L'ultima grande dinastia americana
Gli Stati Uniti si rivelano un paese per vecchi, una dinastia destinata a dominare
Diversi detti popolari descrivono l’età anagrafica ricorrendo all’utilizzo di tre (quasi lapidarie) parole, “solo un numero”, intendendo che quest’ultimo non avrebbe implicazioni identitarie di sorta e che, soprattutto, non rispecchierebbe differenti necessità politiche o sociali. Cosa succede quando l’intero Paese condivide quel numero - compreso il Presidente degli Stati Uniti? Il tema dell’anagrafica e del gap generazionale tra giovani e anziani negli States si fa sempre più rilevante con l’avvicinarsi delle presidenziali del 2024, che vedrà il Presidente Biden come frontrunner per i Democratici. Secondo l’opinionista del Washington Post, David Ignatius, ben il 77% del pubblico intervistato da PRESS-NORC - incluso un 69% di Democratici - sembrerebbe ritenere Biden troppo vecchio per governare efficacemente per altri quattro anni, tenendo presente che, a un eventuale inizio di secondo mandato, il Presidente Biden avrebbe raggiunto ormai gli 82 anni. Tuttavia, la domanda da porsi con queste premesse appare profondamente differente: piuttosto di interrogarci, infatti, sulle capacità di Biden di guidare la nazione faro della democrazia occidentale per un altro mandato, dovremmo chiederci cosa è accaduto in questi anni negli Stati Uniti e perché l’anagrafica di Biden è invece il più preciso riflesso di un Paese - e classe dirigente - sostanzialmente vecchia.
All’agosto del 2022, il 117esimo Congresso degli Stati Uniti si presentava come dominato in modo quasi impareggiabile da inquilini “in avanti con l’età”: i baby boomer (classi 1946-1964) costituivano rispettivamente il 52% della Camera dei Rappresentanti e il 68% del Senato, a cui vanno aggiunti un 6% e 11% per ciascun ramo di esponenti della cosiddetta Silent Generation (1928-1945). Allo stesso tempo, i politici eletti anagraficamente appartenenti alla Generazione Z (nati dal 1997 in poi) risultavano così rari da poterli contare sulle dita d'una mano e da costituire, dunque, una percentuale così esigua da rendere il calcolo pressoché imbarazzante.
Se da un lato, infatti, l’immaginario collettivo tende a direzionarsi verso figure come quella di Alexandria Ocasio-Cortez (classe 1989) quando pensa ai protagonisti della politica statunitense, dall’altro è inevitabile darle altrettanto corpo attraverso le personalità di Bernie Sanders (classe 1941), Mitch McConnell (classe 1942) o Nancy Pelosi (1940), nessuno dei quali ha mai tradito dubbi rispetto alla propria capacità di saper rispondere ai radicali cambiamenti identitari di una nazione a fronte di una anagrafica personale corposa.
Non sono poi solo i politici ad invecchiare senza permettere alcun ricambio generazionale, ma l’intera popolazione statunitense: il Census Bureau ha confermato che il Paese sta invecchiando e che i suoi abitanti di anni 65 o più aumenteranno entro il 2030, andando a rappresentare tra il 16 e il 21% degli Stati Uniti. Un tale inesorabile invecchiamento della popolazione sta ostacolando il meccanismo politico del ricambio, che permetterebbe, invece, di favorire l’affermarsi delle nuove generazioni sulla società statunitense. Quale impatto può avere una Federazione - e una politica - vecchia? Innanzitutto, significa inevitabilmente maggiore attenzione per questioni che incontrano il favore di un elettorato âgé, come assistenza sanitaria, sicurezza sociale e Medicare - così da assicurarsi il più ampio supporto e consenso possibili - portando poi a ignorare istanze considerate “giovanili”, ma il cui mancato ascolto non fa che sommergere il futuro degli Stati Uniti di fatica, incertezza e frustrazione.
