Il mondo secondo Elon
Dai diritti umani in Xinjang all'invasione russa dell'Ucraina: Musk si riscopre anche esperto di politica estera, con risultati alquanto fallimentari.
Elon Musk deve la sua ricchezza e la sua fama ad una serie di business venture tutte partite negli Stati Uniti, da Paypal fino a SpaceX, quest’ultima in particolare dipendente dai generosi finanziamenti pubblici concessi dalla NASA. Tuttavia, la necessità costante di ampliare la platea di potenziali acquirenti e abbassare i costi di gestione delle varie imprese di Musk lo hanno portato verso lidi lontani, esponendolo a controversie internazionali di diversa magnitudine. Certo non ha aiutato la propensione del miliardario di origini sudafricane a commentare l’attualità politica in modo eccentrico e spesso divisivo.
Tesla, le fabbriche in Cina ed il genocidio in Xinjiang
È il 2017 quando il maxi-conglomerato cinese Tencent acquista il 5% delle azioni di Tesla. Una manovra che sembra quasi presagire, poco più di un anno dopo, la scelta di Musk di aprire un impianto di produzione di macchine elettriche nel Paese orientale. In tale occasione, Tesla riceve un trattamento di riguardo da parte delle autorità cinesi: l’azienda viene esentata da diverse tasse, riesce addirittura ad aver accesso ad incentivi pubblici cinesi ed ottiene il raro privilegio di non dover sottostare alla supervisione di ispettori governativi, metodo con cui la Cina è accusata di praticare spionaggio industriale.
Il favoritismo dello Stato cinese verso Tesla tocca vette inaspettate quando nel 2020 l’azienda viene esentata da maggior parte delle restrizioni anti COVID che portano invece alla chiusura di larghi comparti dell’industria automobilistica. In cambio di ciò, Musk collabora di sua sponte con diversi produttori locali di veicoli elettrici, permettendo ai tecnici di visitare le sue fabbriche e stringendo rapporti stretti con i fornitori di materie prime e semilavorati, anche in ottica di assicurare a Tesla una buona fornitura di litio, materiale chiave nella realizzazione delle batterie.
Da parte sua, Musk non ha mai nascosto un particolare apprezzamento per le politiche energetiche del governo della Cina, che ha più volte descritto come capitale mondiale dell’energia rinnovabile. In effetti, i frequenti elogi di Musk alle autorità cinesi, che per lui riservano comunque un certo sospetto visti i legami di SpaceX ed altre controllate al complesso militare industriale statunitense, rientrano molto probabilmente in una strategia comunicativa ben congegnata: Musk si propone come un pioniere dell’industria “apolitico” e neutrale rispetto agli intrighi politici del governo americano, interessato semplicemente al progresso tecnologico ed al benessere della civiltà moderna.
A causa dei suoi forti legami economici con la Cina, Musk è rapidamente finito nel mirino degli attivisti per i diritti umani dopo aver aperto una showroom Tesla nella regione occidentale dello Xinjiang. Lo Xinjiang è da tempo teatro di un programma d’incarcerazione massiva ai danni della minoranza uigura, sottoposta a pratiche di soppressione culturale e sterilizzazione forzata, elementi che hanno indotto il governo statunitense ad accusare la Cina di condotta genocida.
Musk non ha risposto alle polemiche provenienti anche da esponenti repubblicani quali il senatore Repubblicano della Florida, Marco Rubio. Lo stesso che qualche mese fa esultava alla notizia dell'acquisto di Twitter da parte di Musk, a causa delle nuove policy promesse, più indulgenti nel confronto degli esponenti appartenenti alla destra radicale, sempre più in difficoltà nel non usare frasi non offensive.
SpaceX, Starlink e l’invasione russa
È il 26 febbraio, due giorni dall’inizio dell’invasione su vasta scala del territorio ucraino da parte delle truppe della Federazione Russa, quando il funzionario governativo ucraino Mykhailo Fedorov lancia un appello social ad Elon Musk, chiedendo il suo aiuto per ripristinare i collegamenti internet nel Paese. Musk risponde lo stesso giorno, annunciando di aver già spedito numeri ingenti di terminal che permetteranno al paese invaso di accedere alla fitta rete internet satellitare messa in orbita da SpaceX, Starlink.
L’apparente atto di magnanimità di Musk, tuttavia, ha un retroscena tenuto nascosto fino a pochi mesi fa: l’invio dei terminali Starlink all’Ucraina ed il pagamento dei servizi internet offerti dalla società è stato infatti negoziato e pagato dall’Usaid, l’agenzia governativa americana che si occupa degli aiuti umanitari, a cui fa capo il Dipartimento di Stato.
Tutto ciò è riaffiorato quando lo scorso ottobre Musk ha pubblicato un sondaggio su Twitter, poi cancellato, dove chiedeva ai suoi follower se fosse opportuno appoggiare un piano di pace che avrebbe visto la cessione definitiva della penisola occupata di Crimea alla Russia, una serie di referendum nelle regioni ucraine annesse illegalmente dalle forze armate russe per deciderne lo status futuro, ed un obbligo di neutralità per l’Ucraina. Musk si era ulteriormente sbilanciato, sostenendo di essere a favore di un negoziato simile poiché «preoccupato dalla possibilità non inferiore a 0% di una guerra nucleare». Diversi ufficiali ucraini, incluso il presidente Volodymir Zelensky, hanno criticato in tale occasione le affermazioni di Musk, che aveva cancellato e riproposto il sondaggio più volte a causa delle ripetute ‘vittorie’ del fronte del ‘no’.
La materia si complica quando, pochi giorni dopo, alcuni comandanti delle forze armate ucraine si lamentano di pericolose interruzioni nel servizio Starlink, che mettono a repentaglio la loro capacità di comunicare con le truppe sul campo. Musk inoltre dichiara di essere insoddisfatto delle somme ricevute dal governo americano per portare avanti il dispiegamento di Starlink nel Paese, sottolineando i costi materiali sostenuti da SpaceX e lasciando intendere un possibile ritiro, salvo cambiare idea verso fine mese.
I cambi d’idea repentini di Musk e le problematiche di connessione riscontrate recentemente con i terminal di Starlink hanno a loro volta portato il governo ucraino ad esplorare alternative al sistema, collaborando con aziende aerospaziali europee come la finnica ICEYE. Un altro duro colpo alla reputazione di un imprenditore che, poco più di dieci anni fa, era considerato partner chiave nei piani di transizione energetica e sviluppo tecnologico dell’amministrazione Obama.
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