L’immigrazione è ancora un tema caldo
L’immigrazione è un tema centrale alle elezioni: Trump punta quasi tutto, i dem si sono spostati verso posizioni più dure
Con l’avvicinarsi del 5 novembre, giorno delle elezioni, i cittadini americani devono riflettere su chi votare. Nelle loro teste, come da tanti anni ormai, aleggia lo spettro dell’immigrazione. Una tematica tanto importante quanto temuta dai politici, discussa da tutti e risolta da nessuno. Se i flussi di persone continuano a occupare i nostri discorsi e le pagine dei giornali, è perché continuano ad essere un elemento decisivo per gli elettori.
Negli Stati Uniti l’approccio all’immigrazione è cambiato notevolmente da quando Donald Trump è entrato per la prima volta alla Casa Bianca. Una doppia virata che ha spinto l’opinione pubblica odierna verso destra. Lo stesso Partito Democratico ha cambiato posizione in maniera significativa.
La vittoria del tycoon nel 2016 ha scatenato uno spostamento verso sinistra in merito all’immigrazione. Un cambiamento di visione avvenuto principalmente tra elettori democratici e indipendenti, che hanno reagito alle leggi restrittive dell’allora presidente repubblicano. Entro il 2020, la quota di americani favorevoli a un livello di immigrazione più alto superava quella dei contrari (34 per cento contro 28 per cento). Questo cambio di rotta, insieme ad altri elementi, ha messo Joe Biden in una posizione di vantaggio rispetto allo sfidante. Con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali di quattro anni fa, il democratico era considerato il migliore nella gestione dell’immigrazione.
A gennaio 2021, il decano della politica nato a Scranton siede sulla poltrona più importante degli Stati Uniti. Da quel momento il vento inizia a cambiare. Cambia con una forza uguale e contraria a quello scatenato da Trump solo quattro anni prima. È aumentato considerevolmente il numero di cittadini che affermano che «gli immigrati drenano le risorse nazionali», superando di undici punti percentuali chi sostiene il contrario. Un’ascesa simile si registra nel sostegno all’espulsione degli irregolari. Ad oggi, chi è d’accordo con l’assegnazione della cittadinanza è allo stesso livello di chi invece è d’accordo con l’espulsione (46 per cento contro 45 per cento).
Il fronte caldo negli Stati Uniti è sicuramente il confine meridionale. Quella cerniera di territorio che unisce Usa e Messico. L’emergenza è quotidiana e non accenna a calare. Nel 1990 l’amministrazione di George H.W. Bush ha dato il via ai lavori per la costruzione di un muro che proteggesse l’America dai clandestini che entravamo illegalmente nel Paese. I presidenti che gli sono succeduti hanno portato avanti l’opera, chi più e chi meno. Solo l’approdo di Trump sulla scena politica americana ha portato in primissimo piano questa discussa opera. L’ampliamento e il rafforzamento della barriera è stato il cavallo di battaglia del newyorkese sin dalle primarie che lo consacrarono candidato del GOP. Un punto programmatico radicale anche per gli stessi repubblicani. Pian piano, però, Trump ha trascinato i rossi verso la sua posizione intransigente. Un recente sondaggio FoxNews/Quinnipiac ha mostrato come il 56 per cento dei cittadini sia favorevole alla costruzione del muro. Un sostegno record mai registrato prima.
L’ultimo dato che mostra la situazione corrente è palese: il 55 per cento degli americani è favorevole alla riduzione dell’immigrazione. Era solo al 28 per cento nel 2020, ed è il dato più alto registrato da inizio millennio.
Tutti questi cambiamenti segnano uno spostamento a destra, in particolare degli elettori repubblicani. Nel campo del GOP, insomma, c’è stata un’adesione quasi completa al progetto di Trump. La novità maggiore risiede tra i democratici. Anche qui, infatti, si registrano posizioni più dure in materia di immigrazione. I numeri non mentono. Gli elettori ritengono molto importante la questione migratoria (+7 per cento rispetto al 2020), in particolare gli indipendenti. Per questo motivo da un lato il tycoon punta tutto, o quasi, sul tema e dall’altro Kamala Harris e i suoi affrontano l’argomento con maggior pragmaticità. La bussola non punta più verso politiche di maggior accoglienza e integrazione. Lo staff della campagna dem è focalizzato sul mettere in risalto i risultati della loro candidata in veste di procuratrice generale. Vogliono far capire agli elettori che è preparata sul tema e sa gestire i criminali, compresi quelli che arrivano in America da oltre il confine. Alla convention repubblicana, invece, non sono state usate mezze misure. Più di cento volte è stato utilizzato il termine «confine», con Trump che non ha avuto paura di parlare della situazione meridionale definendola «la più grande invasione della storia». A un maggior rigore sui controlli messo in campo dai democratici, il candidato avversario ha risposto promettendo la deportazione di chi si trova illegalmente sul suolo statunitense.
Il vento cambierà ancora, ma sarà decisivo il suo soffio a novembre, quando tutte queste parole diventeranno voti per Trump o per Harris.