Com'è cambiato il messaggio religioso dei progressisti dagli anni '60 a oggi
Nel 1963 Martin Luther King Jr. pronunciava il discorso "I have a dream" per mettere fine alla segregazione razziale. A distanza di sessant'anni è la destra di Trump a fare leva sulla religione

Il 28 agosto del 1963, sugli scalini del Lincoln Memorial di Washington D.C., capitale degli Stati Uniti, l’attivista politico e pastore della chiesa battista Martin Luther King Jr. pronunciò il discorso I have a dream per evidenziare le ingiustizie economiche e sociali che affliggevano la popolazione afroamericana e per porre fine al razzismo negli Stati Uniti. «Grazie alla fede saremo in grado di trasformare queste forti discordanze in una bellissima sinfonia di fratellanza» diceva King in quello che sarebbe diventato uno dei suoi discorsi più celebri e importanti per il movimento per i diritti civili. King confidava nella religione come nobile mezzo per unirsi come nazione. A distanza di più di sessant’anni, la religione cristiana è diventata soprattutto un mezzo con cui soprattutto le destre di tutti i Paesi, Stati Uniti inclusi, cercano di ottenere voti dai propri elettori per giustificare politiche nazionaliste e non inclusive. La maggior parte degli elettori Repubblicani si identifica infatti di fede protestante o cattolica, mentre i Democratici sono perlopiù atei o professano altre religioni.
«Finalmente liberi. Finalmente liberi. Grazie a Dio onnipotente siamo finalmente liberi» terminava il suo intervento King. Negli anni successivi la religione ha continuato a rappresentare un importante valore per i politici progressisti statunitensi. Nel 1972 l’allora candidato Democratico alla presidenza degli Stati Uniti era George McGovern, figlio di un pastore metodista, che all’università scrisse un sermone chiamato Brother’s Keeper: il discorso venne definito come uno dei migliori dell’anno da parte del National Council of Churches. McGovern sosteneva che la religione fosse necessaria per elevare la società e che la salvezza singola dell’individuo fosse importante.
Nel 1976 Jimmy Carter, candidato Democratico alla presidenza degli Stati Uniti, vinse le elezioni e divenne il trentanovesimo Presidente. Carter, il Presidente più longevo nella storia del Paese e Premio Nobel per la Pace, divenne diacono a diciotto anni e durante il suo mandato pregava molte volte al giorno. Da cristiano evangelico Carter ha sempre avuto posizioni religiose chiare: Gesù ha sempre trattato allo stesso modo uomini e donne, e quest’ultime hanno ricoperto un ruolo fondamentale quando è nato l’istituto della chiesa. Sono infatti state le prime a dare la notizia della risurrezione di Cristo. Le posizioni di Carter sull’aborto sono state meno nette: per quanto fosse antiabortista, Carter non fece alcuna campagna per provare a capovolgere Roe v. Wade, la decisione della Corte Suprema statunitense con la quale si affermava il diritto all’aborto protetto dalla Costituzione. Il femminismo di Carter è stato evidente sia da Presidente, quando nominò più donne all’interno della sua amministrazione di qualsiasi altro Presidente della storia statunitense, sia a livello personale, dato che considerava sua madre una persona modello. In un’intervista del 2008 Carter ha detto: «Mia mamma era un’infermiera professionista […] trattava gli afroamericani esattamente allo stesso modo delle persone bianche ed era unica […]».
Gli anni ‘80 dei Democratici furono un periodo transitorio che precedette il doppio mandato da Presidente di una delle figure più importanti della storia degli Stati Uniti. Dopo gli otto anni di Ronald Reagan e un solo mandato per George H. W. Bush, il 20 gennaio 1993 Bill Clinton entrò alla Casa Bianca come quarantaduesimo Presidente degli Stati Uniti. Clinton si convertì alla fede metodista nel 1993 insieme alla moglie Hillary Rodham. Dopo lo scandalo Lewinsky, ossia quando divenne noto il tradimento da parte di Clinton, il Presidente sapeva di aver peccato e di aver compromesso la sua immagine di fronte al popolo statunitense e cominciò a parlare con molti leader evangelici. «La mia fede mi dice che tutti noi siamo peccatori [...] La fede religiosa mi ha permesso di credere nella continua possibilità di diventare ogni giorno una persona migliore, di credere nella ricerca della completa integrità nella vita» disse Clinton in un’intervista.
Poi arrivò Barack Obama, il primo Presidente afroamericano della storia statunitense. Nonostante le false accuse che vedevano in Obama un praticamente musulmano che pregava di nascosto, il quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti è diventato cristiano in età adulta. La sua posizione religiosa è stata fondamentale nella ricerca del dialogo anche con la parte di elettori Repubblicani con i quali condivideva la visione giudaico-cristiana delle cose. Obama è stato anche uno dei primi Presidenti a promuovere attivamente l’integrazione delle minoranze sulla base della religione: dopo l’attentato dell’11 settembre al World Trade Center di Manhattan, New York City, Obama si è fatto portavoce del diritto delle persone musulmane a costruire un centro di preghiera vicino al punto dell’attacco terroristico: «Da Presidente degli Stati Uniti sono anche una persona che crede fermamente che parte della grande forza di questo Paese risieda nell’abbracciare persone di tante fedi diverse o atee».
Infine c’è Joe Biden, attuale Presidente degli Stati Uniti. Biden è stato soltanto il secondo Presidente statunitense cattolico — il primo è stato John Fitzgerald Kennedy. Le posizioni progressiste e le politiche attuate da Biden in merito all’aborto e ai diritti LGBTQIA+ non hanno reso facile il rapporto tra il Presidente degli Stati Uniti e la chiesa, per quanto ci siano stati incontri con il Papa che l’ha definito un “buon cattolico”.
Per quanto la religione cristiana rappresenti ancora oggi un tratto fondamentale della cultura statunitense, la fede è adesso un’arma, ancora prima di essere considerata un valore, che soprattutto le destre intendono utilizzare per accaparrarsi una gran parte del Paese meno progressista. Durante l’ultimo giorno della Convention Repubblicana di Milwaukee, nello stato del Wisconsin, l’ex Presidente e candidato repubblicano Donald Trump ha detto di non essere rimasto ucciso nell’attacco di sabato 13 luglio grazie alla fede: «Mi sentivo al sicuro perché avevo Dio dalla mia parte» ha riferito Trump. Le figure di destra di oggi rappresentano raramente i valori cristiani: Trump è stato sposato tre volte, ha figli da mogli diverse, ha avuto rapporti extraconiugali e nei quattro anni da Presidente ha separato i bambini migranti dalle loro famiglie, ha detto che il Coronavirus è stato un virus architettato dai cinesi, non ha rispettato il volere degli elettori e ha incitato i suoi sostenitori ad attaccare la sede del governo statunitense.
I progressisti di oggi hanno l’interesse di abbracciare ogni tipo di diversità culturale e religiosa: il cristianesimo non rappresenta più una conditio sine qua non per considerare rette e degne di essere votate le persone in politica. Le sfide per garantire i diritti LGBTQIA+, per combattere il cambiamento climatico e per garantire la sicurezza ai migranti che vengono espulsi al confine difficilmente trovano la risposta nei messaggi di stampo cristiano utilizzati dalle figure politiche del passato. Trovano però piena adesione nel messaggio cristiano originale. È su questa base che, poter continuare a far coesistere progressismo e messaggio religioso, i politici e le politiche di oggi devono agire.