La giovane America, infatti, si scontra in modo crescente con debiti, con la difficoltà di trovare casa e lavoro, oltre che con quella che parrebbe un’inconciliabile divisione di ideali che identifica le nuove generazioni come automaticamente progressiste e quelle vecchie come più conservatrici. Un esempio di quest’ultima manifestazione di gap generazionale si ottiene se si valutano le posizioni degli Statunitensi rispetto ai diritti delle persone transgender - nello specifico, l’idea che hanno maturato sulla questione dei servizi pubblici genderless. Esponenti della Silent Generation, dei boomer e della Generazione X dimostrano di favorire politiche restrittive in questo campo, mentre le giovani generazioni sembrano non individuare il tema come un problema sociale da risolvere con divieti, ma al contrario, come cambiamenti da accompagnare con misure positive adeguate.
Tuttavia, è importante sottolineare come il gap generazionale, estremamente infiammabile su queste tematiche, risulti in qualche modo “disturbato” e corretto dalle divisioni partitiche: secondo i sondaggi condotti da PRRI, la chiara posizione assunta dai Democratici da un lato e quella in completa opposizione adottata dai Repubblicani dall’altro, avrebbe permesso un appiattimento del gap generazionale portando giovani e vecchi a sostenere indiscriminatamente la posizione del proprio partito di appartenenza. Abbiamo così giovani Repubblicani schierati a favore di misure restrittive nei confronti delle persone transgender e vecchi Democratici baluardo dei diritti della comunità LGBTQIA+.
Destino diverso invece sembra essere riservato alle politiche sul clima che riescono a superare lo scoglio della divisione e identificazione partitica, ristabilendo un forte gap generazionale, con giovani Democratici e Repubblicani uniti contro le anziane dinastie statunitensi.
Sono molteplici e infiniti gli esempi di divario generazionale in pieno dispiegamento negli Stati Uniti, tuttavia uno dei più interessanti riguarda le comunità nere: secondo il quotidiano online Defender per anni si è sorvolato su questo fenomeno, uniformando generazioni di afroamericani e negando le differenze generazionali osservabili in ogni altra comunità che compone la popolazione della Federazione, al fine di far risaltare maggiormente la comune esperienza di discriminazione condivisa da ciascuna persona nera negli Stati Uniti.
Le principali differenze generazionali tra afroamericani emergono su temi come l’importanza del voto, il supporto incondizionato al Partito Democratico, la partecipazione alla religione organizzata tradizionale, la scelta di un impiego o di uno specifico settore lavorativo, l’evoluzione della vita sentimentale e la comprensione - oltre che l’utilizzo - di nuove tecnologie.
Il Kinder Institute for Urban Research, attraverso una serie di articoli sul tema, ha tentato di arrivare alla radice di una delle questioni più interessanti emerse rispetto al generational divide tra afroamericani analizzando il perché i Millennials tendano a credere di più che i neri abbiano, ormai, le stesse opportunità dei bianchi.
La Silent Generation, infatti, non può che opporsi ad una tale convinzione, avendo vissuto appieno gli effetti delle leggi Jim Crow, mentre le generazioni successive di Baby Boomer o la Generazione X hanno sperimentato il movimento per i diritti civili, respirato l’aria del Black Power Movement portando i Millenials a vedere principalmente i grandi benefici di queste lotte, nonostante la persistenza del razzismo sistemico e delle discriminazioni alla base della società statunitense. Una tale situazione ha inevitabilmente portato a differenze significative tra le generazioni afroamericane nella valutazione delle opportunità per i neri in America.
L’antitesi tra una generazione paralizzata sul piano dell’azione da elementi contingenti ed una vecchia guardia, che monopolizza e veicola l’opinione pubblica, soprattutto in nome della superiorità numerica (e di risorse), rischia quindi di ridursi non già a una riflessione su chi possa uscire vincitore dallo scontro; ma addirittura a un’amara constatazione su chi riesca ad avere, in realtà, anche solo la concreta opportunità di entrare a farne parte.