Molto più di un pezzo di terra
Quando l'America diventa un atto di libertà e ribellione, o conseguenza di scelte difficili.
“Life is made of choices”: la vita è fatta di scelte. È una frase che è uscita durante un’intervista che stavo facendo a una dottoressa parlando di momenti difficili della propria carriera. Banalità, diranno i lettori, eppure è il perfetto incipit per rispondere alla domanda di questo carteggio: perché l’America?
Scrivere d’America è diventata per me una scelta di vita, un’opportunità in un momento difficile e che fa parte di una storia più complessa. Ora, immaginate un crocevia in cui ci sono tre strade. La prima è lo status quo, una strada sicura, la solita, ma in penombra con una luce distantissima, che non ti mette tranquilla, che ti manda in panico; non c’è quel richiamo a continuarla, nessuna soddisfazione. La seconda è tutto sommato facile, senza ostacoli, ma un rettilineo lungo e tedioso in mezzo al nulla; e, infine, c’è la strada piena di buche, paurosa, insidiosa, ma che con una mappa giusta e un po’ di sudore puoi riuscire a superare.
A 18 anni, sempre per questioni di vita, l’America era già vicina a me da un po’, anche se ancora leggermente distante. Quella presenza silenziosa, quello spettro dietro la schiena. Per un po’ l’ho odiata, sempre per motivi personali, e anche un po’ ideologici. Poi è arrivata l’università, letteralmente la fuga verso l’età adulta e, nonostante la scelta della lingua su cui specializzarsi fosse ricaduta sull’inglese britannico, l’America è tornata a essere una presenza imponente, ma ancora silenziosa.
Ho sempre scritto, fin da bambina: anche stupidaggini, ma l’importante era scrivere qualcosa. Sfogare fuori quello che c’era dentro. Liberarsi. L’università, dunque, è stato anche quel luogo dove ho ricominciato a scrivere, anche per scappare da situazioni personali disastrose, ed era il 2015. Mi occupavo per di più di scrivere di esteri sul giornaletto indipendente dell’università. E l’America era ancora lì, con la sua politica e la sua complessità. Segui le primarie, inizia a leggere i giornali d’oltreoceano, chi è questo Bernie Sanders? Ah, aspetta, Donald chi? Ma quello della Trump Tower? L’America la risenti tra le tue mani e scivola sulla tastiera come niente. Il 2016, con la vittoria di Trump, e altri fiumi di parole. Leggere, informarsi, toccare con mano.
Ma quindi, questa sanità americana da che cappello l’hai tirata fuori? Molto semplice. L’Affordable Care Act è entrato in vigore nel 2010, e come molte altre persone non sapevo niente a riguardo. A 18 anni capisci fin là. Sapevo benissimo che la sanità americana non funzionava come la nostra, ma al di là di quelle due proverbiali “acche” ero ignorante in materia.
Si torna quindi al crocevia. L’insoddisfazione porta a volte a fare le scelte più strambe nella vita, quelle su cui non scommetteresti un nichelino, come la terza strada buia e impervia. Ed è così che sono approdata nella comunicazione medico-scientifica, senza una singola nozione di medicina o biologia. Solo io, l’inglese, il mio computer, mettere assieme le parole, una curiosità senza fine, ma soprattutto la mia migliore tacca sul curriculum: l’ipocondria.
Eccola di nuovo, l’America: un’intervista, un articolo su una scoperta, uno studio, un libro di storia della medicina, una curiosità, una lettura sul sistema americano, due chiacchiere scambiate a un congresso con qualche collega statunitense, e ormai ero già completamente assorbita. La complessità del sistema sanitario statunitense, il fatto che se ne parli per sentito dire qui in Italia, il diritto alla salute negato a così tante persone, le battaglie, l’ineguaglianza medica, la disinformazione che così ferocemente ogni giorno sono fiera di combattere con il mio lavoro, hanno fatto sedere l’America vicino a me in pianta stabile. C’è una persona in particolare che devo ringraziare per avermi spronato, partendo da alcune nozioni e letture scambiate sulla storia della medicina (a volte anche un po’ buttate sul ridere, tipo sugli incidenti oculari dell’ammiraglio Nelson) che, se mai leggerà questo pezzo, si riconoscerà probabilmente.
Perché l’America? Perché nelle sue contraddizioni, errori, assurdità, era metaforicamente parlando la scelta migliore da fare; e nonostante a volte si possa essere frustrati, arrabbiati, delusi, raccontarvela è la soddisfazione più grande che c’è. Un onore portato addosso come una medaglia, perché l’America per me non è solo un pezzo di terra al di là dell’oceano. È stata - e sarà - amore, crescita, odio, felicità, tristezza, gloria e impegno. Ma, soprattutto, libertà.