Maus e i libri proibiti: non ci si oppone alla memoria
Non si può giocare al gatto e al topo con la storia. Ecco i libri bannati dai conservatori nelle scuole americane.
Lo scorso gennaio il Consiglio di Istruzione della contea di McMinn ad Athens, in Tennessee, ha espresso tramite voto anonimo e con un risultato unanime, l’intenzione di bandire la graphic novel Maus del vincitore del premio Pulitzer, Art Spiegelman. L’opera verrebbe così definitivamente esclusa dal curriculum di arti liberali dell’ottavo anno - l’equivalente dell’ultimo anno della scuola secondaria di primo grado in Italia.
L’autore di Maus, Art Spiegelman, nasce nel 1948 in Svezia da genitori ebrei di origine polacca; la famiglia si traferì successivamente negli Stati Uniti nel 1951.
L’opera, pubblicata in serie dal 1980 al 1991, ripercorre il vissuto traumatico dei genitori dell’autore nei campi di Auschwitz, Gross-Rosen e Dachau.
Spiegelman racconta questi avvenimenti nella forma di un dialogo ambientato nel 1978 e descrive queste esperienze partendo dagli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale fino alla liberazione dei suoi genitori, Vladek e Anja, dai campi di concentramento nazisti. Gran parte della storia ruota attorno alla travagliata relazione dell’autore e fumettista con suo padre e all'assenza di sua madre, morta suicida quando lui aveva 20 anni.
«Contenuto inappropriato»
Apparentemente, il libro sarebbe stato vietato in quanto contenente materiale che il consiglio ha ritenuto «inappropriato» per degli studenti di tredici anni. Alcuni dei membri hanno infatti sostenuto che la graphic novel, la quale dipinge gli ebrei come topi e i nazisti come gatti, contenesse «curse words», vere e proprie parolacce ed una rappresentazione esplicita di un corpo nudo.
Tony Allman, un membro del consiglio, si è inoltre detto preoccupato per le scene del libro in cui i topi venivano appesi agli alberi e i bambini venivano uccisi; un’altra fonte di preoccupazione riguarda la rappresentazione del tema del suicidio.
Durante la discussione, si è anche parlato della possibilità di censurare le parole e le immagini «inappropriate», ma la decisione finale ha visto il successo del divieto totale di inserire il romanzo grafico nel curriculum.
Alcuni dei membri del Consiglio sostengono che non sia necessario esporre gli alunni a contenuti così espliciti a fini educativi. In particolare, Mike Cochran ha dichiarato: «Sono andato a scuola qui per tredici anni. Ho imparato la matematica, l’inglese, la lettura e la storia. Non ho mai avuto un libro con una immagine di nudo, non ne ho mai avuto uno con un linguaggio volgare. In terza elementare una delle mie compagne di classe si è avvicinò a me e mi chiese “ehi, che cos’è questa parola?”. L'ho pronunciata ed era “dannazione”, ed ero davvero orgoglioso di me stesso per averla pronunciata. Lei corse dritta dall'insegnante e le disse che stavo imprecando. Oltre a quel libro che penso lei avesse portato da casa, ora è la prima volta che vedo una parolaccia in un libro di testo a scuola. Quindi, questa idea che dobbiamo avere questo tipo di materiale in classe per insegnare la storia non mi convince».
La caccia alle streghe dei conservatori
A questo punto una riflessione risulta necessaria: quando si tratta di insegnare la storia, è davvero opportuno operare un “taglia e cuci” sistematico in modo da escludere gli aspetti più scomodi? Fino a che punto l’intento di tutelare gli studenti è accettabile e motivato, e quando diventa una vera e propria omissione o censura dei fatti storici?
Se il campo democratico viene spesso accusato di cancel culture dai conservatori per l’intento di operare una contestualizzazione storica di alcuni eventi, specialmente relativi alla storia di schiavismo e segregazione razziale degli Stati Uniti, nelle contee conservatrici del Tennessee sembra essere iniziata una caccia verso il contenuto “esplicito” o “disturbante”.
