Nuovo voto, stessa musica
Nikki Haley aveva più speranze che il suo messaggio attecchisse nel moderato e più ricco New Hampshire, ma Trump ha vinto ancora.
“Il New Hampshire è il primo stato, non l’ultimo. Per questo, dato che il Partito Repubblicano non ha bisogno di un’incoronazione, andrò avanti. Ci vediamo nel mio Stato, il South Carolina”. Con queste parole Nikki Haley ha segnato il suo discorso di sconfitta – il secondo in una settimana.
I seggi in New Hampshire – il secondo stato al voto, primo a utilizzare le primarie come sistema di elezione – hanno chiuso alle due del mattino, le 20 locali e, come si poteva intuire, non hanno riservato particolari sorprese. Associated Press, che aveva annunciato in settimana di non fare più come in Iowa (predire un vincitore a urne ancora aperte), ha diligentemente aspettato l’orario stabilito per dare la notizia: Donald Trump ha vinto ancora, e diventa il primo candidato dal 1976 a vincere entrambi i primi Stati. Durante la nostra notte elettorale, il suo vantaggio si aggirava sui dodici punti percentuali, una vittoria – confermata dai dati definitivi - che potremmo definire larga, ma non decisiva come si aspettava la campagna dell’ex-Presidente alla vigilia del voto.
A dir la verità, gli umori sul New Hampshire sono sempre stati piuttosto volatili: quando Haley aveva annunciato la sua candidatura, ponendosi come seria alternativa al trumpismo, sembrava possibile che addirittura riuscisse a spuntarla per una manciata di voti; appena terminati gli scrutini in Iowa, però, il quadro sembrava molto più fosco. Trump aveva avuto un boost per via della larga vittoria nella sfida precedente, portando al ritiro di Ron DeSantis, e si avvicinava ai seggi con un vantaggio più vicino ai venti che ai dieci punti di margine. È interessante ricordare che, a differenza delle altre primarie, in New Hampshire possono votare anche gli elettori indecisi - cioè non registrati nelle liste dell’uno o dell’altro partito - e questo, teoricamente, favoriva Haley, che aveva bisogno di distruggere Trump in tutte le categorie a istruzione più alta. Trump, nel suo discorso di vittoria, ha battuto molto sul tasto che Haley avesse il favore solo del 25% dei Repubblicani registrati, affidandosi al voto di persone volatili alle elezioni di novembre, cioè gli indipendenti e addirittura i Democratici; l’ultima cosa sappiamo non essere vera, dato che chi è registrato per un partito non può votare alla primaria dell’altro, nemmeno in un sistema piuttosto fluido come quello del New Hampshire.
Nuovamente Trump ha svolto una campagna poco tradizionale, cercando meno il confronto diretto con l’elettore e organizzando comizi che attiravano ampio pubblico; dal canto suo Haley è riuscita ad accaparrarsi l’endorsement del quarantanovenne Governatore Chris Sununu e del militare ed ex-candidato Senatore Don Bolduc, che un tempo le avrebbero garantito la vittoria. Interessante è notare le classiche infografiche che le tv americane ci propongono a urne aperte: secondo CNN il dato che spiega questa elezione va ricercato nella voglia di andare al seggio. I supporter di Trump, infatti, segnalavano subito che il primo motivo che li spingeva a uscire di casa per votare era quello di avere un candidato convinto delle sue scelte; tutto questo a differenza di Haley, che ha continuato a parlare della maggiore possibilità di essere eletta a novembre, del trumpismo come modello di governo troppo divisivo, ma molto poco di programmi elettorali.
Analizzando il dato degli exit, scopriamo che ben il 40% dei votanti di Haley lo ha fatto nella speranza che non prevalesse Trump. Questo è il punto più debole di questo presunto uno contro uno per il predominio del partito che Haley continua a propagandare: non c’è nessuna differenza palese da venir risolta in uno scontro se non, forse, le posizioni del Paese in politica internazionale, che scaldano poco il cuore del cittadino medio. Questa sfida non è tra due persone ma tra Trump e il suo opposto, in una visione talmente polarizzante che annulla la specificità di chi combatte contro l’ex-Presidente, arrivando a votare questa persona, qualunque essa sia, pur di non ricadere nell’incubo trumpiano. Da questo si deduce la debolezza della campagna di Haley.
Ronna McDaniel, chair del Partito Repubblicano, aveva detto prima del voto che il Partito avrebbe dovuto compattarsi su Trump se avesse vinto con margine; in un’intervista l’ex-candidato Vivek Ramaswamy ha ribadito che più le primarie vanno avanti, anche se formalmente finite, più donazioni e soldi, utili per sconfiggere Biden a novembre, verranno spesi per una campagna interna con scarsa trazione. La prossima sfida sarà in South Carolina il 24 febbraio e, se Trump dovesse vincere bene anche nello Stato in cui Nikki Haley è stata Governatrice, le primarie potrebbero essere virtualmente archiviate già prima del Super Tuesday, giorno in cui vota un numero cospicuo di Stati, e si assegnano quindi molti delegati.
Non ha votato solo il Partito Repubblicano ieri; infatti, in una serata molto meno partecipata, anche i democratici sono andati alle urne, seppur in maniera particolare. Joe Biden, infatti, ha cambiato il calendario delle consultazioni del partito quest’anno, togliendo al New Hampshire il primo posto nelle consultazioni, e concedendolo alla più etnicamente diversa South Carolina. La consultazione in New Hampshire si è tenuta lo stesso, per una forzatura dei dirigenti statali del partito, anche se non assegnava delegati e Biden non ha presentato il suo nome sulla scheda. I cittadini potevano però scrivere, nell’apposita sezione “altri candidati”, il nome del Presidente uscente. Così Biden ha vinto le consultazioni informali, riuscendo a evitare uno dei pochi ostacoli prettamente mediatici alla sua ricandidatura. L’opposizione del deputato Dean Phillips e di Marianne Williamson, già candidata con percentuali bassissime nel 2020, è inconsistente: quando le vere urne apriranno anche per i dem, inizierà una consuetudine per il Presidente in cerca del secondo mandato, cioè l’elezione plebiscitaria da parte degli iscritti al suo partito. Con buona pace di chi, soprattutto in Italia, continua a parlare dell’ennesima possibile candidatura di Michelle Obama: un’ipotesi senza alcun fondamento.
l'unico ostacolo per trump è stesso, cioè nel caso lo dichiarino non eleggibile. Per il resto non vedo rivali.
Gareggiare con un 80enne ritenuto inadeguato per gli americani sulle spese folli della guerra in ucraiana non rincuora molto noi europei