L'ottimismo di Reagan e il terrore di Trump
Analizzare i discorsi pubblici dei due presidenti è un continuo salto tra la fiducia in un futuro radioso e il terrore per quello che sta avvenendo
Essere un membro del Partito Repubblicano significa arrivare prima o poi a un momento in cui devi confrontarti con l’eredità politica di Ronald Reagan. Come tutti, anche Donald Trump ci è dovuto arrivare, e come tutti anche lui si è dovuto considerare un reaganiano. Lo stesso slogan che ha fatto la fortuna del trumpismo, quel “Make America Great Again” stampato su milioni di cappellini rossi, è traslato da uno degli slogan della campagna che l’ex Governatore della California combattè contro il Presidente in carica Jimmy Carter nel 1980. I punti di contatto tra i due si fermano però solo a questo; Trump non ha mai criticato Reagan apertamente, per quanto si sia autoconsiderato come un uomo “molto più capace”, perché non è possibile farlo. Se prima però essere Repubblicano e reaganiano voleva dire più o meno la stessa cosa, oggi Ronald Reagan è un feticcio inconsistente, un grande eroe del Partito, al pari di Lincoln, totalmente svuotato delle sue idee cardine.
Fare un raffronto tra il discorso pubblico dei due è come analizzare il giorno e la notte, una tensione palpabile tra due elementi di conservatorismo; Reagan è da tanti definito “il Presidente ottimista”, con una retorica attenta a preservare i grandi valori del passato, come ogni conservatore, ma tendente a idealizzare un futuro radioso; l’eccezionalismo americano non era di un partito o di un gruppo, ma inclusivo e gli statunitensi facevano parte di una comunità di valori condivisi che Reagan voleva essere chiamato a rappresentare. L’idea dei “Reagan Democrats”, cioè quelle persone che, pur democratiche, lo hanno votato alle elezioni del 1984 contro Mondale, era quella di far parte di una comunità positiva. Non bisogna dimenticare che l’ottimismo permeò la campagna elettorale del 1980, combattuta in un momento in cui gli Stati Uniti stavano perdendo sé stessi, tra inflazione e successiva stagflazione, crisi degli ostaggi in Iran e un Presidente come Carter, antesignano rispetto ai tempi, ma che proprio non ispirava fiducia nel futuro, anzi cercava di far riflettere su quelli che sarebbero stati i successivi problemi.
La frase che più ha reso famoso il discorso pubblico di Reagan è “città splendente in cima a una collina”, una frase rielaborata da un sermone pronunciato da un predicatore, John Winthrop, a bordo della nave Arbella nel 1630 mentre stava arrivando sulle coste statunitensi; nel sermone Winthrop – come lucidamente analizzato dalla storica Chiara Migliori – non solo dice che i coloni devono onorare un patto con Dio e costruire una chiesa nella nuova terra, ma anche esportare l’esempio al mondo intero. Nel suo discorso di addio alla presidenza, nel 1989, Reagan dice:
negli ultimi giorni, mentre ero alla finestra, ho pensato un po’ al concetto di “città splendente in cima a una collina”. La frase arriva da John Winthrop, che l’ha scritta per descrivere come si immaginava l’America. […] Nella mia mente era una città alta e fiera costruita su rocce più forti degli oceani […] e se dovevano esserci delle mura, avrebbero avuto porte aperte a qualsiasi persona col coraggio e il cuore di arrivare
Nel 2016 l’ottimismo è scomparso e il discorso politico trumpiano è totalmente opposto; se la condizione degli Stati Uniti nel 1980 era pessima non era colpa delle persone, ma di qualche politico incompetente, mentre nel 2016 il malessere degli USA è dato da un vero e proprio gruppo di persone – i Democratici – che devono essere esclusi dal governo della nazione perché in otto anni hanno costruito criminalità, distrutto posti di lavoro e demolito la fiducia nel futuro.
La retorica di Trump è escludente, un sermone comprensibile solo per una massa di eletti, quelli che hanno abbracciato il suo ruolo da salvatore. Allora la colpa diventa dei Democratici come insieme, e degli stranieri; gli Stati Uniti non sono più un luogo di immigrazione, in cui chiunque ne condivida i valori può arrivare, ma diventano un posto dove si instaura una forte paura del diverso. Nessun musulmano, messicano, o immigrato in genere può davvero condividere i valori della società americana, sono persone “ladre e stupratrici; tra alcune di loro ci sono delle belle persone”. Il discorso più importante, che si cita sempre per capire il malessere trumpiano, e il sentimento di paura su cui gioca tutta la sua narrazione, è il discorso di insediamento del gennaio 2017, in cui cita il concetto di “carneficina americana”:
Una nazione serve per servire i suoi cittadini. Gli americani vogliono belle scuole per i figli, isolati sicuri per le famiglie, e bei lavori per loro. Sono richieste giuste e ragionevoli, ma per molti esiste una realtà differente. Madri e figli intrappolati nella povertà dei nostri centri urbani, fabbriche arrugginite come tombe nel paesaggio della nostra Nazione […] e il crimine, e le gang, e le droghe che hanno rubato troppe vite e depredato il nostro Paese di così tanto potenziale inespresso. Questa carneficina americana finisce qui e ora
Sia Trump che Reagan sono andati in Francia a porgere omaggio ai caduti dello Sbarco in Normandia e i loro discorsi sono stati del tutto opposti; se Reagan è rientrato in un immaginario classico della Seconda Guerra Mondiale, una battaglia di libertà dicotomica, in cui si scontravano il Bene e il Male, in cui gli Stati Uniti combattevano perché hanno a cuore la democrazia e le cause giuste senza abbandonare l’Europa al proprio destino nemmeno con l’avvento del comunismo ad Est, per Trump è l’opposto. Il quarantacinquesimo Presidente si riferisce all’onore per gli eroi che hanno combattuto, senza citare mai i valori fondamentali da difendere; la Seconda Guerra Mondiale diventa una lotta per non essere invasi da altre culture, il tentativo di mantenere lo status quo di un Paese perfetto, cioè gli Stati Uniti precedenti all’ingresso nel conflitto.
Quando i Repubblicani hanno affrontato il secondo dibattito per le presidenziali del 2024 alla Reagan Presidential Library, in California, un membro del board della biblioteca ha detto a Politico che la differenza è incredibilmente evidente: si è passati da un messaggio positivo e fiducioso all’opposto, a Voldemort, il famoso cattivo della saga di Harry Potter, che vuole bruciare tutto e attaccare le persone.
L’opera di Trump è stata quella di ogni leader autoritario contemporaneo: distruggere la fiducia e porsi come unico restauratore di un ordine migliore, appellandosi a un sentimento paleoconservatore e isolazionista di estrema fiducia in un passato bellissimo e terminato per colpa degli altri. Joe Biden, sconfiggendolo, ha dichiarato di voler “restaurare l’anima del Paese”, facilmente ritrovabile in tanti discorsi dei personaggi importanti della storia statunitensi, centrale nel discorso pubblico di Reagan, totalmente assente durante il trumpismo.