenuto la sua contrarietà all'introduzione di una carbon tax e al contempo ribadito la centralità dell'innovazione tecnologica, grazie ad esempio all'implementazione della (controversa) tecnica dello stoccaggio del carbonio. Per Backer e i suoi è ad esempio investendo nella ricerca sulla fusione nucleare o facendo massicci investimenti nel rimboscamento di varie aree del paese che si possono risollevare le sorti del Paese.
I democratici che, dal canto loro, dopo mesi di lotte intestine, difendono a spada tratta l'obiettivo della decarbonizzazione dell'economia statunitense entro il 2050 a forza di investimenti in energia pulita e nell'elettrificazione totale di veicoli ed edifici, mal sopportano l'idea di dover mediare con i conservatori. Una mediazione comporterebbe non solo il dover scendere a patti su questioni cruciali, quale sarebbe l'abbandono di qualsiasi proposta di tassazione sulle emissioni di gas climalteranti, ma comporta l’effettivo rischio che i tempi per l'approvazione di un piano nazionale si allunghino a dismisura e rendano impossibile l'obiettivo primo dell’azzeramento delle emissioni entro il 2050.
Ad ogni modo, qualcosa si muove nell'universo repubblicano e non si tratta solo di fantasie giovanili. Pochi giorni dopo l'American Conservative Climate Rally infatti, il deputato repubblicano John Curtis ha annunciato la nascita del Conservative Climate Caucus con l'obiettivo di educare i deputati repubblicani sulla legislazione in vigore e sul fenomeno del cambiamento climatico, pur contrastando l'avanzata delle temibili "proposte radicali progressiste" dei rivali.
Curtis, tra i primi ad aver denunciato l'insostenibilità della politica repubblicana sulla crisi ambientale in corso, sa bene che una mancata presa di posizione da parte del GOP su questi temi rischia di svantaggiare il partito nei sondaggi, allontanandone le possibilità di vittoria negli swing states e nell'elettorato più giovane. La collaborazione con i Democratici, per ora, sarebbe, a suo avviso, la via maestra. Dunque, che fare con tutti quei repubblicani che ancora gridano al complotto e che mai potrebbero accettare un compromesso tra i blu e i rossi?
Come auspicare a una possibile collaborazione tra le due parti se il leader dei Repubblicani alla Camera Kevin McCarthy solo pochi mesi fa gridava ai microfoni di Fox News che l'obiettivo del Presidente Biden è quello di controllare quanta carne consumano i cittadini statunitensi?
Si prospettano tempi duri per i conservo-ambientalisti e, sempre di più, per i debunkers.