Milton e la tempesta politica: l’America divisa di fronte all’uragano
Un’America spaccata di fronte al ciclone che ha colpito la Florida: tra disinformazione e accuse politiche, la gestione dell'emergenza si trasforma in campo di battaglia elettorale

Negli Stati Uniti, questo mese di ottobre è iniziato con un uragano che ha tenuto in scacco lo Stato della Florida.
La WMO (World Meteorological Organization) lo ha chiamato Milton, e il suo viaggio dal Golfo del Messico verso l’area tra Tampa e Sarasota sembrava una pericolosa minaccia, in grado di radere al suolo tutto ciò che avrebbe incontrato nel suo percorso.
È stato categorizzato come uragano di livello 4, che sulla scala di misurazione dell’intensità di questi fenomeni naturali equivale a un ciclone in grado di apportare gravi danni a edifici, generare inondazioni e soprattutto mietere eventuali vittime. La stessa categoria fu attribuita nel 2005 all’uragano Katrina, che ha lasciato una ferita non ancora rimarginata nella storia di New Orleans.
La tensione era palpabile già settimane prima dell’arrivo di Milton, con dirette televisive di giornalisti in impermeabile e galosce, che dalle coste della Florida riportavano notizie sempre più drammatiche. Gli esperti lo hanno descritto come un gigante pronto a scatenare il caos e il presidente Joe Biden ha ulteriormente aumentato il livello di allerta, definendolo il peggior uragano a colpire gli Stati Uniti negli ultimi cento anni.
Ma nella sua avanzata verso le coste della Florida, Milton ha notevolmente perso potenza, subendo una rapida de-escalation da categoria 4 a 1. Lo stato di allerta che ha tenuto il Paese per giorni sulle spine ha allentato la tensione, tranquillizzando i cittadini del Sunshine State che si erano preparati al peggio. Certo, il passaggio dell’uragano non è stato indolore: nelle contee colpite sono state registrate dieci vittime a causa dei tornado generati dal ciclone, piogge torrenziali che hanno provocato inondazioni e raffiche di vento che hanno abbattuto numerosi pali elettrici, lasciando intere aree senza corrente.
Una volta passata la tempesta sono rimasti i danni, soprattutto economici.
Per i Democratici, la risposta dell’amministrazione Biden è stata in gran parte giudicata positivamente, con particolare attenzione all’impegno del Presidente e della Vice Presidente nel comunicare con le comunità colpite e nel garantire un supporto tempestivo.
Adesso non resta che assistere a come le istituzioni politiche americane decideranno di gestire le conseguenze di questa emergenza.
Più che un fronte comune, ci si trova davanti a un’America divisa, che reagisce all’impatto di una calamità naturale trattandola come un’ennesima occasione da cogliere per fare campagna elettorale.
Biden, nei suoi inviti ai cittadini della Florida a rispettare le misure di sicurezza imposte nelle zone interessate da Milton, ha indirizzato un attacco a chi in queste delicate giornate si è impegnato a diffondere disinformazione, invece che contribuire positivamente. Un «chi» che nello specifico si rivolge a Donald Trump, che ha accusato l’amministrazione Biden-Harris di aver speso i fondi destinati alle vittime del ciclone per interventi destinati ai migranti irregolari nel Paese.
Un atteggiamento che Biden ha pubblicamente tacciato di essere «antiamericano» e dannoso, soprattutto in un momento di emergenza in cui il Paese avrebbe dovuto dimostrare ai suoi cittadini di avere istituzioni in grado di cooperare tra loro.
Disastri come Helene e Milton mettono alla prova i leader. Trump fallisce ogni volta. Questo è il titolo di un articolo del Los Angeles Times, scritto da LZ Granderson e pubblicato l’11 ottobre, in cui si condanna il tycoon per aver tratto uno spunto di propaganda da una tragedia.
Richiamato anche dalle autorità repubblicane locali e statali, Trump è stato invitato a non confondere i cittadini della Florida con i suoi interventi, vanificando in questo modo i loro sforzi di mantenere una situazione di tensione sotto controllo.
Questo atteggiamento non può sicuramente definirsi inaspettato, da un ex Presidente americano che già nel 2019, quando l’uragano Dorian era diretto verso le coste dell’Alabama, aveva suscitato un ingiustificato allarmismo; un’occasione in cui aveva sfidato il National Weather Service mostrando mappe meteorologiche falsificate.
Complici i social, che hanno fatto da cassa di risonanza, gli interventi di Trump su Milton hanno generato una serie di reazioni in tutto il Paese. Le sue accuse alla malagestione delle risorse da parte di Joe Biden sono diventate uno spunto immediato per la proliferazione di teorie del complotto virali sui social media. In particolare, su X (ex Twitter), grazie a profili con il blue tick che hanno una storia di condivisione di questi contenuti.
Sul social X di Elon Musk, è stata infatti facilitata la procedura di verifica per ottenere la spunta, permettendo inoltre che questi account ottenessero una maggiore visibilità sulla piattaforma.
I profili “verificati”, che in questi giorni hanno pubblicato post virali che mettono in dubbio la legittimità delle previsioni meteorologiche e degli sforzi di soccorso, hanno diffuso le false affermazioni di Donald Trump, così come teorie come quella secondo cui il governo controllerebbe il clima, supportata anche dalla congressista Marjorie Taylor Greene.
Come ha scritto il giornalista del LA Times, le situazioni di emergenza climatica possono davvero essere un banco di prova per testare l’attuale stato di salute della nazione e, al netto della campagna elettorale, gli Stati Uniti non possono che definirsi come un Paese spaccato.
Questo clima di divisione ha complicato gli sforzi di recupero.
Una polarizzazione che rappresenta un’America molto diversa da quella dell’amministrazione Obama che, dopo l’uragano Sandy nel 2012, collaborò con l’allora governatore repubblicano del New Jersey, Chris Christie, mettendo da parte le differenze politiche per accelerare gli aiuti. Diversa anche da quella dell’ex Presidente George W. Bush che nel 2005, con l’uragano Katrina, nonostante le critiche iniziali, riuscì a stabilire una più stretta collaborazione con i governi locali per migliorare gli sforzi di soccorso e ricostruzione.
È evidente che la strada per un’unità politica resta cruciale. Resta da capire se la cooperazione resterà un’opzione realistica dopo il 5 novembre.