La libertà illiberale: il mondo dei paleocon
La lezione di Rothbard. Da Buchanan all'estrema destra.
“Ci sono due strategie alternative per promuovere il movimento libertario. La prima è quella dei fratelli Koch, quella del Cato Institute. È agli antipodi di una strategia populista di destra: è incentrata sul lobbying e sulla sottile pressione sulle élite, portandole gentilmente su di un percorso più libertario. […] L’unica cosa che questa strategia è riuscita a concludere è l’indebolimento del movimento libertario e di quello conservatore.”
È con queste parole che nel 1992 Murray Rothbard, economista della scuola austriaca e teorico dell’anarco-capitalismo, introduceva ai lettori della sua newsletter un lungo articolo programmatico volto a spiegare le ragioni per cui il movimento libertario statunitense avrebbe largamente giovato da un’alleanza con il populismo di destra, incarnato all’epoca dalla candidatura alle primarie repubblicane di Patrick Buchanan.
Buchanan si posizionava drasticamente più a destra del Presidente in carica George H.W. Bush, di cui ripudiava le politiche ‘globaliste’: riteneva la crescente immigrazione dal Messico un rischio esistenziale per la sopravvivenza della cultura anglosassone degli Stati Uniti; si opponeva in chiave protezionista al Trattato di Libero Scambio Nordamericano (NAFTA).
In connubio a queste idee, la piattaforma di Buchanan era inoltre permeata da uno spiccato conservatorismo sociale: il Partito Repubblicano aveva, agli occhi di Buchanan, smesso di difendere i valori tradizionali in nome di una cultura business-friendly libertina e sregolata e ignorando le ‘vere’ battaglie identitarie del movimento conservatore. I mali dell’America moderna erano individuati nella diffusione della pornografia, dell’aborto e della ‘cultura omosessuale’. L’unico modo per vincere questa ‘guerra culturale’, secondo Buchanan, sarebbe stato il ritorno del movimento conservatore ad una forma più antica e pura dei suoi ideali: il paleo conservatorismo.
Rothbard vedeva nel movimento paleoconservatore diversi punti di convergenza con la sua visione personale della causa libertaria: l’ostilità al cosiddetto ‘Big Government’, alla tassazione e alle politiche redistributive dello Stato federale che, Rothbard rimarca con peculiare astio, ‘avvantaggiano tutte le etnie e minoranze possibile esclusi gli americani bianchi’. Sia i libertari che i paleoconservatori, nota Rothbard, mal sopportano le ingerenze del governo federale nel funzionamento e nella legislazione delle assemblee locali, come nel caso dell’istruzione pubblica: un grande moloch governativo volto a distruggere la potestà genitoriale promuovendo invece valori ‘statalisti’ e ‘politicamente corretti’ tra gli alunni. Rothbard sosteneva che le divergenze tra libertarismo e paleoconservatorismo potevano essere facilmente appianate da una forma di governo decentralizzata, ove le singole comunità possono autoregolarsi e bandire pratiche ‘nocive’ e sgradite ai più.
Buchanan non riuscì a scalzare Bush Sr. dalla posizione di candidato alle presidenziali, ma la sua campagna lasciò un impatto profondo nel mondo conservatore americano, e anche sul movimento libertario. L’intuizione ‘paleo’ di Rothbard venne seguita da Lew Rockwell, altro esponente influente della teoria anarco-capitalista, e fondatore del think tank Mises Institute. Nei primi anni 2000, il blog di Rockwell divenne inaspettatamente popolare a causa della sua forte opposizione agli interventi militari dell’amministrazione di George W. Bush: per Rockwell, le guerre erano un costoso divertissement, atte principalmente ad alimentare il complesso militare-industriale e le ambizioni imperiali dei ‘neocon’ a discapito del benessere dei contribuenti. La tendenza all’isolazionismo e alla critica della politica estera americana è un altro tassello di convergenza tra l’ideologia libertaria e quella paleoconservatrice, spesso espressa anche in termini antisemitici: Buchanan stesso finì coinvolto in diverse controversie, dovute al modo ambiguo con cui criticava l’influenza delle lobby pro-Israele nel Congresso e nel decision-making dell’amministrazione di Bush Jr.
È proprio nell’insoddisfazione di un certo numero di conservatori verso le politiche delle amministrazioni repubblicane moderne che Buchanan va a pescare, quando nel 2002 fonda la rivista ‘American Conservative’ insieme a Taki Theodoracopulos, ricco socialite di origini greche vicino agli ambienti ultranazionalisti ellenici. Ponendosi direttamente in contrasto contro quello che viene definito in modo denigratorio ‘Official Conservatism’, la rivista di Buchanan acquisisce rapidamente una nicchia di proseliti, che aumenta particolarmente durante gli anni della presidenza Obama e l’ascesa del movimento Teapartyista. Si esprime a favore della candidatura del libertarian Ron Paul alle primarie repubblicane del 2012, apprezzandone le idee antinterventiste e gli attacchi di Paul ai simboli del big government: il welfare, la riforma sanitaria voluta dall’amministrazione Obama, le politiche espansioniste della Federal Reserve Bank, la continuazione delle missioni militari americane all’estero. Lo stesso Paul aveva abbracciato idee paleoconservatrici nel passato recente, curando negli anni Novanta una newsletter spesso ricolma di frasi e topos razzisti e improntati al vigilantismo e all’esaltazione della giustizia privata.
Allo stesso modo, American Conservative appoggia in modo entusiasta la campagna di Donald J. Trump nel 2016, entrando in rotta contro National Review, la rivista simbolo del conservatorismo ‘mainstream’ statunitense fondata dall’intellettuale William F. Buckley. I vetusti ambienti paleocon entrano rapidamente in contatto con quelli online dell’alt-right, un sodalizio suggellato dalla presentazione del movimento di estrema destra Proud Boys proprio sulle pagine di Taki’s Magazine, webzine curata da Theodoracopulos. In questi anni Buchanan viene superato in fama dal suo caporedattore Rod Dreher, tradizionalista cristiano ed estimatore dei governi illiberali dell’est Europa, quali l’Ungheria di Viktor Orban.
Sotto la direzione di Dreher, American Conservative assuma una direzione ‘post-liberale’, scettica della democrazia, vista come alfiere del multiculturalismo e di altre ‘degenerazione sociali’. Una posizione condivisa anche da un altro pensatore libertarian influente, il professore austriaco Hans Herman Hoppe. Per Hoppe, la democrazia è ‘una divinità che ha fallito’, mettendo le grandi masse ignoranti in posizione di controllo sulle aristocrazie culturali, economiche e, viene sottilmente inteso da Hoppe, etniche. Per il pensatore austriaco, alla forma di governo democratica è preferibile una spiccatamente monarchica, guidata da un vero e proprio ‘re filosofo’ rispettoso della proprietà privata e inamovibile alle pressioni della massa.
Nonostante le lunghe elucubrazioni compiute nelle scorse decadi, le molteplici riviste e think tank, i movimenti libertari, paleoconservatori e paleolibertari rimangono fenomeni sostanzialmente marginali negli Stati Uniti odierni. Molto più preoccupante è la possibilità che spazi simili possano fungere, in maniera identica agli ambienti alt-right, come fucine di radicalizzazione politica sempre più estrema. È il caso del Partito Libertario americano, controllato al giorno d’oggi da una frangia radicale paleolibertaria denominata ‘Mises Caucus’ che ha indirizzato la retorica del partito pericolosamente vicino a quella della destra nazionalista.
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