Le nazioni della Libertà: il legame tra Francia e Stati Uniti
Il terzo Presidente aveva una particolare passione per la cultura parigina, pur non amando la città. La nascita di quella che sarebbe diventata una delle relazioni più longeve e discusse.
Contrariamente ad altri Padri Fondatori, Thomas Jefferson aveva una particolare passione per la Francia, corroborata dal suo periodo quale ministro plenipotenziario alla Corte di Versailles dal 5 luglio 1784 al 23 novembre 1789, quando ripartì per l’America per diventare il primo segretario di Stato dei nascenti Stati Uniti, che si erano appena dotati del primo governo a guida presidenziale con George Washington.
A livello puramente diplomatico, la permanenza di Jefferson sul suolo francese fu perlopiù infruttuosa: la sua scarsa oratoria non fu d’aiuto nel tessere la tela della diplomazia statunitense nel modo che sarebbe stato utile agli interessi di Philadelphia (all’epoca la capitale americana era insediata lì, N.d.R.), ovverosia convincere le sospettose monarchie europee ad aprire i loro commerci alla giovane nazione americana. Il futuro presidente, più abile a esprimersi per iscritto, non riuscì a risolvere questo problema, firmando solo due trattati: con la Prussia nel 1785 e con il Marocco nel 1786.
Durante quella permanenza però Jefferson legò molto con uno degli ufficiali che aveva partecipato alla rivoluzione americana, il marchese di Lafayette, futuro membro del club dei Foglianti, una delle correnti più moderate della rivoluzione. Nonostante il contributo della Corona francese alla causa delle Tredici Colonie fosse stato notevole e avesse provocato parte del dissesto economico alle casse dello Stato francese, Jefferson simpatizzò anche con il processo rivoluzionario, anche quando questo vide l’ascesa dei giacobini: nella sua visione la Francia e gli Stati Uniti erano i paesi che avevano iniziato a far “rotolare la palla della Libertà” che avrebbe travolto il vecchio ordine e anche l’azione di Robespierre e dei suoi alleati venne vista come un salutare rinnovamento dell’esperimento repubblicano contro eventuali rigurgiti monarchici ed aristocratici.
Questo ovviamente aveva ripercussioni nella polemica politica americana: Jefferson venne raffigurato in alcune vignette come pronto a bruciare la Costituzione all’altare del “dispotismo gallico” e durante le elezioni del 1800 i sostenitori del suo avversario, il presidente filobritannico John Adams, misero in guardia gli elettori su un possibile “terrore americano” instaurato da Jefferson. Fu in questo punto preciso che i destini delle due repubbliche si separarono in modo radicale: il passaggio di potere tra i due avversari fu pacifico e non mediato da nessun altra autorità superiore, come avveniva in Gran Bretagna tra Tory e Whig, mentre a novembre 1799 in Francia il colpo di stato del 18 Brumaio favorì l’ascesa del futuro imperatore Napoleone Bonaparte.
Quella Costituzione che Jefferson non aveva scritto preservava la giovane repubblica da un potenziale dittatore come lo fu Oliver Cromwell nell’Inghilterra del 1642, cosa che la Francia non fece. Questo peraltro provocò una lunga serie di discontinuità istituzionali a Parigi che si sarebbero concluse solo nel 1944 quando dopo l’Etàt Français diretto dal Maresciallo Petain si scelse definitivamente una forma repubblicana chiaramente democratica.
Gli Stati Uniti però non sono completamente al sicuro da eventuali colpi di stato, come si è visto con gli eventi del 6 gennaio 2021 mentre il sistema francese sembra reggere meglio all’impatto con la tempesta populista. Chissà se i due paesi riusciranno nuovamente a trarre il meglio gli uni dagli altri.