Queer Country
Un genere dimenticato ritorna a rompere gli schemi di una musica ormai stereotipata e ripiegata su sé stessa
Nel 2011 Karen Pittelman ebbe un’idea un po’ folle per festeggiare il suo compleanno. Insieme alla sua compagna Elana Redfield da qualche anno era parte del trio country Karen&TheSorrows, un gruppo che suonava ormai da qualche anno a Brooklyn, un borough con una fiorente scena alt-country e Americana. Un ambiente, tuttavia, dove non si trovava a suo agio. Il mondo del country, con il suo volto tradizionale, vecchia scuola, eteronormato, non era uno che Karen potesse chiamare casa.
“È difficile sentire l’urgenza di fare qualcosa se di quella cosa non ne hai bisogno tu stessa”, ha raccontato al Daily Bandcamp. “Una delle più importanti eredità del punk è l’idea che se hai bisogno di qualcosa, falla, cavolo!”.
Quindi la sera del suo compleanno, in un locale di Brooklyn, invitò un po’ di band con la premessa che la musica fosse country a tema queer. Chiamò l’evento Gay Ole Opry. Si presentarono 350 persone, provenienti da parti completamente diverse del Paese. Come Karen anche altri fan e musicisti country erano alla ricerca di spazi in cui sentirci al sicuro, a proprio agio nell’esprimere le proprie identità anche nella musica e nei testi, nei costumi e negli stili. “Sentivamo la mancanza di spazi queer” racconta. “Non volevo più che fosse strano che fossi innamorata della mia chitarrista pedal steel e volevo solo suonare in spettacoli dove mi sentivo tutt’una con la mia comunità”.
Nei mesi successivi, Gerarg Kounhoven, della band Dolly Trolly, aprì un bar a Prospet Heights, chiamato Branded Saloon. Karen gli chiese di trasformare Gay Ole Opry in uno spettacolo mensile. Era nato il Queer Country Movement. Il Queer Country Monthly, poi diventato Quaterly, è diventato la mecca di un genere considerato completamente estraneo alla comunità LGBTQ+. “Non ci sono molti posti in cui posso celebrare la mia identità di musicista dell’Appalachia e di musicista queer”, dice Sam Gleaves, “e questo è uno spazio per fare entrambe le cose. Non si tratta tanto di me quanto della comunità e della sensazione di sapere che ci sono altre persone che come te usano la musica country per cantare la loro identità e il loro posto nel mondo.” La sua musica parla di Appalachi e di miniere, attraverso però storie che travalicano i confini di classe e genere, andando oltre una musica country convenzionale che non riesce ad uscire da binari stereotipati nello stile e nelle parole.
Questo perché il Queer Country Quaterly è diventato un laboratorio stilistico in cui la definizione stessa di musica country diventa molto meno granitica e più malleabile. Sul palco si ascolta dal folk al garage cowpunk, influenze rockabilly e punk. Oltre al più tradizionalista Gleaves, si sono esibiti nel tempo da Amythyst Kiah, cantante folk-blues al trio indie Mount Moriah e a Jlie Cira, un gruppo roots-punk del Massachussetts.
Tutto ciò sarebbe rimasto però un fenomeno limitato nella scena alternativa di una Brooklyn sempre più gentrificata e inaccessibile, se, nel 2019, un misterioso cantante mascherato, Orville Peck, non avesse portato il genere a una popolarità inaspettata. Conosciuto per la sua voce, la maschera di pelle frangiata e i testi evocativi ed erotici, Peck è arrivato come una ventata di aria fresca necessaria in un genere mainstream in stagnazione, tormentato dal fenomeno del bro-country. Insieme a Lil Nas X, la cui hit Old Town Road è tra i pezzi di maggior successo nella storia del country, e Trixie Mattel, la cui carriera fu lanciata dalla partecipazione a Ru Paul Drag Race, sono protagonisti di un nuovo capitolo queer, innovativo, inclusivo di uno dei generi più visibilmente bianchi, etero e conservatori della storia musicale americana.
