L’era anti-DEI: come Trump sta ribaltando le politiche di inclusione negli USA
La cancellazione dei programmi di Diversity, Equity and Inclusion è al centro del dibattito dell'opinione pubblica statunitense, dividendo attivisti, università e aziende

“Radical” e “wasteful”. Sono gli aggettivi con cui il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha definito i programmi DEI (acronimo di Diversity, Equity and Inclusion) in uno dei primissimi ordini esecutivi emessi in seguito al suo secondo insediamento nello Studio Ovale lo scorso gennaio.
Secondo quanto riportato sul sito ufficiale della Casa Bianca, “l’amministrazione Biden ha imposto programmi di discriminazione illegittimi e immorali, sotto il nome di diversità, equità e inclusione praticamente in tutti gli ambiti del governo federale, in aree che vanno dalla sicurezza aerea all'esercito. […] Il governo federale è incaricato di far rispettare le nostre leggi sui diritti civili. Lo scopo di questo ordine è garantire che lo faccia ponendo fine a preferenze illegali e discriminazioni. Gli americani meritano un governo impegnato a servire ogni persona con pari dignità e rispetto, e a impiegare le preziose risorse dei contribuenti solo per rendere grande l'America. E il nostro Paese non sarà più woke”.
La messa in atto del nuovo ordine esecutivo non si è fatta attendere: il Dipartimento dell’Istruzione ha immediatamente rimosso dai suoi canali di comunicazione esterni e archiviato centinaia di documenti, testi e materiali che includessero riferimenti alle politiche DEI . Il Dipartimento, inoltre, ha posto in congedo amministrativo retribuito i dipendenti incaricati di guidare qualsiasi iniziativa connessa ai temi di diversità, equità ed inclusione. Tra le ulteriori azioni intraprese figurano la dissoluzione immediata del Consiglio per la diversità e l’inclusione, istituito durante l’amministrazione Obama, nonché la cancellazione del Consiglio per l’impegno dei Dipendenti all’interno dell’Ufficio per i diritti civili. Sono stati annullati tutti i contratti di formazione DEI in corso – per un totale di 2,6 milioni di dollari – e oltre duecento pagine del sito web del Dipartimento sono state individuate per essere rimosse. Queste pagine ospitavano un’ampia lista di risorse DEI, incoraggiando scuole e università a promuovere tali politiche.
L’impatto di questo cambiamento radicale, che segna una svolta sia sul piano storico che su quello socio-culturale, si è propagato a macchia d’olio, coinvolgendo anche le maggiori aziende degli Stati Uniti. Giganti come Amazon, Meta, Disney, Google, McDonald’s, Walmart e Target – solo per citarne alcuni – hanno iniziato a rivedere, e in molti casi a smantellare, le loro politiche DEI. Questa inversione di tendenza ha scatenato un’ondata di critiche, sia all’interno del Paese che a livello globale, tanto che numerosi giornalisti, attivisti e organizzazioni per i diritti umani hanno espresso preoccupazione per il potenziale arretramento dei progressi compiuti negli anni in materia di inclusione e pari opportunità.
Nel cuore di un’epoca che sembra essere profondamente segnata da fratture di carattere sociale e politico, le aziende nazionali si sono ritrovate a un bivio cruciale. Molte sembrano aver agito in risposta alle costanti pressioni esercitate da politici, investitori e consumatori, piegandosi di conseguenza a un’agenda che mina i principi fondamentali dell’inclusività, trasformandosi in involontari complici di un sistema che perpetua continue discriminazioni (di genere, di classe) e disuguaglianze.
Tuttavia, in un atto di coraggiosa resistenza, un nutrito gruppo di colossi ha scelto di non piegarsi alla volontà dei conservatori. Aziende come Apple, Delta Air Lines, Costco, Ben & Jerry’s, Microsoft, Patagonia, Lush e JPMorgan Chase continuano a sostenere apertamente le politiche DEI. Riconoscerne l’importanza significa essere consapevoli che il successo economico passi anche da un trattamento equo e senza alcuna distinzione di tutti gli esseri umani, in particolar modo di quei gruppi che nel corso della Storia sono stati sottorappresentati.
Dopotutto, l’analisi delle politiche di diversità, equità e inclusione richiede necessariamente un’immersione nel passato statunitense, in particolar modo con l’emanazione del Civil Rights Act del 1964. Tale legislazione, di portata storica, aveva segnato un punto di svolta nella lotta contro la discriminazione razziale. Più recentemente, l’omicidio di George Floyd e la conseguente mobilitazione del movimento Black Lives Matter nel 2020 avevano riacceso il dibattito pubblico sulla giustizia sociale negli Stati Uniti.
Abbandonare definitivamente i programmi DEI rischia di marginalizzare ulteriormente le minoranze, già vittime della discriminazione sistemica, ma soprattutto rischia di compromettere anche i molteplici benefici che una forza lavoro diversificata può offrire. Un ambiente di studio e lavoro inclusivo dovrebbe rispecchiare e valorizzare l’identità, l’esperienza e la visione di chi ne fa parte quotidianamente. Non sono queste iniziative a essere radicali, ma lo è indubbiamente la visione distorta del leader della Casa Bianca.