Make America First, Again
Tra i votanti repubblicani l’ala isolazionista e contraria all’invio di aiuti all’Ucraina cresce sempre di più. Blandirla è una scommessa per molti e un pericolo per tutti
Poco dopo l’invasione della Polonia da parte della Germania nazista, alcune agenzie di sondaggi americane chiesero al pubblico intervistato quanta voglia avessero di aiutare le democrazie europee a difendersi; i risultati furono ampiamente negativi. Non era una casualità, il Paese che noi siamo abituati a considerare campione dell’internazionalismo e dell’interventismo negli scenari mondiali, è in realtà sempre stato tentato, perlomeno fino alla fine del secondo conflitto mondiale, dalle sirene isolazioniste. D’altronde personaggi di spicco, come l’aviatore Charles Lindbergh, e magnati della stampa, come William Randolph Hearst, che in quel periodo conierà l’espressione «America First», erano convinti che essere intervenuti nella Grande Guerra sarebbe stata un’esperienza da non ripetere mai più. I giornali detenuti da Hearst ci tenevano a contestualizzare le ambizioni hitleriane: i tedeschi si stavano allargando soltanto per sopperire alle ingiustizie del Trattato di Versailles, ed era ingiusto condannarli apertamente senza spendere nemmeno una parola sui danni che l’imperialismo britannico aveva causato alla società.
Poche settimane fa a East Palestine, in Ohio, è deragliato un treno: siccome trasportava materiali tossici ha prodotto nel territorio circostante fumi irrespirabili e altamente dannosi. Mentre il presidente Biden si trovava in Ucraina per la sua visita a Zelensky, l’ex-capo di Stato Donald Trump si è presentato nella piccola cittadina del Midwest per una conferenza stampa: ha evidenziato come fosse molto triste che il leader degli americani trovasse tempo per andare fino in Ucraina, senza presentarsi in Ohio, e ha rimarcato che ogni dollaro investito per la sicurezza del Paese dell’Est Europa era un dollaro perso dai cittadini americani. È un messaggio che non ha un appeal fortissimo sul Congresso, almeno a oggi, ma molto sui votanti: nell’elettorato repubblicano il sostegno senza se e senza ma alla causa ucraina è calato irrimediabilmente.
Lo scontro mediatico e legislativo…
Il Partito Repubblicano, che noi siamo stati abituati a conoscere come falco in politica estera, nel tentativo di mantenere in piedi il suo vantaggio sui lavoratori blue collar, sta sempre più ripiegando su posizioni fortemente isolazioniste. Gli internazionalisti, o neocon, sono sempre più insidiati dalla visione di un ritorno a un conservatorismo isolazionista e protezionista, volto, almeno nella teoria, a difendere gli interessi del cittadino medio, come da tradizione paleocon.
Una rivista di fiera tendenza paleoconservatrice, come “The American Conservative”, ha pubblicato un articolo di Rod Dreher in cui viene evidenziato esplicitamente il problema che la fornitura di armi in Ucraina ha sulla spesa pubblica: gli americani dovrebbero avere il diritto di sapere quanti soldi e quante armi partono verso l’Europa, indebolendo non solo l’economia, ma anche le riserve belliche del Paese, in caso di tempi ancora più bui.
Lo stesso mondo mediatico di destra è artificialmente diviso: il gigante dei media Rupert Murdoch ha diviso equamente le sue proprietà. I suoi possedimenti cartacei, la cui punta di diamante è il Wall Street Journal, si schierano a sostegno della causa ucraina, mentre la sua rete televisiva, Fox News, ospita tra i suoi anchorman figure come Tucker Carlson e Laura Ingraham, scettici, per non dire in certi casi apertamente allineati con la propaganda del Cremlino.
Alle Camere la situazione del GOP è paradossale: al Senato il leader repubblicano Mitch McConnell, fiero sostenitore della causa ucraina, cerca di distruggere le voci isolazioniste interne. Non è facile, dato che a maggio dell’anno scorso, ben 11 senatori hanno votato difformemente all’invio di armi. I politici più vecchi, eletti in un partito fortemente legato alle idee di Reagan e Bush, sono ideologicamente vicini al sostegno di una democrazia contro un invasore nemico, ma i senatori più giovani, eletti dall’inizio del trumpismo in poi, contestano questa visione della società e della politica internazionale: uno dei pochi di questi che ha vinto il seggio nel 2022, J.D. Vance, autore di “Elegia Americana”, un libro in parte autobiografico sulla resilienza della classe povera dell’Ohio, è fortemente contrario all’invio di aiuti, convinto che i soldi vadano spesi per gli americani in difficoltà.
Alla Camera, invece, dopo la vittoria risicata dei repubblicani, che ha portato McCarthy a dover trattare con gli esponenti più estremi del Partito per poter ottenere la speakership, la situazione è più grigia: lo Speaker, pur sostenendo Zelensky, ha più volte rimarcato che non ha intenzione di firmare «assegni in bianco». Gli esponenti più vicini al trumpismo, come Marjorie Taylor Greene e Matt Gaetz, criticano la difesa dei confini dell’Ucraina a tutti i costi, legando quello che vedono come un eccessivo militarismo bideniano alla presunta inazione del Governo riguardo alla crisi migratoria in atto ai confini meridionali della repubblica americana.
… E quello in vista delle primarie
Se, per quanto riguarda i candidati alla presidenza, possiamo ritenere piuttosto chiara la posizione di Donald Trump, che ha riportato alla ribalta quell’America First hearstiano di cui abbiamo parlato in apertura, e di Nikki Haley, ex-governatrice della South Carolina e fieramente internazionalista, tanto da aver creato raccolte fondi a titolo personale per gli ucraini, più interessante è la posizione di Ron DeSantis: quando era membro della Camera aveva posizioni da falco nei riguardi della Russia. In un’intervista a Fox News del 2015, successiva quindi all’annessione russa della Crimea, aveva addirittura asserito di voler mandare armi di qualsiasi tipo, sia difensive che offensive, al governo di Kyiv e criticava l’amministrazione Obama per essere stata restia a farlo. Oggi, invece, ha cambiato palesemente idea: in un intervento a Fox and Friends ha criticato i ripetuti assegni in bianco che Biden girerebbe a Zelensky.
DeSantis ha fatto una precisa scelta di campo: ritiene l’ala isolazionista dei repubblicani vincente nel Paese, l’approccio paleocon quindi preferibile a quello neocon, e ha intenzione di vendersi come un fiero adepto dell’America First, lontano però dal personalismo esasperato di Trump.
Questa è la scommessa di DeSantis: che sempre più gente lo voti in quanto arrabbiata e delusa da un’amministrazione che spenderebbe troppo per un Paese lontano non occupandosi della povertà interna, ma è anche la scommessa di Vladimir Putin: l’autocrate russo punta a prolungare la guerra fino a quando l’America uscirà dai giochi, sfinita da continue richieste dell’alleato ucraino. Putin punta chiaramente alla vittoria di Donald Trump alle presidenziali del 2024 ma, in base a questa analisi, l’ampliarsi degli isolazionisti rischia che basti la vittoria di un qualsiasi candidato di spicco del GOP.
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