La mutazione trumpiana
Fenomenologia del 45esimo Presidente degli Stati Uniti d'America, il grande divisore che ha sostanzialmente annullato la differenza tra comunicazione e politica.
Make America Great Again. America first. Keep America Great. Save America, Fake news! Gli slogan di Donald Trump hanno avuto un successo tale che sono ormai noti al grande pubblico. La sua comunicazione ha modificato radicalmente gli orizzonti e le regole tradizionali della comunicazione politica ed è diventata un fenomeno popolare.
Trump, grazie ai social media – in particolare Twitter –, è riuscito a veicolare in modo pervasivo ed efficace il suo posizionamento, oltre che il suo messaggio. Un messaggio semplice, chiaro, diretto e facilmente comprensibile da tutti. Il Make America Great Again ne è l’emblema. Uno slogan di quattro parole che mette in luce diverse scelte trumpiane.
In primis, il tentativo di rappresentare i forgotten men and women, sconfitti dalla globalizzazione e dall’America dell’establishment, attenta ai propri affari e non alla gente comune. A causa di élite, in particolare i democratici, concentrati nelle lotte della palude di Washington (non a caso Trump ripeteva il noto drain the swamp) e non sull’America che soffre e che ha sofferto la crisi economica e che desidera rinascere.
Basti considerare, ad esempio, i tanti blue-collar a cui sono stati rivolti specifici messaggi. Il MAGA ricorda anche la vocazione nazionalista, tutta incentrata su Washington e sui suoi interessi e poco attenta al multilateralismo e ai rapporti internazionali che devono piegarsi agli Stati Uniti e alle loro politiche. E ancora, il ritorno dell’universo dello Stato-Nazione e dei suoi valori che erano stati archiviati troppo semplicisticamente da chi aveva ritenuto definitivamente affermati i valori del globalismo e la figura del cittadino del mondo privo di riferimenti geografici e culturali stabili.
Trump con il MAGA è dunque riuscito a far leva su sentimenti presenti nell’elettorato e a portarli a galla grazie a una narrazione martellante che ha giocato anche sulla voglia di rivincita di un’America in difficoltà e indebolita. L’ex Presidente, grazie alla disintermediazione concessa dai social, è riuscito anche a scavalcare i tradizionali gatekeeper e arrivare dritto al cittadino elettore. Senza mediazioni o modifiche del suo messaggio.
Non è affatto casuale che abbia spesso lottato contro i media tradizionali e contro le loro presunte deformazioni dei fatti. Trump ha infatti innescato un’interessante lotta tra frame con cui inquadrare la realtà e la attualità politica. Una contesa, questa, tra la sua narrazione e la narrazione del sistema dei media per avere il predominio sulle modalità tramite le quale interpretare i fatti. Ciascuno degli attori mirava a uno specifico fine: Trump a mobilitare i suoi elettori e a mettere in luce i tratti della sua agenda guidata dall’America first; i media, oltre che i suoi avversari, a far emergere le gaffe presidenziali, i suoi errori e gli scandali della sua presidenza.
Il 45esimo Presidente si è così schierato fermamente contro la stampa, senza provare a utilizzare degli spin per rendere i frame comunicativi e i modi con cui giornali e tv davano le notizie vicini alla sua narrazione. In questa logica i media sono diventati nemici dell’America, proprio come i suoi avversari politici.
E veniamo così a un ultimo aspetto cruciale per comprendere la comunicazione e la strategia trumpiane: la polarizzazione. Trump è stato capace di dividere radicalmente gli Stati Uniti, sfruttando le sue tecniche comunicative fortemente polarizzanti. In sostanza è riuscito a dividere il campo politico tra amici e nemici, eliminando di fatto le posizioni intermedie, costringendo così gli elettori e gli osservatori a schierarsi.
Una tecnica fondata anche sull’identificazione dell’avversario con le sue posizioni più estreme. In effetti, il Partito Democratico è stato più volte descritto come un’accozzaglia di socialisti antiamericani. Un partito nemico degli Stati Uniti e degli interessi americani e dunque agli antipodi di chi ama l’America e vuole renderla nuovamente potente. Questo approccio strategico ha avuto successo per via della coerenza tra politica e comunicazione e grazie all’attivazione della frattura tra nazionalismo e globalismo (spesso identificato anche con il socialismo) che ha mobilitato e acceso l’elettorato. Configurato questo campo di battaglia, gli avversari di Trump hanno faticato a trovare delle strategie comunicative per evitare di essere inseriti nella categoria di nemici dell’America.
In altre parole, non sono stati in grado di costruire una contronarrazione che superasse le linee di frattura disegnate da Trump e dal suo staff. La macchina propagandistica trumpiana ha così strutturato i confini del dibattito politico, costringendo i suoi avversari a uno specifico ruolo da cui non sono riusciti a liberarsi.
L’uso raffinato, ma anche spregiudicato, dei social media per targettizzare gli elettori e per inviare specifici messaggi per mobilitarli non ha fatto altro che ampliare e consolidare queste divisioni e queste categorizzazioni. Rafforzando il sistema Trump. Un sistema divisivo, rivoluzionario e controverso per toni e modi, ma di indubbia efficacia.
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