L'idea del Montana per smontare la sentenza Citizens United
Un verdetto che a partire dal 2010 ha spalancato ai miliardari la via per controllare il governo federale può essere smontata. Ecco l'idea che viene dall'America Profonda.
Opinione molto diffusa tra i cittadini degli Stati Uniti è che il denaro impiegato per le donazioni ai fondi dei politici crea il potenziale per una corruzione legalizzata. Lo stesso Donald Trump, nella sua corsa del 2016, ha cercato di distinguersi, almeno all’inizio, per aver limitato la sua dipendenza dai megadonors.
Però è sempre stata questa la realtà delle campagne elettorali statunitensi?
Andando a esplorare la giurisprudenza della Corte Suprema, si individua uno snodo fondamentale nella sentenza Citizens United v. FEC (2010), uno dei verdetti più controversi della storia americana. Con essa la Corte ha stravolto alcuni aspetti del McCain-Feingold Act, liberalizzando di fatto i contributi elettorali.
Questa sentenza, unitamente alla successiva Speechnow.org v. FEC ha creato due realtà che ormai sono parte integrante di ogni campagna elettorale: i Super PAC e i cosiddetti dark money.
Citizens United ha stabilito che tra i diritti di un sindacato o di una corporation vi è la possibilità di esercitare la propria libertà di parola attraverso una spesa elettorale, la quale non può essere limitata qualora sia diretta a finanziare messaggi politici indipendenti, cioè non coordinati con un candidato o un partito.
La giurisprudenza costituzionale conseguente ha creato il terreno per la nascita dei Super PAC, comitati politici che, purché non coordinati con candidati o partiti, possono spendere illimitatamente per fare campagna elettorale indiretta. La presunzione di base è che, se le spese politiche sono indipendenti, non vi è apparenza di corruzione a meno che non si individui chiaramente una situazione di do ut des. Immediatamente queste entità hanno attratto big donors, come i fratelli Koch o Elon Musk, e sono stati adottati da entrambi i partiti come strumenti ordinari del conflitto politico.
La loro efficacia è indiscussa: eludendo i limiti legislativamente prescritti per le donazioni dirette a candidati e partiti, il tiro alla fune diventa molto più facile da truccare. L’introduzione di enormi somme di denaro permette di seppellire un politico indesiderato con abbondante pubblicità elettorale avversa. La quantità di denaro spesa attraverso i Super PAC ha superato il 10% delle somme totali impiegate nelle elezioni più recenti, concentrando larga parte delle spese elettorali nelle mani di individui facoltosi che intendono influenzare massicciamente la politica statunitense.
Un altro effetto molto discusso della giurisprudenza costituzionale post-Citizens United è la nascita della cosiddetta dark money politics. Si tratta della combinazione tra i super PAC e un particolare istituto del diritto tributario statunitense. Parliamo della tipologia di non-profit regolata ex 501 (c) (4): dedicate al perseguimento del “welfare sociale”, queste organizzazioni possono effettuare spese indipendenti a fini di campagna elettorale qualora queste non costituiscano il focus maggioritario delle loro operazioni.
Il vantaggio considerevole di queste entità è la possibilità di non rivelare chi sono i finanziatori principali. Così facendo, un’organizzazione ex 501 (c) (4) può ricevere denaro in modo non trasparente per poi trasferirlo a un Super PAC. Pur avendo un limite di spesa sostanzialmente illimitato, infatti, i Super PAC hanno obbligo di disclosure. La combinazione con un’organizzazione ex 501 (c) (4) è un espediente mirato ad aggirare questo limite: il Super PAC citerà tra i finanziatori solo la non-profit e non i suoi contribuenti.
Insomma, non è un caso che la fiducia dei cittadini nel processo elettorale sia sempre più al ribasso. Stando a un sondaggio del 2024 di American Promise, per esempio, la stragrande maggioranza dei votanti registrati sono favorevoli all’introduzione di un limite alle spese elettorali, eventualmente sotto forma di un emendamento costituzionale.
Giungiamo dunque a una recentissima novità: il Montana Plan. Si tratta di un espediente che potrebbe portare all’inefficacia de facto di Citizens United a livello statale. Una ballot measure, cioè una proposta di legge, su cui i cittadini possono votare in occasione di elezioni nello Stato, può rendere irrilevante il principio di diritto introdotto da Citizens United.
La proposta si fonda sul fatto che, stando a giurisprudenza consolidata della Corte Suprema (prima fra tutte la decisione Trustees of Dartmouth College v. Woodward, nel 1819), i poteri che sono disponibili per una corporation sono unicamente derivati dalle leggi dello Stato che le costituisce. Al contrario dei diritti del singolo individuo, che pre-esistono alle leggi statali, i poteri delle corporations sono sempre stati riconosciuti come prerogativa esclusiva del singolo Stato, in quanto esse non sono altro che mere creature legislative.
Oggigiorno, in ogni stato degli USA, le corporations hanno il potere di effettuare sostanzialmente qualunque atto che sia lecito, possibilità espressamente consentita dagli statuti costitutivi di tali entità (concessi dallo stato di competenza). Una realtà perfettamente adeguata all’intenzione di ogni stato di favorire lo sviluppo del tessuto economico.
Questa clausola generale include implicitamente il potere di spendere denaro a fini politico-elettorali. E qui sta la chiave del ragionamento: questo potere, garantito dagli statuti di incorporazione statali, può essere revocato. Si tratta di una prerogativa perfettamente lecita di ogni stato, confermata dalla Corte Suprema in numerose decisioni.
Qui si inserisce la ballot measure proposta dalla Transparent Election Initiative, un’organizzazione dedicata a promuovere trasparenza e giustizia nei processi elettorali. Essenzialmente, la misura rimuoverebbe dai poteri garantiti dallo stato del Montana alle corporations quello di spendere denaro a fini elettorali. Così facendo non si violerebbe quanto deciso in Citizens United, poiché tale decisione protegge la libertà di parola della corporation solo relativamente a quanto consentito dagli statuti di incorporazione.
Come spiegato sul sito dell’organizzazione proponente, la decisione avrebbe effetto in modo retroattivo anche sulle corporations preesistenti, nonché su quelle incorporate in un altro stato, ma operanti nel Montana. Infine, la giurisprudenza consente tali modifiche senza imporre alcun onere in capo agli stati di motivare la decisione, contrariamente a quanto accadrebbe qualora si cerchi di regolare direttamente la libertà di parola già consentita dagli statuti dei singoli stati.
Insomma, questa sembra essere la soluzione perfetta per eludere i limiti giurisprudenziali e contrastare gli interessi degli attori politici. Non solo, infatti, si consente agli elettori di votare direttamente, ma si fonda la proposta in questione su assunti giuridici solidi. Qualora, infatti, la Corte Suprema dovesse toccare i poteri degli Stati nella creazione degli statuti di incorporazione, genererebbe un precedente indesiderato: l’intervento federale nella regolamentazione statale delle corporations.