Make America Scam Again: TRUMP, il memecoin che ha ingannato i patrioti
Come una strategia di marketing politico ha svuotato i wallet dei patrioti digitali, e riempito le casse di chi controlla il messaggio
Un’analisi commissionata dal New York Times ha rivelato che 813.294 wallet unici hanno perso complessivamente più di 2 miliardi di dollari nei primi mesi dopo il lancio di TRUMP, la memecoin associata alla narrativa MAGA. Si tratta in prevalenza di piccoli investitori attratti da un racconto identitario: quello di “aiutare il Presidente” comprando il suo token. Poco prima, un singolo wallet attivato meno di tre ore prima del lancio ufficiale ha guadagnato oltre 109 milioni, mentre secondo CoinDesk e Chainalysis i promotori del token, tra cui affiliate della Trump Organization, hanno introitato oltre 320 milioni di dollari in commissioni di trading solo nei primi giorni.
A differenza di molti altri casi di pump-and-dump nel mondo cripto, qui la leva finanziaria non è solo l’avidità. È la fede politica. I possessori di TRUMP non inseguivano un profitto qualsiasi: erano convinti di contribuire a una causa, di avvicinarsi al loro leader, di ricevere in cambio accesso e riconoscimento i quali, come vedremo, alcuni hanno ottenuto davvero. Per tutti gli altri, sono rimasti solo un wallet vuoto e la sensazione di essere stati traditi da chi diceva di rappresentarli.
Da dove viene TRUMP?
La parabola della memecoin TRUMP non nasce dal nulla. Affonda le radici nella lunga metamorfosi di Donald Trump da magnate immobiliare a marchio globale e, come ogni marchio di successo nell’era digitale, ha saputo cavalcare le onde del mercato adattandosi ai linguaggi e agli strumenti del momento. Prima il merchandising, poi gli NFT e, infine, le criptovalute.
Nel dicembre 2022, Trump aveva definito le cripto una truffa, sottolineando che il dollaro era l’unica vera moneta. Pochi mesi dopo, lancia la sua prima collezione di NFT ufficiali: figurine digitali in cui appare vestito da astronauta, da sceriffo, da supereroe. La collezione va sold out in poche ore. A molti era sembrata una trovata kitsch ma, a posteriori, si è rivelata solo una prova generale per qualcosa di molto più grande.
Nel 2024, con l’avvicinarsi delle elezioni, Trump cambia infatti tono. Dichiara che le criptovalute saranno parte fondamentale del futuro americano e apre ai finanziamenti in cripto asset, comprese le donazioni alla sua campagna. Ufficialmente, il token non è stato creato dalla Trump Organization né da membri diretti dello staff, ma il legame è evidente: il dominio utilizzato per promuoverlo era stato registrato dalla stessa società che aveva gestito gli NFT.
Il salto qualitativo avviene nel gennaio 2025, quando viene annunciato il primo evento riservato ai maggiori detentori di TRUMP: una cena privata con il Presidente, in una delle sue residenze in Florida. Il requisito per entrare? Possedere almeno 1 milione di dollari in token, senza averli venduti nei tre mesi precedenti. Nel giro di poche ore, il valore del token esplode, mentre centinaia di investitori si affannano a entrare nel club.
In quella serata – diventata rapidamente virale – non si è parlato di politica né di finanza, ma l’operazione è stata un successo assoluto: il token ha raggiunto il picco di capitalizzazione, oltre 350 milioni di dollari, mentre la campagna ha raccolto fondi da soggetti difficili da tracciare, come affermato dal Guardian. Un investimento in fiducia, con ritorni assai più concreti e opachi di quanto si voglia ammettere.
Da Memecoin a Scamcoin è un attimo
La retorica ufficiale ha presentato TRUMP come una moneta del popolo per il popolo. Un’arma finanziaria messa in mano ai patrioti digitali per combattere il deep state a colpi di blockchain. Tuttavia la realtà, come spesso accade nella galassia trumpiana, è molto diversa.