La storia non è l’unica vittima di questa caccia alle streghe, infatti, un controverso disegno di legge in Florida sta ottenendo attenzione mediatica, anche per via della rapida condanna da parte del Presidente Joe Biden. La proposta di legge, presto soprannominata “Don’t Say Gay” (Non dire gay) vieterebbe ai distretti delle scuole pubbliche di «incoraggiare la discussione in classe sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere».
Il deputato del ventiduesimo distretto Joe Harding, il repubblicano che ha presentato il disegno di legge alla Camera di Stato, sostiene che la legge sia necessaria per «mantenere i genitori al corrente e coinvolti su ciò che sta succedendo» riguardo l’istruzione dei figli. Tuttavia, la legge sembra un goffo – ma pericoloso – tentativo di stimolare sostegno politico da parte delle frange più conservatrici in modo da contrastare il crescente successo delle battaglie per i diritti delle persone LGBTQIA+.
Lo scontro tra i fatti e la contestualizzazione
Quando si parla di Olocausto, tuttavia, la questione si presenta particolarmente complessa, in quanto sembra ci sia una vera propria incomprensione di questa pagina nera della storia mondiale.
Recentemente, commentando proprio la vicenda protagonista di questo articolo, la celebre attrice e conduttrice televisiva Whoopi Goldberg è stata scagliata al centro dell’attenzione mediatica americana, e non solo: nelle sue dichiarazioni, infatti, ha sostenuto che lo sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale non fosse stata una questione di razza, descrivendo il genocidio come un conflitto tra «due gruppi di persone bianche».
L’incomprensione nasce dalla tendenza di interpretare i fatti del passato tramite la cognizione che abbiamo di categorie come la razza dal punto di vista contemporaneo. Niente di più sbagliato. L’ideologia nazifascista spese forti energie propagandistiche per far credere alla popolazione europea che gli ebrei fossero di una razza diversa, inferiore a quella ariana; per le lenti di quell’epoca, così esposta al proselitismo razzismo e antisemita gli ebrei erano di fatto considerati largamente un’altra razza, così come le popolazioni slave e i Rom.
Alla luce di questo, la lettura di un’opera così ben contestualizzata non può che beneficiare la comprensione del periodo storico, soprattutto in un Paese dove appena il 62% sa che l'Olocausto si riferisce allo sterminio degli ebrei e solo quasi la metà (49%) sa che 6 milioni di ebrei furono uccisi.
Per fortuna, non tutti concordano con il consiglio scolastico: «Dovrebbe essere una lettura obbligatoria per tutti» dice Rich Davis, comproprietario del negozio Knoxville Nirvana Comics. «Se non insegniamo cosa fu l’Olocausto – continua –, la prossima generazione potrà pensare che non fu così grave e la prossima generazione ancora penserà che l’Olocausto non sia mai avvenuto e la generazione successiva ripeterà l’Olocausto». Il negozio di fumetti ha poi aperto una pagina GoFundMe per raccogliere fondi per donare “Maus” alle famiglie. La campagna ha superato largamente l'obiettivo di ventimila dollari, ricevendone più di centomila in pochi giorni.
Dopotutto, i criteri per selezionare un libro scolastico dovrebbero prioritizzare l’autenticità dei fatti storici rispetto alla romanticizzazione della storia. Quando si pensa al fatto che un tredicenne medio negli Stati Uniti ha a disposizione l’accesso quasi illimitato a contenuti di tutti i tipi grazie ad Internet, cercare di preservarne l’innocenza non è una battaglia già persa in partenza? Oscurare gli aspetti più crudi dell’Olocausto, quelli che possono essere raccontati in maniera più autentica dai sopravvissuti - che sono sempre di meno col passare degli anni - potrebbe avere l’effetto di desensibilizzare definitivamente le nuove generazioni nei confronti dell’antisemitismo.
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