Quando l'alcolismo era una questione di genere
Agli occhi delle donne di fine Ottocento il consumo di alcol significava violenza e prevaricazione maschile. La lotta contro l'alcol, quella per il suffragio e contro la schiavitù diventano tutt'uno.
Figlia del governatore dell’Ohio Allen Trimble, Eliza Jane Thompson aveva fatto esperienza diretta degli effetti dell’alcolismo. Suo figlio aveva sviluppato una dipendenza a causa di una prescrizione medica ed era morto nel 1873 in un ospedale per alcolisti (all’epoca inebriate asylum). Il 23 dicembre dello stesso anno, sua figlia ascoltò a Hillsboro una lezione di Diocletian Lewis, un attivista del Temperance Movement. Lewis, figlio a sua volta di un alcolista, era convinto del ruolo che le donne avevano nel porre fine all’epidemia. Thompson fu convinta dalla figlia ad andare a una riunione. Quella vigilia di Natale duecento donne, con una bibbia in mano, guidate da Eliza, marciarono dalla chiesa presbiteriana di Hillsboro fermandosi davanti ai saloons e alle drogherie, pregando, cantando inni e facendo firmare alle persone una petizione per fermare la vendita di bevande alcoliche. Suo marito era scettico. Per lui l’idea di donne che pregavano davanti ad un saloon era tomfoolery, una pagliacciata. La risposta di Eliza è diventata famosa: “gli uomini sono nel business delle pagliacciate da troppo tempo… è volere di Dio che ora anche le donne vi partecipino”.
Quella del Proibizionismo è una storia che parla anche e soprattutto di donne. Sembrerà strano, e gli storici ne stanno ancora discutendo, ma quel capitolo di storia americana, ciò che si tentò di fare, può essere di diritto inserito nella grande storia dei movimenti femminili statunitensi e della loro capacità di rendere temi a loro cari parte integrante del dibattito politico nazionale. Nomi come Frances Willard e Carry Nation, tra le più agguerrite attiviste antialcol del diciannovesimo secolo, ancora risuonano più di ogni altro nell’immaginario americano e nella narrazione scolastica di quel periodo. Anche a causa di ciò, parte della narrazione del fenomeno sin dalle origini volle che il Proibizionismo e tutto ciò che esso scatenò fosse colpa delle donne. Giornalisti, politici e storici dimenticarono o sminuirono presto i nomi degli uomini che legarono il proprio nome alla legislazione antialcol, come quello del cosiddetto padre del Proibizionismo o, Neal Dow, o Wayne Wheeler, capo dell’Anti-Saloon League, o lo stesso Andrew Volstead. A questo proposito nel 2019 Mark Lawrence Schrad ha pubblicato una sua ricerca su Politico. Dal 1933, gli uomini responsabili per il Proibizionismo hanno cominciato letteralmente a sparire dalla storia, a “favore” delle più note esponenti dei movimenti femminili antialcol, definite come zelote vittoriane, fanatiche, un pericolo per la libertà.
Il fondo di verità dietro questa evidente demonizzazione è che dinamiche di genere, insieme a problematiche sociali e razziali, definirono tutta la storia del Proibizionismo, da prima della Guerra Civile. Questo portò a contrapporre città alle campagne, protestanti ai cattolici, autoctoni agli immigrati, donne agli uomini, e contribuì a esacerbare un processo di costruzione di identità nazionale ancora non del tutto concluso. Bere alcol, che tipo e dove, arrivò a definire chi fosse americano, un buon cristiano, un marito responsabile e chi invece no.
La storia del consumo di alcol segue di pari passo lo sviluppo politico e industriale degli Stati Uniti. Nel diciannovesimo secolo rum, whiskey e altri liquori ad altissimo contenuto alcolico divennero sempre più disponibili, grazie a nuovi mezzi produttivi, economie di scala e innovazione nel sistema dei trasporti. Nel 1832, nella città di New Salem, Illinois, uno sconosciuto di nome Abraham Lincoln vendeva liquore al barile nel suo negozio. Con l’arrivo della produzione di massa di cereali nelle vaste pianure del West, la birra a basso contenuto alcolico che era comune in tutte le comunità anglosassoni fu progressivamente sostituita da liquori fatti in casa o distillati in grandi stabilimenti industriali. In alcune contee si arrivò a un consumo equivalente a 30 bottiglie di whiskey l’anno per ogni adulto. Le spese complessive degli americani in alcol superavano di gran lunga l’intero budget del governo federale. Dagli anni Trenta in poi quella che veniva spesso definita come un’epidemia fu costantemente documentata da vignette, satiriche o meno, che circolavano molto tra i nascenti movimenti antialcol, come quelle del caricaturista britannico Cruikshank.
