La mafia di Chicago aiutò veramente JFK a vincere le elezioni nel 1960?
È una delle dicerie più diffuse: per aggiustare il risultato in favore di Kennedy, la mafia avrebbe truccato i voti delle presidenziali in Illinois. Ma non è mai stato provato
John Fitzgerald Kennedy si servì della malavita organizzata di Chicago per vincere le elezioni presidenziali nel 1960. Quest’affermazione si è letta e sentita in varie sedi e occasioni, spesso pronunciata dai detrattori di JFK. Ma quanto c’è di vero? Poco, se non quasi nulla.
Un po’ di contesto. Le elezioni presidenziali dell’8 novembre 1960 furono le più combattute dal 1948 e videro sfidarsi il candidato repubblicano Richard Nixon contro il democratico John F. Kennedy.
La campagna elettorale fu dominata da due questioni fondamentali: l'economia e la guerra fredda. Gli Stati Uniti stavano vivendo un periodo di crescita economica, ma crescevano le preoccupazioni per l'inflazione e la disoccupazione. Entrambi i candidati offrivano invece approcci diversi per affrontare la minaccia sovietica.
Nixon, che era stato vicepresidente sotto Eisenhower, basò la campagna elettorale sulla sua esperienza e la sua competenza in politica estera. Promise di portare avanti le politiche di Eisenhower e di continuare a contrastare la l'Unione Sovietica.
Kennedy non era altro che un giovane e carismatico senatore del Massachusetts. Sottolineò la necessità di dare spazio a nuova generazione di leader e promise idee innovative. E alla fine fu lui a vincere il voto popolare, per meno di 120.000 voti. Il risultato fu deciso, come sempre, dal numero dei grandi elettori. Finì 303 a 219.
Cosa c’entra la mafia in tutto questo? Per aiutare Kennedy a battere Nixon, secondo la versione più diffusa il candidato democratico potè contare sui voti truccati dall’Outfit di Chicago. In Illinois, effettivamente, Nixon perse di strettissima misura: appena 8.000 voti lo separavano da Kennedy. Ma non ci sono prove evidenti che Cosa nostra abbia agito fuori dalla legge per permettere a JFK di diventare presidente.
Se è vero che il capostipite dei Kennedy, Joseph, aveva alcuni legami con personaggi della criminalità organizzata, non è mai stato dimostrato che la mafia abbia avuto un ruolo decisivo nella vittoria di Kennedy alle elezioni presidenziali del 1960. Voci di corridoio e qualche articolo di giornale parlavano di infiltrazioni nelle primarie, cooptazione dei sindacati, ma null’altro. Perlomeno, niente di illegale.
Inoltre, alcuni membri dell'amministrazione Kennedy, come il fratello del presidente, Robert, si impegnarono attivamente per reprimere il crimine organizzato durante il loro mandato. Eppure, JFK usò la mafia. La usò per l’operazione Mongoose, una vasta campagna di attacchi terroristici lanciata dalla CIA nel 1961 contro Cuba. Si dice anche che l’intelligence USA assoldò il boss della mafia di Chicago, Sam Giancana, per assassinare personalmente Fidel Castro. Ma a parte questi racconti, non è mai stata confermata una collusione tra il governo federale di allora e la malavita.
Su un altro evento-chiave della storia americana, l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy, aleggia l’ombra della mafia. Secondo una delle numerose teorie sull’assassinio, Santos Trafficante, Carlos Marcello, Johnny Roselli e, ironia della sorte, Sam Giancana sarebbero i capimafia sospettati di aver ordinato l’uccisione del 35esimo presidente degli Stati Uniti. Il motivo sarebbe che JFK e il fratello Bobby, esaurita l’utilità di Cosa nostra Usa a Cuba, erano sul punto di arrestare proprio Giancana, in un più ampio processo di repressione della malavita in tutto il Paese. È questa infatti una delle ipotesi fatte dallo United States House Select Committee on Assassinations e su cui sono state anche desecretate migliaia di documenti precedentemente riservati negli scorsi anni.
La verità, forse, non si scoprirà mai. Ma lo Stato americano, con la mafia, non trattò.
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