Razzismo, omofobia e misoginia: non basta la testa di Jon Gruden per cambiare l'NFL
Jon Gruden si è dimesso dal ruolo di allenatore dei Raiders, ma non è sicuramente l'unico che dovrà pagare.
Il lunedì dello sport americano questa settimana è iniziato con un nuovo scandalo nella NFL. L’ormai ex head coach dei Las Vegas Raiders, Jon Gruden, ha dato le dimissioni a seguito di un’inchiesta del Wall Street Journal, in cui il giornale americano ha reso noto il contenuto di alcune email del 2011, periodo in cui Gruden faceva l’analista per ESPN.
Nelle email, indirizzate a Bruce Allen, allora presidente dei Washington Redskins (diventati Washington Football Team l’anno scorso dopo proteste sul loro nome che aveva connotati razzisti verso i Nativi Americani) Gruden ha usato ripetutamente offese razziste contro il direttore esecutivo dell’associazione giocatori della NFL DeMaurice Smith, battute omofobe contro un giocatore NFL e offese misogine contro molte donne che lavoravano all’interno degli allora Washington Redskins, squadra di football della Capitale.
Le prime email, in cui Gruden scherniva DeMaurice Smith sono uscite venerdì. Gruden nella conferenza prepartita dei suoi Raiders aveva tenuto a precisare di non essere razzista; quando però il New York Times ha pubblicato altre email, raccolte nell’arco di sette anni, Gruden oltre ad usare offese razziste si è macchiato anche di accuse omofobe ed offese misogine, vedendosi costretto a dimettersi e abbandonando dunque la carica di capo allenatore dei Las Vegas Raiders.
Le email però non sono state trovate casualmente: l’inchiesta del WSJ viene infatti da molto più lontano, addirittura dall’anno scorso, e vede coinvolte molte più persone di quelle che ci si può immaginare: nell’agosto del 2020, il Washington Post pubblicò una sua inchiesta, in cui svelava l’ambiente tossico e misogino che per anni aveva contraddistinto la squadra di football di Washington.
Molte ex dipendenti infatti hanno denunciato al Post la situazione in cui si erano ritrovate a lavorare: dalle offese sessiste quotidiane, agli abusi psichici e fisici all’interno dell’organizzazione e i dirigenti che, nonostante le segnalazione delle loro dipendenti, non hanno mai fatto nulla per migliorare la situazione, ma, anzi, spesso erano fra i primi a maltrattarle.
La NFL poco dopo la pubblicazione dell’inchiesta prese in carico l’indagine interna, che dalla fine dell’estate di un anno fa non è ancora terminata. Dopo oltre dieci mesi di investigazioni, centinaia di testimonianze dirette da dipendenti e dirigenti e 650.000 documenti sequestrati, l’unica cosa che è arrivata è una multa da 10 milioni di dollari per il proprietario della squadra, Daniel Snyder, il cui patrimonio si aggirerebbe intorno ai 4 miliardi. Snyder è stato costretto a lasciare il ruolo di direttore delle day-to-day operation della squadra (il posto è stato preso dalla moglie).
Le email di Gruden erano però indirizzate per la quasi totalità ad una persona sola: parliamo di Bruce Allen, che al tempo era presidente di Washington, salvo poi lasciare la carica dopo l’inchiesta dell’anno scorso. Nessuno ha tuttavia provato a chiedere ulteriori spiegazioni ad Allen stesso, o al front seven di Washington.
La NFL sembra voler coprire il più possibile le sue indagini, non lasciando trapelare nulla e rifiutandosi di rendere pubblici i documenti sequestrati nel corso dell’indagine – i quali potrebbero nascondere molte più verità di quelle che sono uscite fino ad ora – e con i suoi avvocati istruiti a non rendere pubblica nessuna delle accuse mosse a Washington nel corso di questi mesi di investigazioni.
Jon Gruden è stato l’unico a pagare realmente fino ad ora e sebbene sia innegabile che quanto ha fatto sia assolutamente da condannare, viene da chiedersi come mai la NFL stia ostacolando così tanto le indagini, nascondendo il più possibile gli esiti della sua indagine ed evitando di lanciare pesanti accuse a un ambiente controverso come quello di Washington.