Secondo una ricostruzione del Washington Post, oltre l’80 per cento della supply iniziale del token era concentrata in appena una ventina di wallet, peraltro collegati a opache strutture offshore. Alcuni di questi risultano collegati direttamente a World Liberty Financial, società partecipata da familiari del Presidente e partner stranieri. L’accumulo massiccio di token prima del lancio pubblico è stato mascherato da operazioni distribuite su diversi indirizzi. Analisti on-chain, tra cui Chainalysis e Merkle Science, hanno individuato transazioni coordinate nelle ore precedenti al listing, con milioni di token spostati tra wallet affiliati.
La concentrazione della proprietà ha reso possibile manipolare artificialmente il prezzo, dando l’impressione di una crescita organica. Poi, proprio nel momento in cui migliaia di investitori si sono lanciati sull’onda dell’hype, galvanizzati dalla possibilità di accedere alla cena con Trump, i wallet maggiori hanno iniziato a vendere. In nessun momento la Trump Organization ha ammesso una gestione diretta del token eppure, come ha notato il Financial Times, gli stessi strumenti promozionali degli NFT ufficiali sono stati riutilizzati per diffondere la memecoin: stesso stile grafico, stesso tono, stesso circuito social.
Il “sospetto” di insider trading
Nel mondo della finanza tradizionale, se un manager compra azioni pochi minuti prima di un annuncio la SEC apre un’indagine. Posto che lo stesso Trump ha svuotato la SEC rendendola pressoché incapace di operare, nel mondo cripto è diverso. Non a caso, è uno dei mezzi preferiti dalla criminalità organizzata e dalle organizzazioni terroristiche per trasferire e riciclare denaro sporco, data la difficoltà nel conciliare i wallet e i movimenti con le persone reali e le operazioni che ci sono dietro. Per molti analisti, i flussi legati al memecoin di Trump sono infatti compatibili con l’insider trading, ma la finanza decentralizzata legata alle criptomonete rende quasi impossibile dimostrare una responsabilità penale.
Il sospetto, però, è concreto: una soffiata vale milioni, soprattutto quando il prezzo si muove sull’onda delle emozioni e l’informazione non è accessibile a tutti. Il token non aveva una roadmap, né un’utilità. Era solo una promessa: essere più vicini a Trump. Una promessa che alcuni hanno potuto monetizzare prima degli altri.
Se il token TRUMP fosse stato solo un prodotto finanziario, il danno sarebbe stato con ogni probabilità molto più contenuto. Tuttavia, in questo caso il cuore della questione è ideologico (se non addirittura religioso). Acquistare il memecoin è diventato un gesto di appartenenza, non di speculazione. In gruppi Telegram filo-MAGA, alcuni investitori hanno definito l’acquisto di TRUMP un atto di lealtà e un gesto di fedeltà alla causa, con discorsi che evidenziano come il token fosse percepito più come un simbolo politico che come un asset finanziario. A questo punto il marketing non ha dovuto fare molto. Bastava lasciar intendere che chi avesse comprato avrebbe potuto vedere Trump di persona. La cena, riservata ai detentori della memecoin più assidui, è stata la perfetta ricompensa simbolica per chi aveva messo la fede al servizio del portafoglio.
A sollevare domande sono state infine le istituzioni. La Permanent Subcommittee on Investigations del Senato, guidata da Richard Blumenthal, ha aperto un’inchiesta sul legame tra il token e la Trump Organization. I deputati Sean Casten e Adam Smith hanno chiesto al Dipartimento di Giustizia di verificare se la Crypto Dinner violasse la Emoluments Clause. Il senatore Jack Reed ha proposto l’End Crypto Corruption Act, per vietare che politici emettano o promuovano criptovalute personali. Tuttavia, data la natura stessa delle criptovalute, è improbabile che si arriverà a trovare una pistola fumante.
Al momento, infatti, nessuna accusa è stata formalizzata, ma la questione resta aperta: può un Presidente in carica monetizzare direttamente la propria base elettorale? E se sì, dove finisce la campagna e comincia il business?