Ossessioni distopiche
Tra spooky, horror e dolciumi, Halloween ormai rappresenta di diritto l'americanità e la cultura di massa americana.
Ottobre, da qualche decennio a questa parte, in America è sinonimo di pumpkin spice latte, scheletri di plastica e zucche intagliate. L’influenza di Halloween si nota nella quasi completa pervasività dei tropi che vi si associano, quel misto di spooky e cute che risalta in una vasta varietà di prodotti culturali, dal classico film d’animazione Nightmare Before Christmas (1993) alla serie di libri per ragazzi Piccoli Brividi (1992-1997), passando per gli episodi a tema che le serie televisive incorporano quasi religiosamente nelle loro programmazioni (ricorderete, su tutti, gli Halloween Special dei Simpson).
Tuttavia, come racconta Nicholas Rogers nel suo libro Halloween: From Pagan Ritual to Party Night (2002), Halloween non è un prodotto statunitense: entra nell’immaginario collettivo americano solamente nel Diciannovesimo secolo, importato dagli oltre due milioni di immigrati irlandesi e, in minor numero, scozzesi che si erano già stabiliti negli Stati Uniti. Si afferma poi come festività non più di una minoranza etnica, ma dell’intera popolazione americana all’inizio del Novecento.
I festeggiamenti dell’epoca seguivano una formula ben più adulta dell’attuale: in ambito domestico, le giovani donne celebravano Halloween travestendosi e organizzando balli a tema; gli uomini, invece, invadevano la sfera pubblica uscendo per le strade in gruppo e facendo scherzi più o meno seri. Entrambe le tradizioni, ormai molto annacquate, sono confluite nel nostro attuale modo di festeggiare, risultato di un lungo dibattito su quanta tolleranza mostrare verso atti considerati inappropriati o addirittura pericolosi nella notte della vigilia di Ognissanti.
Dal tentativo di arginare comportamenti troppo violenti emerge il trick-or-treating, il nostro “dolcetto o scherzetto”: tra gli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento, una nuova generazione impara ad associare Halloween a piccoli doni e dolciumi invece che ad atti di vandalismo, a tutti gli effetti mettendosi sulla strada del consumismo sfrenato che avrebbe caratterizzato il periodo post-bellico.
In questo periodo Halloween inizia dunque ad assumere i tratti contemporanei, diventando un’occasione promozionale importante per costumisti e aziende dolciarie ma anche per eventi di beneficenza, con molte raccolte fondi associate proprio al trick-or-treating, tra cui spicca quella dell’UNICEF. Compaiono anche le prime opere a tema, ormai grandi classici, come il racconto breve The October Game, di Ray Bradbury (1948), e il libro per bambini It’s the Great Pumpkin, Charlie Brown (1967), basato sull’omonimo episodio speciale dei Peanuts, a segnalare come Halloween in quelle decadi fosse prettamente rivolto alla sfera infantile.
Alla fine degli anni Sessanta, dunque, Halloween è ormai la versione edulcorata di sé stesso, con una connotazione prettamente positiva che nemmeno lo spauracchio (in rari casi giustificato) di caramelle avvelenate e lamette tra i dolciumi negli anni Settanta riesce a intaccare del tutto.
Dai tardi anni Settanta in avanti, tuttavia, Halloween torna a esaltare l’elemento spaventoso e sovrannaturale da cui trae in parte le sue origini, con l’avvento delle case stregate e delle maschere mostruose a richiamare alcuni dei capolavori classici dell’horror. Anche se non è chiaro quando questa congiuntura tra Halloween e l’horror si sia consolidata, un suo primo momento fondante si concretizza alla fine degli anni Trenta, decennio in cui la Universal produce alcune pellicole cult (Dracula e Frankenstein sono del 1931; La mummia è del 1932): il ben noto programma radiofonico di Orson Welles La guerra dei mondi, tratto dall’omonimo romanzo di H. G. Wells, va in onda la notte prima di Halloween del 1938, causando, seppur brevemente, un brivido collettivo in tutta la nazione.
Se Welles dimostra le potenzialità di questa commistione di reale e fittizio, per i successivi due decenni le operazioni di censura a cui Hollywood e gli altri media si devono adeguare impongono severe limitazioni all’horror. Si deve aspettare fino a La notte dei morti viventi di George Romero (1968) per farvi pienamente ritorno e per veder comparire le prime opere prettamente riguardanti Halloween (su tutte, l’omonimo franchise inaugurato con la pellicola di John Carpenter nel 1978). Nello stesso periodo il Rocky Horror Picture Show (1975), tanto avvilito dalla critica, si stabilisce come uno dei film cult associati alla festività, con fan appassionati che ancora oggi si riversano nelle sale per cantare il Time Warp (again!).
La correlazione tra horror e Halloween è ormai assodata, così come lo è la sua componente rivolta all’infanzia. Ne consegue un florido filone di antologie e di Halloween Special che esprimono quell’intruglio di contraddizioni che viviamo oggi: il brivido del terrore misto alla delizia della festa, il senso di trasgressione e allo stesso tempo di innocenza.
Halloween ha avuto molte forme e significati anche contrastanti nella sua lunga storia; ciò nonostante, commenta Rogers, è ormai forza omogeneizzante, l’epitome della cultura di massa americana, talmente radicato nel mainstream da rappresentare di diritto l’americanità.
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