Minimale ma piena di significato: l'arte di Ellen Gallagher
Con origini irlandesi e capoverdiani, le opere dell’artista residente nella Grande Mela scuotono gli stereotipi razziali
Ellen Gallagher nasce a Providence (Rhode Island) il 16 dicembre 1965 da madre irlandese e padre capoverdiano, e attualmente vive tra Rotterdam e New York. L’artista concentra la sua carriera sulla messa in discussione degli stereotipi razziali e i principi d’ordinamento imposti dalla società, partendo però da opere apparentemente semplici.
Considerata una pittrice astratta, Gallagher crea opere minimaliste, animate da particolari narrazioni tematiche.
Il suo percorso artistico inizia ufficialmente nel 1995 e parte da riviste popolari, per poi diramarsi attraverso la ripetizione, la revisione e la riproposizione di diversi elementi che creano una sorta di racconto all’interno di ogni suo dipinto.
Le peculiari manipolazioni attuate dalla Gallagher creano infatti una mappa visiva con chiari riferimenti alla cultura moderna, raccontata dall’artista attraverso la sua personale iconografia.
L’immaginario a cui dà vita l’artista è strettamente legato alle sue origini afroamericane, elemento che caratterizza tutta la sua carriera e tramite cui cerca di “sdoganare” luoghi comuni, pregiudizi e cliché.
Anche i materiali da lei scelti sono particolari: spesso crea infatti dei collage a più strati formati da fogli di quaderni utilizzati dai bambini africani per imparare la calligrafia, che lei stessa posiziona in maniera metodica e precisa. È proprio questa stratificazione sulla tela che crea lo sfondo particolare da cui parte per creare i suoi delicati dipinti.
Nell’immaginazione di Gallagher, inoltre, i segni sono fondamentali perché permettono la nascita del linguaggio visivo, punto forte dei suoi progetti, in cui i pattern, i motivi e il processo d’estrazione si mischiano alla peculiarità della carta e agli importanti temi che l’artista sceglie per sfondare la tela.
Anche la fusione di diverse modalità narrative come poesia, film e soprattutto musica è necessaria per ricalibrare le tensioni tra realtà e fantasia.
Nel complesso i lavori di Ellen Gallagher possono sembrare pitture semplici, quasi elementari e cariche di valenza, ma servono in realtà come base per la sua “grammatica nuova” dalla quale parte per creare le sue tele minuziosamente ricoperte, come un bambino che si esercita nella scrittura.
Molte delle sue opere sembrano formare un muro, un particolare orizzonte da sfondare, ma da breve distanza l’insieme cambia e l’orizzonte si trasforma in una griglia rotta e disomogenea, della quale fanno parte tratti facciali volontariamente esagerati come labbra gonfie, occhi rotondi o visi che rimandano alla cultura afroamericana.
I riferimenti, sempre chiarissimi, in questo caso assumono una valenza ancora più significativa: l’artista “denuncia” l’immaginario legato al minstrel show, forma di intrattenimento nata negli Stati Uniti intorno al 1830 basata su sketch comici, musica, danza e varietà dove l’accento cadeva sull’aspetto dei performer, il cui trucco era una palese parodia africana. Tutto lo show, infatti, ruotava attorno allo stereotipo dei neri dipinti come superstiziosi e ignoranti.
Prima di farsi portavoce di critiche e denuncia come in questo caso, i dipinti di Ellen Gallagher appaiono quindi come meramente decorativi e composti da elementi particolari, anti-narrativi, che vanno apprezzati in primis per il loro ritmo interno. È uno sguardo più attento e ravvicinato che successivamente può portare l’osservatore a notare quelli che sono dettagli come la stratificazione dei materiali o alcuni elementi disorientanti che diventano essenziali e invitano alla contemplazione, spingendo il nostro occhio a una ricerca più profonda che, tenendo anche conto delle tematiche affrontate, permetterà di capire fino in fondo la sua particolare e interessantissima poetica.