Predators: le molestie nel mondo del Big Tech
Brotopia e forced arbitration: come la Silicon Valley non vuole essere un posto per donne.
La Silicon Valley è il paradiso dove i venture capitalist cercano la next big idea, il prossimo Steve Jobs che rivoluzionerà il mondo della tecnologia. Per le donne però è l’ennesimo contesto lavorativo in cui sono costrette a difendersi dal sessismo e dalle molestie. Il copione sembra ripetersi all’infinito, con appena qualche variante sul tema: un invito a cena per discutere la propria idea con l’investitore di turno o una serata passata a lavorare fino a tardi su un progetto.
Niente di strano: il ciclo di investimenti nella Silicon Valley va avanti tramite relazioni informali che diventano solidi rapporti di lavoro. Tuttavia, troppo spesso, la persona che si ha davanti ha altri piani. Le donne non vengono considerate interlocutrici alla pari e quello che in apparenza è un incontro di lavoro può trasformarsi in un incubo. Dalle e-mail con proposte indecenti a veri e propri episodi di violenza sessuale, queste sono le storie di Cecilia Pagkalinawan, Bea Arthur e di tante altre imprenditrici che hanno scontato il peccato originale della Silicon Valley: essere donne in un mondo di uomini.
Nel 2001 Pagkalinawan si è trovata davanti a una scelta: cercare nuovi investimenti per la startup che aveva creato o licenziare i suoi 26 dipendenti. Così ha deciso di incontrare un importante venture capitalist a New York. Durante la cena in un costoso ristorante, l’investitore ha ordinato una bottiglia di vino da 5mila dollari, costringendo Pagkalinawan a bere, anche se lei non ne aveva voglia. Poi l’uomo le ha toccato la gamba e ha provato a baciarla, dicendole di volersi prendere cura di lei. Pagkalinawan è scappata in bagno a vomitare e ha lasciato il ristorante. Non ha mai parlato di quell’incontro per paura di non essere creduta.
Sedici anni dopo l’ingegnera Susan Fowler ha denunciato la cultura aziendale ostile e misogina di Uber, portando al licenziamento di 20 dirigenti e le dimissioni del fondatore Travis Kalanick per molestie sessuali. Grazie a un post pubblicato su Medium, Fowler ha permesso a tante altre donne che lavoravano nella Silicon Valley di ribellarsi a un sistema che per troppo tempo aveva avallato abusi di ogni tipo.
Nel 2018 Ellen Pao, ex CEO di Reddit, nel libro La guerra di Ellen. Una lotta per la parità e l’inclusione nella Silicon Valley, ha raccontato la causa che ha perso contro Kleiner Perkins Caufield & Byers, l’azienda per cui lavorava e che non le consentiva avanzamenti di carriera perché era una donna non bianca. La decisione di denunciare la cultura tossica e la mancanza di diversità ha avuto pesanti risvolti sulla vita personale di Pao, ma è stata fondamentale per fare in modo che certe dinamiche uscissero dalla bolla della Silicon Valley ed entrassero finalmente nel discorso pubblico.
Scegliere di parlare non è mai semplice. Un esempio è la storia di Gesche Haas, fondatrice di Dreamers // Doers, che nel 2014 ha denunciato le molestie subite dall'investitore Pavel Curda. Mentre era ad una conferenza, Curda le ha scritto un’e-mail che diceva: «Non lascerò Berlino senza fare sesso con te. Affare fatto?» Inizialmente Curda ha twittato che il suo account era stato hackerato, per poi scusarsi il giorno dopo sostenendo che era ubriaco. Nel frattempo, Twitter si è scatenato contro Haas, minacciandola di morte e tacciandola di aver denunciato solo per ricevere attenzioni: un caso di victim-blaming da manuale.
È la “brotopia”, l’utopia moderna della Silicon Valley descritta dalla giornalista Emily Chang nell’omonimo libro inchiesta, dove chiunque può cambiare il mondo a patto che sia uomo. Basti pensare che l'89% degli investitori nelle 72 aziende più importanti della Silicon Valley sono uomini. Nel 2016 sono stati investiti 64,9 miliardi di dollari in startup fondate da uomini, contro gli 1,5 miliardi di dollari in startup fondate da donne. Le CEO che riescono a ottenere finanziamenti sono solo il 2%.
Un livello di disparità di genere superiore anche a quello registrato a Wall Street, un altro ambiente rinomato per il sessismo e dove la rappresentazione è arrivata con molta fatica a un rapporto 50-50 tra lavoratori e lavoratrici. Nella Silicon Valley, invece, le donne occupano appena il 25% delle posizioni lavorative. Come ha sottolineato Chang «è vergognoso, specialmente in un'industria che si vanta di essere una meritocrazia dove chiunque può avere successo».
In seguito alla diffusione del movimento #MeToo anche nella Silicon Valley ci sono stati dei cambiamenti nella gestione delle denunce di molestie e discriminazione. Per anni grandi aziende tra cui Google, Microsoft, Meta e Uber hanno utilizzato la forced arbitration, clausola arbitrale, una pratica di mediazione interna che ha finito per silenziare le vittime, impedendo loro di citare le aziende in tribunale. Google ha cambiato policy in seguito agli scioperi del 2019, causati dall’allontanamento di due dirigenti che avevano ricevuto la liquidazione, nonostante le accuse di molestie fossero state confermante dall’indagine interna dell’azienda.
Mountain View non è stata la prima delle big tech a eliminare la clausola arbitrale per le denunce di molestia: nel 2018 Microsoft aveva cambiato linea dopo l'accusa di aver sfruttato le forced arbitration per coprire una denuncia di stupro. Anche Uber aveva già eliminato la clausola arbitrale, seguita poco dopo dal competitor Lyft. Facebook ha seguito l'esempio di Google, dopo che diverse testate giornalistiche avevano iniziato a indagare sull’argomento. Airbnb, eBay e Square hanno annunciato che stavano modificando le policy in materia di denuncia di molestie e discriminazioni.
Nonostante le promesse e i tentativi di rendere le grandi aziende dei posti di lavoro effettivamente meritocratici, la Silicon Valley rimane ancora impantanata nella brotopia, senza combattere davvero il gender gap e le violenze di genere. Secondo Nathalie Molina Niño, cofondatrice di BRAVA Investments, un’azienda che finanzia progetti che apportano miglioramenti economici nella vita delle donne, questi cambiamenti possono essere un inizio, ma non sono risolutivi.
«Servono risultati reali – spiega Molina Niño – per questo dobbiamo renderci conto che nel mondo della tecnologia abbiamo un problema sistemico». Per superare questa impasse è fondamentale ricordare che le donne nel tech non sono un’eccezione: sono la norma., ecome tale devono poter accedere a luoghi di lavoro sicuri senza dover temere violenze o ripercussioni sulla propria carriera.
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