Tra Libertari e comunità LGBTQ+ si è fermi agli anni '90
Il Partito Libertario è stato un supporter di alcuni diritti civili dagli anni '70, molto prima di altri. Perché mai la comunità LGBTQ+ non si iscrive in massa?
Il sito web del Partito Libertario Americano copre tante tematiche su cui esprime posizioni nette. Essendo negli Stati Uniti, una sezione specifica sul possesso di armi (spoiler: un diritto inalienabile) è d’obbligo, però colpisce la totale assenza di un capitolo sui diritti delle minoranze sessuali e di genere.
Dopotutto quello appena passato è il ventennio più importante nella storia della liberazione LGBTQ+, quello in cui la comunità in Occidente e soprattutto negli Stati Uniti ha ottenuto di più in termini di libertà. Logica vorrebbe che un partito con al centro proprio questo concetto celebrasse la cosa come una vittoria in maniera più manifesta.
Eppure qualcosa c’è, se si scava un pochino. Nella pagina contenente il programma, si parla del diritto di adulti consenzienti a un trattamento eguale da parte dello Stato per quanto riguarda matrimonio, adozioni, servizio militare, immigrazione, qualsiasi sia l’orientamento sessuale, preferenza o identità di genere. Dello stesso tono sono i pochi comunicati stampa che escono fuori cercando sul motore di ricerca la sigla LGBTQ+. L’ultimo, del 27 aprile 2021, denuncia il pericolo di leggi, alcune proposte, altre purtroppo passate, in Stati governati dai Repubblicani come Arkansas, Texas e Tennessee che puniscono o rendono illegale il percorso di affermazione di genere da parte di persone trans, soprattutto minorenni. Un altro post, in risposta alla strage di Orlando del 2016, si lamenta delle politiche Democratiche che rendono complicato ai cittadini di armarsi in risposta a possibili azioni violente.
Le colpe LBTQ+, secondo i libertari
Insomma, per il partito Libertario la comunità LGBTQ+ è vittima di entrambi i partiti maggiori. I Repubblicani perché hanno dimenticato di essere il partito del governo minimo, e i Democratici che sono timidi sui diritti civili lasciando per strada per di più quello di armarsi. Un vecchio post del 2010 dopotutto rivendica che l’appoggio dei libertari al matrimonio egualitario sia arrivato ben prima di quello della leadership Democratica, descrivendo chi continua a votare quel partito come affetto da battered gay voter syndrome, riferendosi alla condizione psichica di una persona abusata in una relazione. Dopo il fallimento dell’amministrazione Obama nell’abolire Don’t Ask, Don’t Tell, l’allora segretario del partito libertario Mark Hinkle emanò un comunicato offrendo agli elettori gay (non pensò di includere le altre anime della comunità) di uscire da quella che oggi chiameremmo relazione tossica.
Se questo è vero, perché allora la comunità LGBTQ+ non si fionda verso gli uffici del Partito Libertario per iscriversi? Qual è il problema?
Per capirlo c’è bisogno di un passo indietro, e forse questi post e comunicati sono una perfetta chiave di lettura, se visti da una diversa prospettiva. Evidenziano come per i libertari il vero problema, nel passato come nel presente sia solo lo Stato, in un modo o in un altro. È vero che il partito libertario avesse nei suoi primi documenti programmatici, a inizio anni ‘70, il supporto per il matrimonio egualitario. L’omosessualità era inserita tra i cosiddetti victimless crimes, insieme alla prostituzione, l’uso di droghe, l’aborto e il gioco d’azzardo. Non proprio un aperto endorsement delle cause della comunità post-Stonewall, però un passo storico importante. È vero anche che negli anni ’90 appoggiò lo sforzo di alcuni democratici in opposizione al Defence Of Marriage Act o al Don’t Ask, Don’t Tell, entrambe leggi firmate da Bill Clinton. Il problema è che però tutto si ferma qui.
I problemi dei libertari
Il programma libertario non è mai evoluto da quell’epoca, rimanendo bloccato agli anni ’90. “Lo stato fuori dalla camera da letto” è una posizione che ha smesso di avere implicazioni reali dopo Lawrence v. Texas e soprattutto Obergfell v Odges e il Respect for Marriages Act. Il fatto che il partito continui a battere su questo punto, nel suo programma, in tutti i comunicati e pagine web, evidenzia quanto sia poco interessato ad un dialogo con la comunità riguardo le sue priorità, e quanto invece i diritti civili siano solo uno dei tanti capitoli della lotta libertaria contro lo Stato che, anzi, dovrebbe proprio smettere di occuparsi di matrimonio, adozioni o identità in generale, come anche di sanità, istruzione e difesa.
Se la lotta, quindi, riguarda la fine della sola discriminazione messa in atto dalle istituzioni pubbliche, allora da un punto di vista libertario gli Stati Uniti sono arrivati. L’unica cosa rimasta da fare è proteggere le persone da ulteriori tentativi discriminatori dei singoli stati: “Should we move on”, come propone Scott Shackford su Reason?
Chi della comunità fa attivismo e si rapporta alle problematiche in maniera diretta e non tramite seminari del Cato Institute, risponderebbe assolutamente no, perché la vera parità non sarà raggiunta finché le strutture culturali ed economiche che la impediscono non saranno abbattute. La lotta contro le discriminazioni deve riguardare il privato come il pubblico, anche usando il potere regolatore dello Stato. Questa è una battaglia culturale che il Partito Libertario o non vuole combattere, o ne nega completamente il senso.
Tornando alla piattaforma programmatica lo si capisce meglio. Uno dei più grandi traguardi mai raggiunti in termini di protezione è l’Equality Act, una legge che impedirebbe la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere in ogni aspetto della vita pubblica o privata di una persona, da un contratto d’affitto al posto di lavoro, all’accesso al credito, al servizio di giuria.
Il Congresso non è mai riuscito a votare questa legge, e 29 stati continuano a non avere protezioni legali contro la discriminazione. I libertari si oppongono perché questa sarebbe un’illegittima ingerenza dello Stato in decisioni private. Dopotutto il capitalismo si è adattato alle richieste del mercato, ed è diventato molto più inclusivo di prima. La concorrenza, insieme alla libera manifestazione di dissenso, le shitstorm, i boicottaggi e la cattiva pubblicità, bastano e avanzano. Stessa cosa riguardo le discriminazioni per ragioni religiose. Perché mai costringere un ente privato a non discriminare quando ci si può rivolgere semplicemente ad uno che non lo fa? Perché non usare gli strumenti del mercato per vedere piano piano, con un po’ di pazienza e una dose di speranza, i problemi sparire da soli?
Il libero desiderio di profitto, secondo la visione libertaria, è infatti molto più facile da maneggiare delle buone intenzioni dello Stato che diventano in alcuni casi (tutti, direbbero i libertari) potere coercitivo e illiberale. Trovare il giusto incentivo economico e di mercato diventa la magica soluzione per ogni problema.
Chissà perché la comunità, alle prese con violenza e discriminazione su base giornaliera, che cerca di gestire l’enorme ondata d’odio di ritorno in risposta alle conquiste assimilazioniste degli ultimi anni, che lotta contro problemi sistemici di oppressione economica e sociale, tra ignoranza, bullismo e paura, proprio non riesce a convincersi.
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