Perché è importante il MET Gala
Un racconto di perché l’evento più importante del fashion lo è diventato, con analisi di alcuni abiti di quest’anno.
(Abito indossato da Blake Lively - MET Gala 2022 - Mostra “Crown to Couture” - Kensington Palace, 2023)
Il primo lunedì del mese di maggio è il giorno del MET Gala: un momento sempre atteso dalle celebrità, gli addetti ai lavori del mondo della moda e i semplici curiosi che o provano, se vivono a New York, a sbirciare qualche outfit dal vivo, oppure guarderanno la gallery del sito di Vogue la mattina seguente.
Quello che oggi è probabilmente il più importante evento mondano, nasce nel 1948, con lo scopo di raccogliere fondi per il Costume Institute del Metropolitan Museum: negli anni ha subito un’evoluzione che l’ha portato, da evento di socialità glamour prettamente newyorkese, alla ribalta mondiale.
Nel 1948 si trattava di una cena dal costo d’ingresso di 50 dollari, ideata da una delle menti della New York Fashion Week, Eleanor Lambert, e si teneva al Waldorf Astoria. Comincia poi a cambiare passo a partire dal 1973, quando la direzione della festa viene data in mano alla Direttrice della rivista di moda Vogue e consulente del Costume Institute stesso, Diana Vreeland: la grande novità è l’introduzione dei temi, di cui il primo fu una retrospettiva sull’appena morto Cristobal Balenciaga. A metà anni ’90 la festa diventa quel concentrato di pop e glamour che conosciamo oggi, grazie alla direzione di Anna Wintour, oggi Direttrice di Vogue, probabilmente il personaggio più conosciuto del mondo dei media legati al fashion anche al di fuori degli addetti ai lavori, che ha trasformato l’evento non più nella celebrazione del Costume Institute, ma dell’importanza di sé stessa all’interno dell’industria.
Il tema di quest’anno, “Sleeping Beauties: Reawakening Fashion”, prendeva spunto dal racconto del 1962 di J.G. Ballard, “The Garden of Time”: nel testo, la quotidianità bucolica di una famiglia aristocratica con pregiati pezzi di cultura nella propria abitazione viene minacciata regolarmente da una folla armata che vuole irrompere nella tranquillità dei personaggi. Per ritardarne l’arrivo, la coppia recide con regolarità il gambo di un fiore che cresce nel loro giardino: l’operazione riporta indietro le lancette dell’orologio, ma un giorno i fiori da recidere finiscono e la coppia deve andare incontro al proprio destino. Un’allegoria di come la cultura dovrebbe essere a portata di tutti, e non solo di pochi. Sul New York Times, però, Anna Marks fa una critica puntuale, osservando che l’idea di Wintour, legata al fatto che il Costume Institute è un luogo che dà al pubblico la possibilità di accedere alla cultura, a differenza della coppia, nella realtà viene ribaltata perché il Gala è un luogo chiuso e inaccessibile, che testimonia plasticamente chi nella nostra società può essere alla pari degli aristocratici del racconto.
Per quanto riguarda invece l’aspetto del fashion in sé e per sé, abbiamo intervistato Emanuele Piarulli, Product Developer, Tailoring, Outerwear e Leather di Tommy Hilfiger.
Cos’ha notato nel MET Gala di quest’anno chi gravita nel settore?
Quest’anno abbiamo assistito a un ritorno dell’interesse verso i pionieri della moda, come McQueen, Galliano e Balenciaga, da cui ci si era allontanati nelle ultime edizioni. Chi gravita nel settore ha visto negli ultimi anni un senso di allontanamento del MET Gala dai valori storici e da quei designer pionieri che avevano permesso alla moda di essere non solo un fenomeno di tendenza, ma un vero e proprio movimento culturale e una delle principali voci dell’economia mondiale, pienamente ripresi invece quest’anno
Ci parli dell’abito femminile che ti ha colpito maggiormente?
L’abito che mi ha stregato di più è stato quello di Olivier Roustaing per Balmain, indossato da Tyla, cantante sudafricana (l’abito è visibile nel link in testo fornito, ndr). Questo perché è stato dimostrato che non si deve ricorrere necessariamente a colori sgargianti e materiali pretenziosi per confezionare un abito. Il vestito è infatti realizzato con tre tonalità di vera sabbia mista a diamanté per brillare a ogni movimento: questo, unito a make-up e pettinatura, genera un’incredibile attenzione al dettaglio pur in un contesto di estrema semplicità. Particolare da non sottovalutare la borsa di vetro a forma di clessidra, omaggio al tema dello scorrere del tempo del racconto di Ballard.
Per quanto riguarda l’abito maschile, invece?
La moda maschile ha vissuto una serata sottotono; tra l’altro penso che presenziare a una delle serate più significative nel calendario della moda globale con un semplice capo di sartoria a due o tre pezzi ha il serio rischio di scadere nell’anonimo o nel monocromatico. Così non è stato, però, per Bad Bunny, che si è fatto vestire da John Galliano, un sinonimo nel mondo della moda di omaggio alla tradizione, ma anche di destrutturazione dei canoni di bellezza. Era vestito con un completo in lana barathea che celava un corsetto in satin nero, molto limitante nel respiro, a detta dell’artista stesso. L’idea di Galliano, guardando l’intero ensemble, è quella di replicare la figura del conte Axel, protagonista del racconto di Ballard, mantenendo però un tocco puramente latino: la presenza nell’abito del Flor de Maga, fiore nazionale di Porto Rico, è un rimando all’isola di provenienza dell’artista.