Tuttavia, quello che potrebbe sembrare semplicemente come l’ennesimo prodotto culturale di un presente in cui la comunità LGBTQ+ reclama sempre più spazi di rappresentanza e legittimità, ha in realtà radici storiche più profonde. Temi e artisti queer hanno popolato il genere country per molto tempo nel XX secolo. Quando uscì I Love My Fruit nel 1939, fece scandalo per tutti i sottintesi omosessuali, tanto che la band The Prarie Ramblers dovette usare lo pseudonimo The Sweet Violet Boys per suonarla in luoghi ben selezionati. Un destino diverso invece per Wilma Burgess qualche decennio dopo, quando ormai la hillbilly music era diventata country. La sua musica parlava d’amore senza mai usare pronomi specifici, anche perché nell’industria la sua omosessualità era cosa nota. Celebrata come la prima cantante country lesbica dichiarata, frustrata dalla piattezza che il genere country aveva raggiungo negli anni’70, si trasferì a Nashville per aprire il primo lesbian bar della città, il The Hitching Post.
Tuttavia, se parliamo di queer country, e non si vuole semplicemente fare LGBTQ-spotting nella storia del genere musicale, allora il primo album espressamente e orgogliosamente queer fu Lavender Country nel 1973, della band omonima, messa insieme da Patrick Haggerty. Attivista per il Gay Community Social Services di Seattle, Haggerty e la sua band divennero una presenza fissa in molti eventi della comunità sulla West Coast, cantando l’ingiustizia sociale, la lotta e le rivendicazioni nell’epoca post-stonewall. Haggerty, tuttavia, non veniva dalla stessa esperienza di vita della maggior parte delle persone della comunità LGBTQ+ sue contemporanee. Suo padre, un agricoltore dello stato di Washington, accettò fi da subito la sua sissiness¸persino accompagnandolo a scuola in drag alla fine degli anni ‘50. Nella musica country, quindi, ritrovò un’identità che lo connetteva con una vita famigliare così straordinariamente accogliente e aperta.
I tempi però stavano radicalmente cambiando. Mentre la comunità usciva dall’ombra per rivendicare diritti e rappresentanza, il movimento conservatore si radicalizzava politicamente e culturalmente, appropriandosi della musica country e rendendola una bandiera di una nazione nostalgica, razzialmente e sessualmente omogenea, rurale e patriottica. Questo influenzò anche l’immagine esterna del genere, i cui fan piano piano furono visti sempre più come bigotti, razzisti e omofobi. Queer Country non aveva spazio in quel mondo. Nadine Hubbs, autrice di Rednecks, Queers and Country Music, ne parla in termini di profondo classismo culturale. Se la working class era stata vista fino a metà secolo come covo di radicalismo politico, immoralità, devianza sessuale e razziale, dagli anni ’70 in poi, con l’avanzata del tema dei diritti civili e il loro divenire parte dei programmi soprattutto del Partito Democratico, lo stereotipo, soprattutto nella classe media, divenne che la working class fosse bigotta, ignorante e intollerante. Ne soffrì di conseguenza anche quella parte rilevante di comunità LGBTQ+ che di quella classe sociale faceva parte geograficamente e culturalmente, incluse le band country. Nel 1976 Lavender Country si sciolse. Nessuno voleva più ascoltare quella musica ai Pride e nei bar.
Fino a che qualcuno non decise che fosse il momento di riparare il danno. Nel 2014 Haggerty ha rimesso insieme il gruppo, e suona ovunque nel Paese, incluso il Queer Country Quaterly a Brooklyn.
“Capisco perché le persone queer scelgano percorsi più moderati per raggiungere la celebrità”, ha raccontato a BBC Culture, “ma nella mia musica è la politica cruda, la mia verità che attrae le persone. Non voglio essere una star! Girl, oggi il messaggio è tutto”.