Una nazione di mariti, padri e fratelli ubriachi spendeva interi stipendi nei saloons o nei cosiddetti grog shops, rendendo milioni di donne e minori vittime di abbandono, maltrattamenti e violenze. Un’abitudine che era considerata costitutiva dell’identità maschile, il bere alcol, stava progressivamente diventando la negazione stessa della mascolinità come definita nella società di allora, in quanto gli uomini non potevano spendere tutti i propri soldi al saloon e allo stesso tempo provvedere alle necessità della famiglia. Il rituale degradante del marito che torna ubriaco dal saloon e diventa violento è protagonista di molti dei racconti dell’epoca. Dato che parliamo di un periodo in cui il divorzio rappresentava il più delle volte una condanna alla fame, in cui non esisteva il concetto moderno di violenza domestica, o di stupro maritale, è facile comprendere perché molti cominciarono a parlare del problema incolpando principalmente l’alcol e il suo consumo.
La reazione al fenomeno fu prima religiosa e poi prettamente femminile, andandosi a legare a due grandi fenomeni culturali e politici della seconda metà del secolo, l’emergere del cosiddetto terzo grande risveglio religioso protestante e la battaglia per il diritto di voto alle donne. Dagli anni Cinquanta in poi, infatti, cominciò un periodo di forte attivismo religioso da parte di confessioni protestanti riformate e di stampo pietista. Questo movimento fatto di tante chiese locali, gruppi spontanei e associazioni nazionali fece sua la visione di un vangelo sociale, cioè un’applicazione più o meno radicale dello spirito cristiano alle problematiche sociali. Questo periodo vide l’adozione da parte di questi movimenti di importanti cause morali, come l’abolizione della schiavitù e appunto il proibizionismo. Bere alcol era per molti abolizionisti non meno peccaminoso e sbagliato che possedere schiavi. La guerra civile da una parte contribuì a focalizzare sulla causa dell’abolizionismo la predicazione e l’attività dei movimenti religiosi, mettendo in pausa la lotta all’alcol che aveva visto alcuni successi legislativi a livello locale a inizio anni Cinquanta. Dall’altra rinvigorì, soprattutto con il finire delle ostilità, la causa contro l’alcolismo, dato che il governo federale, per finanziare le spese di guerra, nel 1862 legittimò di fatto la produzione e vendita di alcol tassando entrambe. In breve, un terzo dell’intero budget dell’Unione proveniva dal commercio di birra e liquori.
A movimenti non-religiosi come quello dei Washingtonians, tra i primi ad applicare i principi dei moderni Alcolisti Anonimi, le organizzazioni religiose risposero con proprie congregazioni che si ispiravano all’ormai variegato Temperance Movement, come i Sons and Daughters of Temperance o i Knights of Jericho. Chiamate inizialmente ausiliarie, in reazione al maschilismo presente in queste organizzazioni le donne cominciarono a prenderne il controllo o a crearne di proprie. Le donne si misero in prima linea nella battaglia contro l’alcol, mettendo per la prima volta in maniera prorompente una questione di genere al centro del dibattito politico nazionale. Quando a Susan B. Anthony venne negato il diritto di parola in un congresso dei Sons of Temperance, ella fondò la Women's State Temperance Society nello stato di New York, con la presidenza di Elizabeth Cady Stanton. Durante la sua presidenza dell'organizzazione, Stanton scandalizzò molti sostenitori suggerendo che l'ubriachezza dovesse essere considerata di fatto causa sufficiente di divorzio. Il fatto che entrambe queste donne siano ricordate oggi soprattutto per la loro lotta per il voto femminile non deve sorprendere. La relazione tra il suffragio femminile e il temperance movement non era affatto accidentale. I due movimenti avevano interessi comuni e complementari, che vedeva il suffragio femminile lo scopo principale del movimento e il proibizionismo suo effetto naturale. Una volta ottenuto il diritto di voto, le donne avrebbero potuto esercitare pressioni sulla politica statale e nazionale per punire e limitare l'ubriachezza, percepita come un problema prettamente maschile.
Il concetto forse è reso molto più graficamente dal famoso discorso “Everybody’s war”, pronunciato nel 1874 da Frances Willard, più tardi la seconda presidentessa del Woman’s Christian Temperance Union. “Cerca per un istante di comprendere l’imperscrutabile dietro le seguenti parole: la moglie di un alcolizzato. C’è una guerra in corso in America, fatta di madri e figlie, sorelle e moglie. L’uomo spreca il suo tempo nei saloon, scialacqua il suo denaro e poi va a casa dove è amato. Proprio alla moglie che lo ama così tanto e ai figli che lo abbracciano infligge atrocità al di là di ogni immaginazione o possibile descrizione”.
L’alcol diviene in quegli anni il capro espiatorio di tutto ciò che il temperance movement riteneva essere il fallimento della società americana. Una comunità pura, astemia, morigerata, cristiana non avrebbe permesso la schiavitù, senza alcol non ci sarebbero state povertà, violenza domestica o prostituzione. In poco tempo la soluzione morale a ogni problema del Paese divenne il Proibizionismo, una causa che alimentava il consenso verso l’estensione del voto alle donne, le uniche ad avere il capitale morale per abbattere il maggiore di tutti i mali.