La piaga (ignorata) del matrimonio infantile negli Stati Uniti
La pratica è legale a livello federale e pochi Stati la regolamentano, mentre i dati sono scarsi
La ghigliottina è stata un grumo d’inchiostro nero. Firme e timbri indelebili su un mucchio di documenti le hanno decapitato l’adolescenza. A 16 anni, nel tribunale della Contea di Washoe, a Reno, Nevada. Ismari l’ha raggiunto da San José, California, per imposizione, nelle vacanze post-secondo anno di liceo: «Fui portata nello Stato perché non richiedeva l’approvazione di un giudice per il matrimonio. In tribunale, dove fu acquisita la licenza, fissai la donna al banco di assistenza. Non mi domandò se volessi sposarmi, mentre il mio prossimo marito, che aveva 23 anni, era felice e rideva. Quando mi propose di uscire con lui, gli risposi che avrebbe dovuto chiedere il permesso a mamma – papà era morto. Pensai, ingenuamente, che mi avrebbe protetta», ricorda, a 45 anni, a Jefferson.
La sua giovinezza è stata troncata in anticipo per affrontare la quotidianità da sposa bambina negli Stati Uniti. Ingabbiata in un matrimonio infantile che, di lì a poco, sarebbe stato consacrato dal sermone di un pastore di Armona, California: «Indossai un abito bianco, non il mio preferito, che era beige. Se l’avessi scelto, i membri della chiesa avrebbero creduto che non fossi vergine. Lo ero, ma lui mi aveva già violentata. Nel camerino di un negozio di abiti da sposa avrei voluto gridare: “Non voglio sposarmi!”. Non mi resi conto che lo ero già». Inconsapevole pure che, a breve, la sua adolescenza si sarebbe frantumata: libertà soffocata, studi abbandonati - il 50% ha probabilità di rinunciarci- e legami azzerati: «Mi sentii un robot senza emozioni. Al rientro in casa non immaginai il futuro. Non ebbi idea di cosa significassero le nozze. Le chiacchierate con gli amici, le ciambelle che compravo mentre andavo a scuola, il rapporto con miei fratelli divennero ricordi».
Sfogliando il libro degli invitati e gli album fotografici, e indicando una videocassetta della celebrazione, Ismari indietreggia verso una tappa della sua vita che l’accomuna ad altri minorenni statunitensi (in Alabama e Nebraska lo si è fino ai 18 anni; in Mississippi ai 21). In 43 dei 50 Stati si può diventare marito o, soprattutto, moglie (86% dei casi) a meno di 18, senza violare norme federali e statali. Nessuno, prima di cinque anni fa (Delaware apripista), ha legiferato sulla pratica che l’UNICEF ritiene «violazione fondamentale dei diritti umani». La quale, tra il 2000 e il 2018, ha coinvolto almeno 297mila minori, 40 al giorno (dati reali più stime), per Unchained At Last.
Otto Stati non hanno fissato l’età minima per sposarsi e altri (Arkansas, Maryland, New Mexico, Oklahoma) la riducono in caso di gravidanza che è, spesso, precoce, non programmata e indesiderata. Epilogo di violenza psicologica, maltrattamenti e stupro che, per non essere puniti, sono stati occultati con le nozze: in quegli anni, l’Università McGill di Montréal, Canada, ne ha contate 35/40mila. Si è atteso il 2022 per attuare una disposizione federale che proibisse il sotterfugio: «Criminalizza lo stupro legale quando una delle parti è al di sotto dell’età del consenso, che varia a seconda dello Stato. Prima, invece, il governo federale dava ai predatori sessuali un incentivo a costringere i bambini a sposarli, così da non essere perseguiti. Però, esistono eccezioni nel Codice militare federale e nelle leggi della maggior parte degli Stati», spiega Divya Srinivasan, Global Lead End Harmful Practices di Equality Now, ONG che protegge e promuove i diritti umani di donne e ragazze nel mondo.
Non ha riguardato quello in cui Sara, a 15 anni, è diventata sposa bambina, officiato agli sgoccioli degli anni Novanta. Suo padre, per obbedire alla dottrina della setta sufista della quale era membro, l’ha concessa a un altro (28). Prima di esserne il marito, è stato «il mio rapitore e stupratore», incontrato una sola volta: «Dal Colorado mia madre mi mandò da mio padre, in California. Lui mi disse che avrei sposato un uomo scelto in accordo col leader del gruppo. Ma avrebbe voluto fosse successo quando ne avevo 12. Mi consegnò a lui che, dopo la cerimonia spirituale, mi portò in un’isola dei Caraibi: fui rapita, stuprata e messa incinta, e vittima di abusi emotivo e finanziario. Per proteggersi dai reati, ci sposammo in Nevada. Mamma fu ignara di tutto».
Lo racconta, a Jefferson, da sopravvissuta riuscita a «divorziare dopo un processo di dieci anni». Avviato da maggiorenne perché, da minore, svincolarsi dalle tenaglie del matrimonio infantile è proibitivo: si può essere incriminati per fuga, i centri d’accoglienza respingono e allertano la famiglia, un procedimento legale si ottiene solo tramite tutore. Da alcuni anni, Sara (43), da avvocata, affianca ONG per mobilitare sul tema, trascurato – oggi come ieri – da politica e opinione pubblica, convinta sia illegale (Public Library of Science, 2020). Lo sottolinea Srinivasan: «Mancano consapevolezza della sua diffusione e volontà politica di porgli fine. Esigiamo che gli Stati vietino il matrimonio al di sotto dei 18, senza eccezioni, e l’adozione dell’Emendamento per la parità di diritti in Costituzione».
Si somma una contraddizione. Gli Stati Uniti lo definiscono «violenza di genere» (Violence Against Women Reauthorization Act 2013) e garantiscono collaborazione «per affrontare pratiche dannose che minano i diritti umani, comprese le leggi che consentono il matrimonio infantile» (National Strategy on Gender Equity and Equality 2021). Tuttavia, non ratificano le convenzioni ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (unici), e sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, con Iran, Somalia, Sudan, Palau, Tonga. Implicherebbero l’adozione di misure e la loro verifica, ai quali sono restii. È la tesi di Nicholas Syrett, Professore di Women, Gender, and Sexuality Studies all’Università del Kansas e autore di American Child Bride: A History of Minors and Marriage in the United States: «Sono felici di schierarsi contro in patria quando non si vincolano a contratti con altri Paesi». Nel frattempo, a Capitol Hill “muoiono in aula” le rare proposte di legge.
Le radici delle incoerenze sono «l’idea sia che riguardi solo bambini, sia che vada bene se la futura moglie è incinta. Rispetto al passato, però, sono meno comuni: coinvolgono più sedicenni e diciassettenni, poveri del Sud e dell’Ovest rurali, dove non si scorgono opportunità. Perciò, non pare un problema a livello federale e statale», specifica a Jefferson. Tuttavia, quantificarne la riduzione è complicato: certificati e licenze di matrimonio non sono in un archivio nazionale, e sono taciuti o pubblicati incompleti da vari Stati (Unchained At Last: 18).
A testimoniare questa piaga bastano le parole di Ismari: «A 30 anni le gravidanze furono già tre. Dopo la prima, a 19, piansi: fui in trappola. Contemplai il suicidio, ma non riuscì a portarlo a termine. Soffro d’ansia e pensieri intrusivi: abusi subiti, nozze e stupro coniugale si ripropongono. Dal 2016 sono in terapia, mentre il divorzio sta richiedendo parecchio tempo». La sofferenza non si decapita.