Papa Francesco, l'America e la luna di miele finita con Obama
Francesco, la visione di un mondo con un ruolo chiave per l'America e la comune visione, politica e missionaria, con Barack Obama. Ecco perché dopo il 2016 la luna di miele è finita
Papa Francesco è “orfano” di Barack Obama o perlomeno della sua stagione alla Casa Bianca? Riassumendo in una frase a effetto un decennio di relazioni degli “imperi paralleli”, Vaticano e Stati Uniti, nell’incedere storico del pontificato di Jorge Mario Bergoglio spicca la maggiore affinità tra il Papa argentino e il primo Presidente afroamericano della storia, di una generazione più giovane rispetto a Francesco, rispetto a quella costruita nel quadriennio di Donald Trump e, fino ad ora, nella presidenza del cattolico Joe Biden.
Da Obama a Biden passando per Trump
L’anziano gesuita capace di rompere il tabù che durava dai tempi di Ignazio di Loyola sull’elezione di un rappresentante della Compagnia al soglio pontificio, il pastore d’anime argentino nella mente e nell’anima, il figlio della Buenos Aires peronista che ha vissuto i traumi del suo Paese nel Novecento ha avuto, in dieci anni, un rapporto inevitabile e complesso con gli Stati Uniti. La Roma dell’Oltretevere e la Roma imperiale del Potomac sono chiamate a parlarsi, spesso costrette a non capirsi. In dieci anni di era Bergoglio questo è successo più volte. Tuttavia, leggendo storicamente il passato prossimo si nota come il periodo più vivace del rapporto tra Francesco e Washington si è avuto tra il 2013 e 2016, negli anni conclusivi della seconda presidenza Obama.
Le contingenze della storia, i divergenti obiettivi politici di Vaticano e Usa, il mutato clima dei rapporti mondiali, la visione pastorale di Francesco ecumenica e critica degli eccessi della globalizzazione hanno poi reso più complessa la strutturazione di una relazione continua. La diffidenza di Francesco per Donald Trump, la strumentalizzazione dei valori cristiani da parte dell’ex Presidente e la percepita polarizzazione nel mondo cattolico Usa hanno segnato una fase complessa dei rapporti tra l’Oltretevere e Washington tra il 2017 e il 2020; la questione cinese, i goffi tentativi dell’ex Segretario di Stato Mike Pompeo di pressare Francesco e Pietro Parolin sullo stop al rinnovo dell’accordo con Pechino per la nomina dei vescovi hanno segnato un inverno dei rapporti poco prima delle ultime presidenziali.
Con Biden, il Papa ha chiuso la polemica della presunta esclusione dalla comunione dell’attuale capo di Stato Usa, ma non ha strutturato una relazione piena per la sua visione pacifista e dialogante sul tema della crisi russo-ucraina e per la riscoperta di una visione europea in chiave culturale e politica dalla pandemia in avanti.
Anche sull’ottica di questi sviluppi si può capire quanto detto in apertura su Francesco “orfano” di Obama. Figli delle periferie giunti al cuore dei rispettivi imperi, nelle loro grandi divergenze Bergoglio e Obama si sono ritrovati su un terreno comune di visioni su cui convergevano tanto la dottrina presidenziale dell’ex senatore dell’Illinois quanto la visione politica, teologica e pastorale di Francesco: la necessità di ricomporre le fratture della storia, il richiamo al ruolo dei valori sociali come strumento di coesione e non di fratturazione della collettività, la non negoziabilità dei valori umani di base.
Il discorso di Papa Francesco al Congresso
Pochi mesi dopo l’incendiario discorso del marzo 2015 di Benjamin Netanyahu, invitato dai repubblicani per tuonare contro il JCPOA targato Obama e la distensione con l’Iran, la Casa Bianca e l’allora vicepresidente Joe Biden risposero garantendo il floor del discorso a Congresso unito proprio a Papa Francesco, giunto in visita pastorale in America toccando tanto Cuba quanto gli Stati Uniti nei mesi in cui la Santa Sede mediava il riavvicinamento tra L’Avana e Washington.
