Quanto vale il Natale?
Quest'anno la spesa per i regali di Natale negli Usa potrebbe tornare ai livelli pre-pandemia, complice l'inflazione elevata. Eppure, non è tutto oro quello che luccica.
Il Black Friday è passato da poco, il Natale si avvicina a tappe forzate e c'è voglia di lasciarsi alle spalle il periodo difficile che stiamo attraversando. Tra una pandemia che torna a mordere, la guerra in Ucraina, la crisi energetica e l'inflazione alle stelle, abbiamo perso il conto delle once-in-a-lifetime crisis che hanno colpito il mondo negli ultimi due anni.
Ne è conseguito un sostanziale calo della spesa pro capite americana nel periodo natalizio negli ultimi anni. L’agenzia statistica Gallup ogni ottobre sonda gli States per determinare quanti soldi spenderanno gli americani per i regali. Se nel 2019 si stimava una spesa di 942 dollari pro capite, nel 2020 il dato era crollato a soli 805 dollari a causa del COVID-19, poi di poco risaliti nel 2021 a 837 dollari. Il 2022 si preannuncia come l'anno in cui le spese natalizie torneranno al livello del periodo precedente la pandemia, con una spesa stimata di 932 dollari pro capite, quasi 100 più dello scorso anno e solo 10 in meno del 2019, tuttora l’anno record.
Come cambiano gli acquisti natalizi
Dimentichiamoci le scene da film di Natale anni ottanta. A differenza del cliché del padre di famiglia che si affanna a cercare un negozio aperto la sera della vigilia, quest'anno gli americani si prenderanno più tempo per fare i regali. Tra i principali timori rilevati dai sondaggi c'è infatti la crisi della supply chain mondiale, che si ripercuote nella vita quotidiana sotto forma di fobia di non riuscire a soddisfare la letterina a Babbo Natale dei propri figli. Non per dimenticanza, ma per un’oggettiva mancanza dei prodotti sugli scaffali.
Questo è il motivo principale del successo del Black Friday appena trascorso, che – come rilevato da Adobe Analytics e riportato da Reuters – con 9,12 miliardi di dollari spesi centra un nuovo record, segno che i consumatori continuano ad apprezzare l'iniziativa e a sospendere gli acquisti preferendo concentrarli nei giorni delle offerte.
Non solo, Amazon ha lanciato una seconda edizione dei Prime Days a ottobre, poco più di un mese prima del Black Friday e solo tre mesi dopo la consueta edizione estiva. È stato un successo, e Forbes ipotizza che sia questo ad aver spinto le vendite retail di un solido +1,3% a ottobre rispetto a settembre.
Il Natale, in soldoni
Secondo la Michigan State University, in questa stagione natalizia le vendite al dettaglio aumenteranno dal 6 all'8% sul valore del 2021, attestatosi lo scorso anno a un ragguardevole risultato di 889 miliardi di dollari.
Tuttavia ci sono dati in controtendenza. Il 62% degli intervistati si dice preoccupato per la stabilità del proprio posto di lavoro e se pensiamo ai recenti licenziamenti di massa da parte delle big tech, non hanno tutti i torti a preoccuparsi. Molti imprenditori vedono nero il prossimo anno e gli analisti profetizzano un pessimo andamento dei mercati azionari. Il grande malato è l'Europa, dove si parla già di recessione a causa della crisi energetica che morde duro e dell'inflazione a doppia cifra, ma anche negli Stati Uniti l'outlook è negativo e molte aziende si stanno prendendo in anticipo con il taglio dei costi, in primis la forza lavoro.
Il dato più inquietante è comunque che ben il 38% degli intervistati si dice “molto” o “estremamente” preoccupato per la propria situazione finanziaria, e a buona ragione.
Il ruolo dell’inflazione
L'aumento della spesa pro capite infatti non corrisponde a un aumento dei consumi di pari entità. A sfilare banconote dal portafogli degli americani ci pensa l'inflazione: l'aumento dei prezzi si ripercuote sul potere d'acquisto di stipendi e pensioni, con la conseguenza di portare a una maggiore spesa a parità di merce acquistata.
