La radicalizzazione della destra francese
Non solo il sodalizio fra Marine Le Pen e Donald Trump, ma una progressiva radicalizzazione dell’elettorato e della società civile, spostatasi ormai su posizioni più estreme di destra.
Le analisi comparativistiche fra Francia e Stati Uniti, specialmente durante le tornate elettorali, si focalizzano sempre sulle diversità che attraversano i due Paesi, soprattutto per quanto riguarda il sistema socioeconomico, caratterizzato da una parte da uno stato sociale molto presente per la prima e dall’altra da un sistema di welfare ridotto all’osso per i secondi.
Poche volte ci si sofferma su quanto le due nazioni abbiano in comune, specialmente a livello geografico, ad esempio la dicotomia centri urbanizzati e periferie rurali, che è ugualmente presente. Un’altra tendenza comune è emersa in questi anni: la progressiva perdita di terreno della destra centrista a favore dell’estrema destra.
Un paio di considerazioni sono tuttavia necessarie prima di iniziare. Innanzitutto, la diversità fra sistema partitico francese e americano, quest’ultimo caratterizzato da un solido bipolarismo che, nonostante i tentativi, non è mai stato scosso da partiti o movimenti terzi. In Francia, invece, i vecchi partiti versano in profonda crisi, ed è il secondo ballottaggio presidenziale di fila che li vede esclusi.
La seconda considerazione è di natura socioeconomica, come già evidenziato all’inizio: negli Stati Uniti la previdenza sociale è molto ridotta, al contrario di quanto accade in Francia, in cui l’esistenza dello stato sociale è uno dei motivi di vanto del Paese e viene tutelato (quantomeno a parole) da tutti i candidati politici, a prescindere dalla loro appartenenza partitica.
Partendo da queste due osservazioni, sembra effettivamente strano che la destra abbia avuto una parabola simile, declinata secondo le peculiarità nazionali, in entrambi i Paesi. Non si tratta solo del sodalizio fra Marine Le Pen e Donald Trump, basato su ammirazione reciproca e un perseguimento di politiche quanto meno comuni, come con altri leader di destra quali Jair Bolsonaro e Viktor Orbán, ma di una progressiva radicalizzazione dell’elettorato e della società civile, spostatosi ormai su posizioni più estreme di destra.
Una delle interpretazioni più diffuse, specialmente dopo l’entrata in scena dei partiti populisti e dello scenario politico post-2016, riguarda il progressivo impoverimento della classe media: un fenomeno che ha colpito sia Francia che Stati Uniti, e che ha portato l’elettorato a spostarsi su posizioni conservatrici, nell’ottica di mantenere uno status quo ormai inesistente. Per quanto le cause economiche siano certamente di primaria importanza, manca comunque un tassello: la diffusione, su così larga scala, di un sentimento non solo conservatore, ma anche distruttore, poco propenso a riconoscersi nell’ordine internazionale – l’Unione Europea nel caso della Francia, il sistema dei trattati per gli Stati Uniti – e fortemente desideroso di limitare i suoi contatti con l’esterno, specialmente per quanto riguarda il tema centrale dell’immigrazione.
L’immigrazione in Francia e negli Stati Uniti, nonostante abbia matrici e storie politiche diverse, ha un fattore in comune molto profondo: si tratta, in entrambi i casi, di immigrazione di individui percepiti come profondamente diversi, per fattori di lingua, cultura e religione. Così in Francia si moltiplicano le proposte di legge per vietare il velo, ben sapendo che è la religione musulmana che si va a colpire, negli Stati Uniti si va verso la marginalizzazione degli immigrati irregolari provenienti dal Centro e dal Sud America con una forte enfasi sulla “guerra alla droga” o alla “criminalità”.
Il framework narrativo è essenzialmente lo stesso per entrambi i Paesi. Si parla in termini generici con cui la maggior parte della popolazione si trova d’accordo, come la laicità dello Stato o la lotta alla criminalità, per poi scivolare in proposte che vanno a colpire degli specifici gruppi etnici. Molti degli immigrati in entrambi i Paesi vivono in condizioni di precarietà materiale ed esistenziale che portano al favoreggiamento dell’illegalità: non a caso il concetto di ghetto americano ha enormi somiglianze con il concetto di banlieue francese. Il populismo di estrema destra propone soluzioni facili a problemi socioeconomici estremamente complessi e promette, del resto, la soluzione più facile di tutte: quella di eliminare dalla vista chi viene percepito come indesiderato.
Un altro fattore da non sottovalutare è la disillusione della società civile nei confronti dei politici professionisti. Il caso di Donald Trump in questo caso è esemplare, e rispecchia, per certi versi, anche molti dei talking points della prima campagna di Emmanuel Macron: se però per il secondo il valore aggiunto era la competenza, per il primo il concetto di “outsider” alla politica bastava come lasciapassare per evitare accuse di collusione con i maggiori gruppi d’influenza americana. Marine Le Pen ha cercato di smarcarsi dal suo passato politico, giocando comunque sul suo essere percepita come “al di fuori” delle dinamiche europee e rivolgendosi ai francesi come interlocutori primari, insistendo sui concetti di sovranità e indipendenza.
La Francia e gli Stati Uniti si trovano di fronte a sfide che accomunano molti Paesi dell’area occidentale: una società sempre più multietnica, la crisi climatica e le conseguenze economiche della pandemia e della guerra in Ucraina. Non è difficile intuire come proporre soluzioni nostalgiche, appellandosi a un’età dell’oro mai esistita, possa aver presa su un elettorato che si sente sempre più distante e percepisce di aver perso il suo peso nel mondo: l’establishment di destra in entrambi i Paesi ha scelto di spingere su questa mitizzazione, sottovalutando però che il nazionalismo e la spinta conservatrice particolarmente violenta non sono fenomeni storicamente facilmente controllabili, e che potrebbero rivoltarsi contro di loro.
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