Nessuna macchina ben oliata: il Trump bis si prospetta caotico come il primo
Le analisi della vigilia parlavano di un Presidente capace di trasformare la nazione con un mandato rooseveltiano e una ritrovata efficienza. Le premesse ci dicono il contrario
Nei giorni successivi alla sua elezione, le principali testate internazionali hanno celebrato la vittoria di Donald Trump, presentandola come un ritorno trionfale alla Casa Bianca. Si parlava di una “doppia maggioranza” e di un “governo unificato” tra Casa Bianca, Senato e Camera dei Rappresentanti. Tuttavia, un'analisi più approfondita dei numeri mostra che il quadro politico che attende Trump è ben più complicato di quanto possa sembrare.
Al Senato, Trump potrà contare su una maggioranza di 53 seggi su 100. Sebbene sufficiente per portare avanti molte delle sue iniziative legislative, questa maggioranza non è immune da rischi. Il senatore del West Virginia Jim Justice, 73 anni, appena eletto, potrebbe non garantire una partecipazione costante ai lavori a causa di problemi di salute. Inoltre, figure moderate come Susan Collins del Maine e Lisa Murkowski dell'Alaska potrebbero rappresentare ostacoli su temi più divisivi. Nonostante ciò, i repubblicani avranno il margine necessario per approvare le nomine meno controverse.
Alla Camera, invece, la situazione è decisamente più critica. I numeri si sono ulteriormente ridotti rispetto al 2022, quando i repubblicani avevano 222 seggi contro i 213 dei democratici. Dopo le elezioni di novembre, il rapporto è passato a 220 contro 215. A complicare ulteriormente le cose, la dimissione del deputato della Florida Matt Gaetz a seguito di scandali personali ha lasciato un seggio vacante fino alle elezioni suppletive previste per il 1° aprile.
Le difficoltà si sono manifestate fin da subito. La rielezione di Mike Johnson come Speaker della Camera il 3 gennaio ha richiesto un intervento diretto di Trump. Solo dopo una telefonata personale, due deputati conservatori, Ralph Norman e Keith Self, hanno deciso di appoggiare Johnson, nonostante le loro perplessità verso un leader percepito come troppo incline al compromesso con i democratici. Tuttavia, il voto ha messo in evidenza le fragilità della maggioranza repubblicana: 218 voti per Johnson contro 215 per il leader democratico Hakeem Jeffries.
A complicare ulteriormente le cose è il ruolo del Freedom Caucus, una corrente interna al Partito Repubblicano nota per il suo approccio neoliberista dogmatico. Uno dei suoi esponenti, il texano Chip Roy, ha già dichiarato la sua opposizione a quella che definisce una “spesa pubblica fuori controllo”. Con lui altri otto deputati hanno espresso malumori, sospendendo per alcuni minuti il loro voto a Johnson. Un numero sufficiente, secondo le regole del partito riscritte per questo nuovo Congresso, per presentare una mozione di sfiducia contro lo speaker, replicando quanto avvenuto nell’ottobre 2023 con il suo predecessore Kevin McCarthy, rimosso proprio grazie al voto di otto estremisti e dell’intero gruppo democratico. Allora per lanciare una simile mozione però bastava un singolo deputato
Le sfide legislative per approvare provvedimenti di ampio respiro sono altrettanto complesse. Al Senato, i repubblicani non dispongono dei 60 voti necessari per superare il quasi certo ostruzionismo democratico. Questo scenario ridimensiona l’idea che Trump possa agire da “rullo compressore” nei primi mesi di mandato, come appariva da alcune analisi superficiali basate sul controverso Project 2025 o sull’altrettanto discussa Agenda 47, spesso ricalcata dal neopresidente proprio sul piano stilato dall’Heritage Foundation. Il Presidente ha quindi espresso la volontà di puntare su un disegno di legge omnibus che includa il budget federale (attualmente finanziato solo fino al 14 marzo), una riforma dell’immigrazione e nuove politiche energetiche. L'obiettivo è approvare tutto entro metà aprile utilizzando la procedura della “riconciliazione”, un meccanismo parlamentare che consente una volta all’anno il passaggio di una legge con la maggioranza semplice.
In conclusione, i risultati elettorali evidenziano più una sconfitta dei democratici che una vittoria netta per il trumpismo. Le difficoltà interne al Partito Repubblicano e i numeri risicati potrebbero alimentare tensioni e malumori nell'entourage di Trump. Non è escluso che figure vicine a lui, come Elon Musk, possano essere silurate per incolpare di un periodo caotico che si preannuncia simile a quello del 2017. Non deve stupire però questa prospettiva. È simile a quella adottata dai leader autoritari: in questo modo si pongono come unico arbitro e solo argine a contenere una compagine politica litigiosa e ingovernabile. Quindi porrebbe le premesse a una richiesta di ampliamento dei già estesi poteri presidenziali.