Il 24 settembre 2015 Francesco tenne a Washington un discorso che può essere definito riassuntivo della sua visione degli Stati Uniti. Una visione che rispecchia, da un lato, quelle grandi aspettative che i popoli dell’America Latina hanno sempre riposto negli States come simbolo di libertà e democrazia e che tante volte nella storia hanno ritenuto tradite senza mai abdicarvi; ma che, dall’altro, è anche di un leader ben conscio del ruolo della stabilità della superpotenza a stelle e strisce per il corretto funzionamento dell’ordine globale.
Iconica la parte centrale del discorso:
In questa terra, le varie denominazioni religiose hanno contribuito grandemente a costruire e a rafforzare la società. È importante che oggi, come nel passato, la voce della fede continui ad essere ascoltata, perché è una voce di fraternità e di amore, che cerca di far emergere il meglio in ogni persona e in ogni società. Tale cooperazione è una potente risorsa nella battaglia per eliminare le nuove forme globali di schiavitù, nate da gravi ingiustizie le quali possono essere superate solo grazie a nuove politiche e a nuove forme di consenso sociale.
Penso qui alla storia politica degli Stati Uniti, dove la democrazia è profondamente radicata nello spirito del popolo americano. Qualsiasi attività politica deve servire e promuovere il bene della persona umana ed essere basata sul rispetto per la dignità di ciascuno. “Consideriamo queste verità come per sé evidenti, cioè che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che tra questi ci sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità” (Dichiarazione di Indipendenza, 4 luglio 1776). Se la politica dev’essere veramente al servizio della persona umana, ne consegue che non può essere sottomessa al servizio dell’economia e della finanza. Politica è, invece, espressione del nostro insopprimibile bisogno di vivere insieme in unità, per poter costruire uniti il più grande bene comune: quello di una comunità che sacrifichi gli interessi particolari per poter condividere, nella giustizia e nella pace, i suoi benefici, i suoi interessi, la sua vita sociale. Non sottovaluto le difficoltà che questo comporta, ma vi incoraggio in questo sforzo.
Francesco cita Lincoln, cita la necessità di ricucire la società americana, cita il ruolo costruttivo delle religioni. Il suo è un manifesto contro settarismo, paranoie, complottismi e divisioni. Il discorso traspone l’impegno per spingere gli Usa, talvolta con forma consensuale (Iran e Cuba), altre in velata polemica (Siria) a non esser più “poliziotto del mondo” e a sanare le fratture ereditate dalla Guerra Fredda spegnendo, inoltre, i focolai di tensione accesisi nel mondo.
La libertà secondo Bergoglio
Nella loro diversità anagrafica e culturale, Bergoglio e Obama pensavano entrambi fuori dalle logiche della conflittualità mondiale, individuavano nel controllo degli “spiriti animali” della finanziarizzazione del capitalismo una via di sviluppo sociale e, per Francesco, addirittura morale. Inoltre miravano, con le loro azioni, a ricucire società piegate, negli anni a venire, da crescenti disuguaglianze e polarizzazioni. Il Pantheon americano di Bergoglio, oltre a Lincoln, contiene Martin Luther King, Dorothy Day e Thomas Merton. Perché, parole del Papa, della Libertà di cui Lincoln è simbolo ed essenza rappresentano le declinazioni, rispettivamente, in termini di libertà nella pluralità e non-esclusione; di giustizia sociale e diritti delle persone; di apertura e fede in Dio come fonte di sviluppo sociale. Una tripartizione della libertà che per Francesco può e deve prendere forma su scala globale anche grazie al ruolo degli Usa, non impero del male o pericolosi gringos, ma attori capaci di unire e ricucire.
Prima che polarizzazioni crescenti colpissero anche lo stesso mondo cattolico americano e proprio dalle frange reazionarie anti-Francesco prendesse piede un movimento tellurico pro-Trump, questo era il sogno dell’Oltretevere targato Bergoglio. La cui primavera americana si è conclusa con la fine del mandato di Barack Obama, tanto diverso dal Papa gesuita da entrarvi in piena sintonia in nome di schiettezza e realpolitik.
Riannodare i fili non sarà facile. A Joe Biden, spalla di Obama nella stagione della “luna di miele”, il compito di riannodare i fili, magari proprio partendo da un confronto sulla questione ucraina, su cui Francesco si spende da tempo come attore di pace. La relazione tra gli “imperi paralleli”, se trascurata, rischia di arrugginirsi. Con gravi conseguenze per chi spera in un dialogo globale per un mondo equo e bilanciato.
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