Il Presidente Joe Biden lo sa bene. Da molti mesi i sondaggi danno l'inflazione tre le preoccupazioni principali dei cittadini americani, tanto che – secondo la maggior parte degli analisti – la difficoltà nel gestirla da parte della Casa Bianca avrebbe dovuto inficiare la prestazione del Partito Democratico alle elezioni di metà mandato del mese scorso. Come abbiamo raccontato su Midterm, il podcast tematico realizzato da Jefferson - Lettere sull'America, questo timore non si è concretizzato.
Tuttavia l'inflazione rimane uno dei principali spauracchi degli americani. Secondo Gallup, balza dal 33 al 37% la quota di intervistati che preventiva per i regali di Natale una spesa superiore ai 1000 dollari, mentre tutte e altre fasce di spesa calano rispetto al 2021. Tranne chi prevede una spesa inferiore ai 100 dollari, una quota marginale della popolazione.
L'aumento dei tassi d'interesse e il circolo vizioso delle carte di credito
Da europei e soprattutto da italiani è difficile comprendere quanto il credito al consumo sia importante per le famiglie americane. Siamo abituati ad avere un debito privato molto basso rispetto agli altri Paesi – a differenza dell'enorme debito pubblico che ci contraddistingue – e ci sembra assurdo che una buona fetta di popolazione sottoscriva un prestito per fare i regali di Natale.
Per gli americani non è affatto strano. Amano in particolar modo la rateizzazione del saldo delle carte di credito, usandole per finanziarsi senza dover sottoscrivere di volta in volta un prestito personale, cosa più frequente da questa parte dell’oceano.
Si tratta di un'apertura di credito di tipo chirografario, ovvero senza alcuna garanzia o ipoteca, bensì concessa sulla valutazione che quella persona sia meritevole di fiducia in base ai suoi redditi dimostrabili e alla sua storia creditizia. Il rischio più elevato per il creditore rispetto a una formula con garanzia, viene ripagato da un tasso d'interesse ben più sostanzioso, rendendo questa tipologia di prestito tanto facile da sottoscrivere quanto onerosa da ripagare: il rischio costa, è una regola base in economia.
I recenti aumenti dei tassi d'interesse posti in atto al fine di contrastare l'inflazione da parte della Federal Reserve (la banca centrale americana) hanno reso nettamente più costose la rate legate alle carte di credito, con un tasso medio che secondo Lendtree è arrivato alla quota record del 22,40% sulle nuove emissioni e del 18,43% sui debiti già consolidati.
Questo sta portando sempre più americani a ripagare i debiti con grande difficoltà, trascinando i saldi delle carte di credito per anni con pagamenti rateali via via più insostenibili a causa della quota interessi sempre più pesante, che aumenta in maniera considerevole l'importo totale del debito.
Il fenomeno è aggravato dalla tendenza ad aprire più posizioni creditorie diverse man mano che ci si trova in difficoltà nel pagarle, posticipando il problema e aumentando la propria esposizione invece di diminuirla. Un circolo vizioso e una forma di assuefazione dal credito al consumo per mantenere un tenore di vita al di sopra delle proprie possibilità.
Il problema è sistemico: in un mercato con un debito privato così elevato, una contrazione del credito al consumo causato dall'aumento dei tassi di riferimento si tradurrebbe in un brusco calo della domanda interna, e quindi in una crisi molto più ampia.
Cosa aspettarci dal 2023?
L'aumento della spesa natalizia pro capite indica che c'è fiducia e voglia di ripartire, ma il balzo rabbioso dell'indebitamento privato –CNBC riporta un aumento del 15% del debito da carte di credito nel terzo trimestre – indica che le risorse per farlo latitano.
Questo, sommato all'aumento dei tassi d'interesse, all'inflazione elevata, all'outlook negativo dei mercati azionari per l'anno prossimo e ai licenziamenti di massa da parte di molte corporation, è un cocktail potenzialmente micidiale per le famiglie americane e per l’economia in generale.
I carteggi di Jefferson sono e rimarranno sempre gratuiti. Se vuoi sostenere il lavoro della redazione…