Rags to riches: la parabola politica di Pierre Poilievre
Mai stato più lontano dal tanto agognato ruolo di Primo Ministro del Canada, il conservatore Pierre Poilievre deve incolpare per la sua débâcle solo una persona: Donald Trump
25 punti percentuali di vantaggio per i conservatori e un piede già dentro il 24 di Sussex Drive. Il candidato Primo Ministro del Canada, Pierre Poilievre, era pronto al successo elettorale a cui aveva così minuziosamente lavorato nel corso degli anni, senza tuttavia tenere conto di una variabile che, arrivati alle urne, gli è stata fatale: l’impatto di Donald Trump, tornato alla Casa Bianca, sulle elezioni del 28 aprile.
I continui attacchi sferrati dal Presidente degli Stati Uniti contro il Canada – dal declassare l’ex Primo Ministro Trudeau a semplice “Governatore” di uno Stato americano, fino alla spietata guerra di dazi sulle merci canadesi – non hanno fatto altro che ridurre il vantaggio dei conservatori sui liberali che, arrivati alla vigilia del voto, ammontava a soli cinque punti percentuali come riportato da 338Canada.
Il pessimo tempismo della campagna elettorale è stato fatale per Poilievre: la sua ricetta reazionaria e conservatrice, così promettente sino a dicembre dello scorso anno, ha smesso di fruttare consenso ai conservatori proprio a partire dall’insediamento di Trump al 1600 di Pennsylvania Avenue. Al contrario, il candidato liberale rivale, Mark Carney, è uscito vittorioso dallo scontro tra USA e Canada, venendo riconfermato Primo Ministro e rivelandosi una figura di fiducia per un elettorato alla ricerca di qualcuno in grado di difenderlo dalla scelleratezza trumpiana.
Carney, che a marzo scorso è succeduto a Trudeau come leader del Partito Liberale e Primo Ministro, ha raccolto i frutti della rovina di più di un anno di netto e stracciante vantaggio conservatore, conquistando 168 seggi su 343 e preparandosi a un governo di minoranza. La vittoria liberale non si è fermata qui, perché il risultato più sorprendente si è avuto proprio con la perdita da parte di Poilievre del suo posto in Parlamento. Il ruggente leader dei conservatori ha infatti perso il suo seggio, gelosamente custodito per due decenni, nella zona rurale di Ottawa, conquistato dal candidato liberale Bruce Fanjoy.
Nonostante la riproposizione di una ricetta liberale, tuttavia, c’è da chiedersi il perché di un supporto di così lungo corso nei confronti di Poilievre e in che direzione – tolto Trump dalla scena – stiano realmente andando la politica e società canadese. Vincere una battaglia elettorale, infatti, non è come vincere una guerra, e le ampiamente condivise preoccupazioni generate dalle politiche statunitensi potrebbero non distogliere l’elettorato canadese dai propri afflati conservatori a lungo, mettendo a dura prova il governo di minoranza di Carney.
Solo lo scorso anno, Pierre Poilievre dominava le cronache giornalistiche per essere stato escluso da un question time alla Camera su volere dello Speaker Greg Fergus e dopo aver definito l’allora Primo Ministro Trudeau un “wacko” (letteralmente, un pazzo). Fergus, dopo aver chiesto a Poilievre di ritrattare cessando di usare un linguaggio antiparlamentare, ha optato per l’allontanamento di un giorno intero del Conservatore, una volta incontrata l’opposizione di quest’ultimo, che ha continuato a definire Trudeau un estremista e un radicale.
A conti fatti, il vero baluardo di una retorica estremista e radicale è sempre stato proprio Pierre Poilievre, negli anni divenuto maestro nel reindirizzare la rabbia e la frustrazione dei cittadini canadesi per i propri standard di vita, contro Trudeau, contro il suo successore e contro i Liberali in generale.
Populista in carne e ossa, le somiglianze con lo stile propagandistico trumpiano (poi fatali) lo hanno spinto a ergersi per anni come l’unica proposta politica in grado di mettere gli interessi del Canada davanti a tutto – come riassume perfettamente il suo “Canada First”.
Interessi che, secondo Poilievre, si concretizzano in un approccio apertamente antagonista nei confronti dei media e nella promessa di tagliare i fondi all’emittente CBC; nella guerra al “wokeness” e al crimine sregolato; nel via libera ai principali progetti sulle riserve, a prescindere da qualsiasi lotta al cambiamento climatico e dal rispetto dei diritti degli indigeni; oltre che in un impopolare programma governativo di carbon-pricing, “Axe the Tax”.
Un personaggio forse troppo “Trump” anche per Donald Trump stesso che, interrogato rispetto alle elezioni in Canada, ha criticato Poilievre per “aver detto cose negative” e lo ha definito come “il conservatore che si candida” che “non è stupidamente mio amico”. Il Presidente statunitense ha poi aggiunto che non si ritiene preoccupato per aver indirettamente favorito, con la guerra commerciale, il Partito Liberale canadese alle elezioni –- rimarcando un disinteresse generale per il destino politico di una nazione indipendente che ritiene al pari del 51esimo Stato degli Stati Uniti.
L’unica differenza tra Trump e Poilievre può essere proprio quella che è costata a quest’ultimo la tanto agognata carica: il candidato canadese, infatti, nel corso della sua lunga carriera si è sempre tenuto lontano dalla sfera della politica estera e degli affari internazionali. Le minacce e mire espansionistiche di Trump lo hanno costretto a una presa di posizione, forse, non sufficientemente solida e credibile agli occhi di un elettorato abituato a un “altro” Poilievre.
Dopo essere stato etichettato come “non abbastanza MAGA” dal capo dell’esecutivo vicino di casa, anche lo stesso Poilievre ha tentato di scindere la propria immagine da quella di Trump, proponendosi come il “duro” capace di tenere testa al Presidente degli Stati Uniti, anche in ragione di un retaggio familiare più modesto e ostico rispetto a quello del magnate americano. Eppure, la narrazione del sé cambiata al fotofinish non sembra aver funzionato.
Quale destino aspetta un Pierre Poilievre chiuso fuori dalle mura del Parlamento? Secondo la CBC, il leader conservatore non avrebbe accennato a lasciare la guida dello schieramento, nonostante la schiacciante sconfitta elettorale. Un dichiarato attaccamento che, tuttavia, ancora non si era scontrato con la dura realtà della perdita del proprio seggio e che potrebbe rimettere in discussione la sua figura politica e ruolo di guida per gli anni a venire, marcando l’appena conclusasi tornata elettorale come l’ultimo canto del cigno conservatore Pierre Poilievre.