Quando "i neri cominciavano a vedere rosso"
Come il messaggio anticoloniale e di liberazione avvicinò gli intellettuali afroamericani al comunismo bolscevico negli anni dopo il 1917
Nel 1919, W.E.B. Du Bois, sulle pagine di The Crisis, rivista del NAACP, pubblica un articolo dal titolo “Returning Soldiers”, nel quale espone l’esperienza degli afroamericani mandati nelle trincee europee per “rendere il mondo sicuro per la democrazia.” Du Bois sottolinea come il vissuto dei Neri americani nelle file dell’esercito americano abbia prodotto in loro, una volta rientrati negli Stati Uniti, un sentimento di rivalsa e di crescente partecipazione politica. Questo è volto a combattere fermamente la loro condizione di segregati nel Sud e discriminati nel Nord, come dimostrano le rivolte razziali dell’estate del 1919. Le promesse di una loro maggiore integrazione nel tessuto sociale e civile degli Stati Uniti, infatti, si ritrovano a essere infrante una volta tornati a casa. Contro questo destino, i Neri iniziano a organizzarsi.
L’ondata di radicalità e conflittualità politica che attraversa molti afroamericani dei grandi centri industriali del Nord, nei quali erano arrivati durante gli anni Dieci a seguito della Grande Migrazione dagli stati del Sud, li porta ad avvicinarsi a diverse organizzazioni della sinistra radicale, come il sindacato degli Industrial Workers of the World e al Partito Comunista. Questo pone notevoli preoccupazioni al Procuratore Generale Alfred Mitchell Palmer, tanto da fargli sostenere che “i neri iniziano a vedere Rosso.”
A New York, precisamente ad Harlem, comincia a formarsi una comunità di intellettuali e attivisti Neri, soprattutto immigrati dalle Indie Occidentali. Hubert Harrison, Otto Huiswoud, W. A. Domingo, Richard B. Moore, Cyril Briggs, Claude McKay, Lovett Fort-Whiteman, Grace Campbell, sono solo alcuni dei loro nomi, molti dei quali diverranno figure importanti del Partito Comunista americano. Questi uomini e queste donne sono accomunati da un pensiero politico che spazia dal nazionalismo Nero al socialismo, due culture politiche che, malgrado le differenze, riescono a far convivere. Un esempio sembra essere quello di Cyril Briggs, fondatore di un’organizzazione chiamata African Blood Brotherhood la quale, inizialmente, ha una forte connotazione nazionalistica, ma che pian piano tende a scomparire a favore di un internazionalismo socialista. Briggs, infatti, si avvicina sempre più al Partito Comunista e inizia a raffigurare il Nero americano come un lavoratore, come membro della working class. Ecco che allora si intravedono i primi tentativi di fondere classe e razza in un nuovo arsenale teorico e politico.
L’interesse di molti radicali Neri alle teorie socialiste è dovuto soprattutto alla Rivoluzione d’ottobre del 1917. A differenza del movimento operaio euro-americano e dei suoi partiti, questi radicali Neri si avvicinano al bolscevismo non per l’enfasi posta sulla rivoluzione proletaria o la lotta di classe ma per il suo messaggio anticoloniale, diffuso sin dalla fondazione della Terza Internazionale nel 1919 e ribadito in modo più dettagliato nella Conferenza di Baku del 1920.
Ma cosa significa essere un radicale Nero in questi anni? La risposta la fornisce Richard B. Moore, una delle figure di spicco di Harlem. Nei suoi scritti, Moore spiega che un radicale è semplicemente qualcuno che propone dei cambiamenti all’ordine sociale, politico ed economico esistente. Dei cambiamenti, però, che si traducono nel rimpiazzare il sistema capitalistico con una nuova società socialista.
La radicalità di questo attivismo politico dei Neri americani porta alla diffusione del termine New Negro che, tuttavia, ha poco a che fare con quello ben più noto della Harlem Reinassance di Alain Locke della metà degli anni Venti. Il New Negro di cui si parla in questi anni è, infatti, un attore sociale che vuole la piena uguaglianza con i bianchi, migliori condizioni salariali e di lavoro, far parte dei sindacati ed essere rappresentato da un partito della classe operaia. Questo è il ritratto del New Negro fornito da Asa Philip Randolph e Chandler Owen, due socialisti e editori della principale rivista socialista Nera del paese, The Messenger. Il New Negro che nasce a partire dal 1919 è quindi un anticapitalista che intende lottare per la piena uguaglianza razziale e per i suoi diritti di lavoratore.
L’ultimo tassello che permette di legarlo al nascente movimento comunista e bolscevico lo fornisce W. A. Domingo, attivista e giornalista giamaicano. In diversi articoli su The Messenger tra il 1919 e il 1920, Domingo spiega come le forze sprigionate dalla Rivoluzione d’ottobre siano dalla parte dei Neri. “Tra gli eventi internazionali più importanti dal punto di vista dei Neri, delle nazioni e delle razze oppresse”, scrive l’attivista giamaicano, “c’è la diffusione delle idee liberatrici del bolscevismo.” Il New Negro americano deve pertanto sostenere queste nuove teorie, scrive Domingo, poiché sono “la sola arma che può essere utilizzata dai Neri” per sconfiggere l’imperialismo e il colonialismo delle grandi potenze occidentali. Lo spettro del bolscevismo, continua Domingo, è la più seria minaccia all’imperialismo e rappresenta “la più grande speranza per il Nero.”
L’interesse mostrato da questi black radicals verso il comunismo non è però ripagato dai membri dei due partiti comunisti formatisi nel 1919, il Communist Party of America e il Communist Labor Party. Nati dalla scissione interna all’ala sinistra del Socialist Party, i comunisti subiscono una ulteriore scissione principalmente su linee etniche, essendo il CPA composto in larga maggioranza dalle federazioni linguistiche del Partito Socialista, e il CLP formato in maggioranza da anglofoni e americani. Questi partiti, nei primi due anni di esistenza, mostrano poco o nessun interesse verso la Questione Nera. Sarà il Comintern a spingere insistentemente affinché i comunisti prima si uniscano in un unico partito e poi inizino a considerare la battaglia per l’uguaglianza dei Neri come fondamentale per la causa comunista e per la liberazione dall’oppressione razziale.
Il Comintern non solo fa della questione coloniale e razziale un pilastro della sua azione politica, ma a partire dal IV Congresso del 1922 legge la Negro Question come “una questione vitale della rivoluzione mondiale.” Il Comintern, quindi, propone un marxismo eterodosso, non privo di criticità, ma differente rispetto a quello della Seconda Internazionale; infatti, nella visione bolscevica, il soggetto rivoluzionario non è più solo l’operaio industriale, bianco ed eurocentrico, ma a esso Mosca affianca il Nero, le dark races e tutti i popoli coloniali, conferendo loro una dignità rivoluzionaria pari a quella dei bianchi.
In conclusione, per il New Negro di questi anni, il socialismo di matrice bolscevica non simboleggia solamente la libertà dal razzismo e dallo sfruttamento di classe ma – come ha scritto Cathy Bergin – viene recepito come “una visione di liberazione che attinge dalla e allarga la ricca tradizione radicale Nera e le politiche anticapitaliste e anticoloniali del tempo.” A partire dagli sforzi e dagli errori di questi anni, il Partito Comunista pone le basi per divenire negli anni Trenta una delle principali organizzazioni a fare della causa antirazzista e antisegregazionista la sua principale bussola politica, tracciando la strada a quello che, nei decenni successivi, sarà il Movimento dei Diritti Civili.