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Nel gergo tecnico di Wall Street l’orso, immagine antitetica del Charging bull, rappresenta un mercato azionario sonnolento, contratto, e in ribasso di almeno venti punti percentuali. Tuttavia, come ha sottolineato Lothar J. Seiwart nel suo bestseller La strategia dell’orso (2006), la metafora dell’animale letargico può essere radicalmente stravolta, in termini attitudinali, così da lasciar spazio al profilo inquietante della bestia feroce, in grado di evocare orrorifiche immagini di violenza e brutalità sepolte nelle paure ancestrali ereditate dall’ultima glaciazione. Un terrore, che pare essere esperito in questo primo scorcio di regular season da tutti coloro che sono costretti ad andare a stanare i Boston Bruins, attualmente al vertice della East Conference in NHL.
Vittoria dopo vittoria
Dopo diciannove partite giocate, il tabellino segna un clamoroso 17-2-0. Giusto per dare un’idea dell’eccezionalità dell’evento, basti pensare che per trovare un precedente simile è necessario scorrere quasi un secolo di storia dell’hockey americano, ritornando precisamente alla stagione 1929-30, quando sempre i Bruins, all’epoca iridati della loro prima Stanley Cup, fecero registrare una simile progressione prima di stabilire il record di percentuale di vittorie a fine stagione (875, con 38 vittorie su 44 games) ed essere sconfitti in finale dai Montréal Canadiens. Il ruolino di marcia della formazione guidata da Pasternak e Bergeron segna oggi una percentuale di vittorie pari a 889, dato ancor più impressionante, se si considera che le uniche due sconfitte sono giunte solo con il pazzo 7 a 5 contro gli Ottawa Senators e nella tiratissima sfida di Toronto dello scorso 5 novembre.
Rimanendo nel campo dei freddi numeri e delle statistiche, vera e propria mania americana capace di accomunare il più impomatato degli Yankees con un qualunque Redneck al tredicesimo moonshine, la stampa specializzata ha già avuto modo di sottolineare il record di undici vittorie consecutive in casa da inizio stagione, condiviso nella storia della lega solo con i Florida Panthers del 2021-22 e i Chicago Blackhawks nel 1963-64. Il dato forse più terrificante è quel +38 nella differenza reti che evidenzia come la situazione attuale sia tutt’altro che frutto del caso - come termine di paragone, si pensi che la seconda della stessa divisione, i Toronto Maple Leafs, è a “soli” +6 –, ma il risultato di una attenta gestione delle risorse umane e la messa in pratica idee di gioco precise che si stanno rivelando decisive, come dimostrano le geometrie ideate da coach Montgomery mirate a produrre una costante superiorità numerica in fase d’attacco che, nel momento della transizione, si rivela essenziale per soffocare la costruzione dal basso avversaria. Per esemplificare nella pratica la concretizzazione quanto si sta scrivendo, si vedano la seconda rete del match contro gli Arizona Coyotes realizzata da Charlie Coyle e il bellissimo quarto goal nel 6 a 1 contro Chicago, segnato da David Krejci su assist del rientrante McAvoy e di Greer.
Un cambio alla guida
Il ruggito degli orsi è stato infatti in grado di fermare squadre in buono stato di forma come i Dallas Stars, al momento in cima alla Western Central Conference, dove militano anche gli attuali campioni in carica, i Colorado Avalanche. Un exploit che ha fatto ricredere tutti gli esperti del settore a partire da Fluto Shinzawa, incaricato dalla testata the Athletic di seguire da vicino la stagione dei Bruins, che ha analizzato in otto punti i fattori principali sottovalutati dalla stampa al momento dei pronostici per la nuova stagione, e che spesso fondavano le loro analisi esclusivamente sulla precarietà del roster legata alla questione contratti, sull’arrivo di un nuovo coach dalle idee molto diverse del precedente, Bruce Cassidy, rimasto sulla panchina per ben sei stagioni, e sui numerosi infortuni che sembravano funestare in partenza le chance di accedere ai playoff.
L’approdo di Jim Montgomery è stato, nell’opinione di chi scrive, la vera e propria chiave di volta nella definizione dei ruoli dei nuovi Bruins. Chiamati a orchestrare un rinnovamento in senso anagrafico, che nei prossimi anni sarà indubbiamente al centro delle preoccupazioni del board, i dirigenti della franchigia hanno scelto di consegnare le chiavi di una squadra, che solo pochi mesi fa aveva mostrato evidenti fragilità mentali e caratteriali durante la serie persa contro i Carolina Hurricanes, nelle mani dell’ex allenatore dei St. Louis Blues, distintosi per aver portato a gara 6 i Colorado Avalanche nonostante una rosa tutt’altro che irresistibile e ricca di assenze pesanti. Se i test di preseason avevano mostrato alcuni vuoti di organizzazione della difesa, soprattutto nei repentini cambi di fronte, con l’avvento della stagione regolare queste transizioni problematiche – seppur non eliminate del tutto – sono state ridotte al minimo, dando la possibilità a Linus Ullmark di poter esprimere le delizie del suo repertorio solo in condizioni eccezionali.
Le uniche ombre in questo inizio sfavillante giungono proprio dai tentativi di rinverdire la lineup della squadra muovendosi sul mercato, con il pessimo ritorno mediatico generato dalla scelta poco saggia di mettere sotto contratto il giovane difensore Mitchell Miller, la cui fedina penale risulta già macchiata dei reati di bullismo e razzismo dall’età di quattordici anni.
Non sappiamo, ovviamente, se questo filotto iniziale si spegnerà lentamente con l’arrivo del grande gelo, o se invece siamo di fronte a una cavalcata storica, di quelle che compongono gli annali di questo fantastico sport. Ciò che è certo, è che per tutti gli appassionati (spendaccioni!) conviene accaparrarsi per tempo la bellissima divisa retro di quest’anno, in cui, in primo piano, c’è proprio lui, Pooh the bear.